In breve
Che il nostro paese produca cervelli che poi migrano all’estero è una verità fin troppo accertata. Ma non ci sono solo le storie professionali e creative della categoria “nemo propheta in patria”. Federico Taddia e Claudia Ceroni hanno scelto un’altra strada: raccogliere le storie di chi ce l’ha fatta, inventandosi un mestiere, utilizzando la fantasia per plasmare un futuro che non li faccia più sentire “fuori luogo”.
Il libro
Che il nostro paese produca cervelli che poi migrano all’estero è una verità fin troppo accertata. Ma non ci sono solo le storie professionali e creative della categoria “nemo propheta in patria”. Federico Taddia e Claudia Ceroni hanno scelto un’altra strada: raccogliere le storie di chi ce l’ha fatta, inventandosi un mestiere, utilizzando la fantasia per plasmare un futuro che non li faccia più sentire “fuori luogo”. Taddia e Ceroni hanno raccolto e rielaborato una quindicina di “casi”. “Storie di chi tende a qualcosa ma non fa tendenza, storie di chi viaggia anche senza partire, storie di chi è partito e non sa di avere qualcosa da raccontare, storie di chi ha cose da dire ma non ha occasioni per dirle, storie di chi vede dove altri non vedono, storie di chi non ci sta, di chi non si accontenta, di chi fa per il piacere di fare. Altre storie e storie altre, per raccontare altri italiani e altre Italie, in un leggero e ironico spazio dove si alternano e contaminano bizzarria, cultura, cronaca, stupore, passione, curiosità e meraviglia.”
Ed eccoli qui, i nuovi migranti: Luca, giovane architetto che da sempre ama la neve e che ha deciso di diventare architetto di igloo in Norvegia; Dario, appassionato di musica e docente di Semiotica, che ha mollato tutto per fare l’etnomusicologo a Helsinki; Marco, richiesto in tutto il mondo: è il massimo esperto di Bonsai; Cristiano, ex ingegnere e ora cantante gospel in una chiesa di New York; Roberto, che è partito da Sassari per fare il cantante rock in Lettonia; Licia, una milanese che ha seguito il marito negli Stati Uniti e si è ritrovata pastore anglicano.
Nella notte di giovedì, una pattuglia della polizia di Grampian, perlustrando il tratto isolato dalla neve sulla A93, tra Braemar e Spittal of Glenshee, ha rinvenuto un’automobile apparentemente abbandonata sul ciglio della strada sotto il Glenshee Ski Centre.
A un esame più attento, è risultato che il conducente privo di sensi era ancora all’interno del veicolo. Gli abiti appartenenti all’uomo di mezza età, che era pressoché nudo, erano sparpagliati all’interno della vettura. Sul sedile del passeggero, accanto a lui, c’erano due bottiglie di whisky vuote.
Il mistero si è infittito quando i poliziotti hanno ispezionato il bagagliaio e hanno trovato due scatoloni contenenti più di 400 spazzolini da denti, e un grosso sacco della spazzatura pieno di cartoline dall’Estremo Oriente. L’uomo era in stato di grave ipotermia ed è stato trasportato in aeroambulanza alla Royal Infirmary di Aberdeen. È stato in seguito identificato come Maxwell Sim, 48 anni, originario di Watford, Inghilterra.
Mr Sim era un rappresentante freelance della Guest Toothbrushes di Reading, una ditta specializzata in prodotti ecologici per l’igiene orale. La ditta aveva chiuso i battenti quella mattina.
Mr Sim si è ristabilito perfettamente e si pensa sia tornato a casa sua a Watford. La polizia non ha ancora confermato se lo denuncerà per guida in stato di ebbrezza.
Perché un altro libro sulla pena di morte? Non solo perché alcuni stati continuano ad affermare il loro “diritto di uccidere”, ma anche perché la pena di morte ci appare come un problema tuttora complesso e sfuggente, nonostante il grande rilievo dato a esso nel dibattito politico-giuridico contemporaneo. Tutti i saggi raccolti nel volume, infatti, si misurano con la natura enigmatica della pena capitale: una pena antichissima e ancora attuale; una pena che affonda le radici nei momenti più arcaici della nostra storia, ma continua a essere proposta come un indispensabile strumento di salvaguardia dell’ordine; una pena che attraversa l’intera storia dell’Occidente, ma è conosciuta e praticata anche da culture lontanissime dalla nostra.
L’obiettivo del libro è non tanto offrire un’informazione dettagliata sul presente e sul passato della pena di morte, quanto sollecitare domande e mettere in discussione presunte certezze. Traspare dal dibattito fra “abolizionisti” e difensori della pena di morte il decisivo problema del fondamento e delle modalità di impiego della violenza “legittima”. Proprio per questo, riflettere sulla pena di morte è un compito attuale e impegnativo. È un compito attuale perché infliggere la morte come pena, lungi dall’essere un residuo del passato, è una possibilità sempre aperta, una tentazione presente anche nelle nostre società. È un compito impegnativo perché può essere assolto solo da chi tenti di mettere in questione una tendenza di cui il nostro presente offre inquietanti testimonianze. È la tendenza ad adottare antiche e persistenti strategie di disumanizzazione dell’altro; la tendenza a inventare sempre nuove, minacciose figure di estraneità e a trasformarle nelle nostre prossime vittime sacrificali.
Ministre sexy, telefoni bollenti e debitamente intercettati, immondizia programmatica, ciarpame elettorale. Dal compleanno della vergine di Casoria ai massaggi del Salaria Sport Village è come se un ridicolo e osceno diavolaccio avesse piantato i suoi artigli sull’agenda d’Italia. Maiali e farfalline, coca e complotti, tatuaggi, prostata, carne fresca e chirurgia estetica. Non c’è scandalo, ormai, che non se ne trascini dietro un altro peggiore. Addio paese tollerante e disincantato. Tra le macerie della politica e i relitti del buonsenso, il casting nazionale mette in fila aspiranti imperatori della decadenza, cortigiani velenosi, teledivi capricciosi, e poi lolite, paparazzi, papponi, carabinieri marci e trans dell’altro mondo. Due anni appena e in sconsiderata allegria il Palazzo trasloca alla Suburra, destinazione malfamata per eccellenza. E qui Veronica rompe, Zappadu scatta, Gianpi procura, D’Addario registra, “Repubblica” domanda, Feltri spara, Boffo cade, in Vaticano giocano a moscacieca, Marrazzo s’inoltra nella notte infernale, Brenda va a morire ammazzata, Bologna è indecorosamente espugnata dal Cinziagate e tra un appalto e l’altro la Cricca codifica il tariffario della tangente sessuale.
Con ironico sgomento Filippo Ceccarelli, un veterano di queste faccende, delinea i moduli della pornocrazia senza alzare il ditino del moralista; si diverte piuttosto a interpretarne segni, presagi e risonanze con l’ausilio trepido e meticoloso di oroscopi, pitture, mitologia, videogiochi, canzoni, frammenti di diario e di poesia, da Esiodo a “Novella 2000”.
Ivan – brillante agente segreto al servizio del Kgb, orgoglioso difensore del socialismo, raffinato estimatore del bello – assiste sgomento al disfacimento dell’Unione Sovietica. A Mosca le code fuori dai negozi si allungano, gli ideali cadono come inutili orpelli di un mondo in via di disgregazione, gli amici si trasformano in nemici. Ivan è costretto a ricostruirsi una vita in uno squallido condominio moscovita, lontano dalle luci della ribalta della nomenklatura, fra alcolizzati e residui di un passato che si allontana.
Salvatore – cresciuto in una Sicilia che avvampa di moti rivoluzionari – è vitale, colto e intraprendente. Impara il russo, studia a Leningrado e infine si trasferisce a Mosca, dove lo aspetta un ruolo di prestigio per conto della più accreditata azienda italiana di prodotti informatici. Fa carriera, accumula esperienze, allaccia relazioni, crea consenso e infine non può rifiutare la proposta di lavorare anche per il Kgb. Il suo compito è procurare informazioni sull’ago della bilancia geopolitica della Guerra fredda: l’Italia. Salvatore torna a casa per carpirne i segreti: Comiso, Sigonella, gli affari del Vaticano. Il prezzo da pagare è alto.
Salvatore ha un futuro da inseguire. Ivan, un passato da dimenticare. Ivan e Salvatore sono la stessa persona.
Il mondo siede su due bombe: la crisi ambientale e quella sociale. Mentre le risorse si fanno sempre più scarse, alcuni segnali relativi al cambiamento del clima indicano che gli equilibri naturali si stanno alterando in maniera irrimediabile. Nel contempo la maggior parte della popolazione non riesce a soddisfare neanche i bisogni fondamentali. Ci troviamo di fronte a un dilemma: più crescita economica per uscire dalla povertà o meno crescita economica per salvare il pianeta? È possibile passare dall'economia della crescita all'economia del limite, facendo vivere tutti in maniera sicura? Questo libro dimostra che è possibile purché si mettano in atto quattro rivoluzioni che riguardano stili di vita, tecnologia, lavoro ed economia pubblica.
“Sapienza è una condizione dello spirito, un modo di essere, e non un insieme di contenuti che si ritengano veri e saggi. Il Sapiente è radicato nella sorgente delle cose, e dell’esperienza sapienziale possono farsi testimonianza scritta o orale parole, come quelle di Eraclito, Parmenide, Empedocle in Occidente, e delle Upanishad o dello Chuang Tzu in Oriente, che vibrano della risonanza mistica da cui sorgono. A differenza della filosofia, la Sapienza è un modo di essere, non di pensare, ed è frutto del Sé, mentre la filosofia lo è dell’ego. I Sapienti greci non erano uomini di scrivania, come forse amerebbero dipingerli a propria immagine e somiglianza gli esangui ermeneuti contemporanei, bensì individui che intraprendevano un cammino di continua ricerca di se stessi, all’insegna del motto delfico gnõthi sautón, e da questa pratica di ricerca spirituale venivano trasformati fin nelle intime midolla, come i Sapienti d’Oriente. Nel versante orientale, la Sapienza è un immenso commentario intorno alle folgorazioni mistiche e alle formulazioni religiose dei Veda, che trovano sistemazione nelle Upanishad. Diversa è la Sapienza greca, in cui fioriscono personalità spiccate, con maggiore differenziazione di linguaggio e di pensiero. Ma i temi di fondo sono gli stessi, e con ogni evidenza la Madre della Sapienza d’Oriente e d’Occidente è una sola e la medesima, benché da essa germoglino frutti ben diversi.”
dall’Introduzione
Nella foresta che circonda il villaggio di Ketanu, Gladys Mensah, una promettente studentessa di Medicina, viene trovata morta in circostanze misteriose. L’indagine è delicata, superiore alle forze della scalcinata polizia locale. L’ispettore Darko Dawson, di Accra, è la persona giusta per occuparsi del caso, anche se detesta l’idea di allontanarsi dall’amata moglie e dal figlio, un bambino con il cuore difettoso, ma soprattutto lo spaventa ritornare a Ketanu. Per Dawson questo angolo addormentato del Ghana è un campo minato emotivo, legato al doloroso ricordo dell’improvvisa e inspiegabile scomparsa di sua madre, venticinque anni prima. Darko Dawson è armato di un notevole intuito e di una sana dose di scetticismo ma il suo talento, a volte oscurato dal temperamento mercuriale, forse non basterà per risolvere questo inquietante mistero.Lirico e accattivante, il romanzo d’esordio di Kwei Quartey ci immerge nella maestà e nel fascino del Ghana, dalla capitale Accra fino a un piccolo villaggio del Nord, dove segreti sepolti da anni stanno per riaffiorare in superficie.
Gerusalemme 1947: mentre gli eventi storici incalzano, un ragazzino ebreo di dodici anni vive un momento di grande significato nella sua vita. Ora che è adulto lo racconta. Dopo l'Olocausto, quando si rafforza il movimento clandestino per la nascita dello stato di Israele, anche lui ha fondato con un paio di amici una società segreta con l'obiettivo di combattere gli inglesi, che occupano la Palestina, rivendicando il diritto a una patria dopo tanta sofferenza. Lui è soprannominato Profi, abbreviazione di professore, perché è molto intelligente, ha una cultura enciclopedica, ama studiare le parole e leggere. Di carattere è comunque socievole e vivace, si considera coraggioso come una pantera e gode della simpatia dei compagni di gioco e di cospirazione. Almeno fino al giorno in cui non fa amicizia con il nemico, un sergente inglese che gli insegna la sua lingua in cambio di lezioni di ebraico. Da quel momento agli occhi degli altri diventa un vile traditore, e come tale va punito nonostante la sua pretesa di innocenza. Una pantera in cantina racconta una piccola grande storia di emozioni e sentimenti adolescenti, un'avventura di amicizia e di crescita, che pone domande incalzanti sulla colpa e sulla fiducia, in un contesto storico di epocali stravolgimenti. Profi è infatti testimone di fatti più grandi di lui, ma ci consente di coglierne appieno gli effetti sulle relazioni umane grazie al suo sguardo ancora candido, alla sua sensibilità intatta.
Naboru Kuroda ha tredici anni, vive a Yokohama solo con la madre Fusako da quando il padre è morto,cinque anni prima. È un ragazzo duro e orgoglioso della propria insensibilità, che ama però spiare la madre quando si spoglia nuda per coricarsi. Una sera viene ospite da loro un ufficiale di marina, Tsukazaki Ryuji, e la donna gli si concede di nascosto dal figlio che però li osserva alla luce della luna. E questa sarà per lui un'esperienza voluttuosa e illuminante. Intanto Ryuji pur impacciato nell'esprimere e riconoscere i sentimenti, capisce che Fusako, con la sua bellezza imperturbabile e sensuale, è la donna della sua vita. Naboru, da parte sua, prova a spiegare alla sua piccola banda di amici, nichilisti come lui e crudeli per scelta, che meraviglioso uomo di mare sia l'amante della madre. Ma si ricrederà e dovrà rassegnarsi alla volontà sadica dei compagni, al loro delittuoso anelito di negare ogni senso al mondo. Mishima scandaglia con maestria il fondo oscuro dell'animo di questi ragazzi per i quali, che si tratti di un gatto sfortunatamente capitato nelle loro mani o di un uomo, conta solo la capacità di non provare compassione o emozione nell'aggredire. Per loro che si affacciano alla vita, la maturazione pare non consistere in altro che nell'impassibilità davanti all'esperienza del sangue e della morte.