
Nel 1914, al congresso nazionale di Ancona del PSI, il massimalista Mussolini riuscì a far cacciare i massoni dal partito in nome di una fedele adesione ai principi di classe del socialismo. Ma alla fine della Grande Guerra, mentre imperversavano le agitazioni del biennio rosso e il nuovo partito popolare di ispirazione cattolica sembrava minacciare la tenuta dello Stato laico, sarebbe stata proprio la massoneria a contribuire all'ascesa del regime, giudicato il minore dei mali. Salvo poi subire la messa al bando delle logge nel novembre 1925 come conseguenza delle restrizioni liberticide attuate dalla dittatura. Cadeva così l'illusione di poter controllare Mussolini e irreggimentare il fascismo, e si apriva la strada verso un'opposizione morale e politica al regime. Quella del rapporto fra massoneria e fascismo è una storia complessa, mutevole, non riducibile a interpretazioni univoche. Una storia di illusioni tradite e di valori democratici faticosamente ritrovati, che viene ricostruita nel libro facendo chiarezza sui ruoli e sulle attribuzioni delle responsabilità della crisi dello Stato liberale.
«Noi scrittori» - disse Thomas Mann esule in America dal 1938 - «siamo impegnati nella guerra contro Hitler con le armi delle parole». Queste armi presero la forma efficace di cinquantanove messaggi registrati a Los Angeles dallo scrittore stesso e trasmessi in Germania dalla BBC di Londra dal 1940 al 1945. Fino alla fine del 1942 Thomas Mann incitò i tedeschi, ritenuti schiavi rassegnati, a ribellarsi all'orrore del nazismo, ma prese poi coscienza che i suoi connazionali si impegnavano per la sua vittoria. Si sentì quindi non più solo esule, ma anche nemico della patria. Le trasmissioni radiofoniche e le note del suo diario, qui tradotte per la prima volta, sono la testimonianza di un'immensa illusione e della disperazione per una patria amata e perduta.
«Il ritorno del frastuono osceno delle bombe così vicino a noi, nell'Ucraina aggredita, la guerra riesplosa in Medio Oriente, insieme con i tanti conflitti dimenticati nel mondo, sono motivo di grande preoccupazione, di un'angoscia che, per chi porta ancora nel corpo e nell'anima gli incubi del secolo scorso, è forse ancora più acuta». La senatrice a vita Liliana Segre, dopo un trentennio speso a testimoniare ciò che è stato, consegnando ai giovani un messaggio di pace, non può che soffrire per quanto accade oggi nel mondo. Eppure, così come ha scelto finora di impegnarsi e di non tacere, nonostante dal 2019 viva sotto scorta, continua anche oggi, in questo momento così delicato, a riflettere sul presente e a raccontare il passato. Perché dagli errori di ieri si possa imparare, scongiurando nuovi rischi. Nell'intervista inedita che apre questo libro, parla della sorte di israeliani e palestinesi, esprime sconforto per le vittime innocenti dell'una e dell'altra parte, confessa di sperare ancora nella soluzione «due popoli, due Stati». E non mancano i timori per il destino dell'Ucraina, così come per le tensioni autoritarie e gli altri conflitti che attraversano il mondo. Completa il volume una scelta delle rubriche, degli interventi e dei discorsi pubblici più significativi. Ciò che ne nasce, a ottant'anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale e dalla liberazione di Liliana Segre dai lager nazisti, è una riflessione di altissimo profilo su guerra, pace e democrazia. Ma anche un accorato appello a lasciare ai bambini di oggi un mondo migliore, pacificato, contro ogni spirito di vendetta.
I diritti umani hanno una 'storia breve' e una 'storia lunga'. Quella 'breve' l'hanno scritta i Paesi del Nord, ricchi e sviluppati, e comincia con la seconda guerra mondiale. Quella 'lunga' inizia invece nel 1492, con la cosiddetta 'scoperta' dell'America e la creazione europea di un sistema coloniale e criminale. Un sistema fondato su omicidi di massa (50 milioni di morti solo nelle Americhe), sulla privazione di diritti e sulla deumanizzazione. Zaffaroni propone un percorso critico legato ai molteplici modi in cui il colonialismo ha trovato espressione fattuale e ideologica, mettendo in discussione il suo rapporto con i diritti umani, originariamente celebrati come un trionfo proprio dalla stessa civiltà che ha teso la mano al patriarcato, alla misoginia, alla discriminazione, al razzismo e al classismo. Dallo smembramento dell'Africa al tardo colonialismo finanziario contemporaneo, passando per il colonialismo britannico in India e Oceania o quello francese in Indocina, i crimini dell'espansione americana e russa, i massacri delle repubbliche dell'ex Unione Sovietica e i crimini degli Stati Uniti e della Russia, i massacri delle repubbliche oligarchiche americane, le guerre in Congo, Algeria, Madagascar, Camerun, Malvinas, Iraq, Libia e Balcani, Zaffaroni porta alla luce questa 'storia lunga', occultata per giustificare tali atrocità con la sedicente superiorità della cultura colonizzatrice. Oggi, più che mai, dobbiamo riscattare la memoria di questi crimini e riconoscere che fanno parte della storia dei diritti umani. Le guerre e i conflitti esplosi di recente (dall'Ucraina a Gaza) ci mostrano che i diritti umani come categoria giuridica avranno un futuro solo se usati come strumento di lotta giuridica dei popoli, in grado di emanciparli da una posizione di subordinazione geopolitica.
L'Italia ha partecipato alla Seconda guerra mondiale perché costretta dall'alleato nazista? I soldati mandati in guerra dal fascismo hanno combattuto con coraggio e sono stati sconfitti a causa della sovrabbondanza di uomini e mezzi di inglesi, russi e americani? È stata, dunque, solo la 'sfortuna' a piegare la volontà guerriera del fascismo? In realtà, Mussolini fu un pessimo leader militare circondato da una casta militare connivente che ne assecondò i progetti imperiali nel Mediterraneo e nei Balcani. Il regime aveva sognato di trasformare il nostro Paese in una grande potenza, sovvertendo l'ordine mondiale assieme agli alleati tedeschi e giapponesi. Alla prova dei fatti, questo sogno si rivelò per quello che era in realtà, ovvero una fantasia evanescente, come mostrarono presto sconfitte, fame e bombardamenti. Senza una chiara strategia e frustrate, le forze armate fecero ricorso, nei territori occupati, alla violenza contro i civili e a crimini di guerra. A mancare non furono la fortuna o il valore ma la capacità di fare quella guerra verso cui il fascismo aveva teso per vent'anni.
1283: è da poco scoppiata la rivolta del Vespro siciliano che vede contrapposti il re Carlo d'Angiò e il re Pietro III d'Aragona. Quel conflitto politico-economico per il dominio di territori, rotte commerciali e mercati infiamma tutto il Mediterraneo. Si decide che sarà un duello tra i due sovrani a definirne gli esiti. Precisissimi trattati regolamentano nel dettaglio ogni cosa. Il suggestivo apparato scenografico, ispirato alle più nobili imprese cavalleresche dei romanzi, è costruito per colpire l'immaginazione del mondo intero. Oltre ai due re, partecipano indirettamente alcuni personaggi straordinari come il papa Martino IV, il re d'Inghilterra Edoardo I e Stefano di San Giorgio, abile diplomatico e anche temibile 007 ante litteram. A Bordeaux, luogo destinato a ospitare l'atteso e sbalorditivo duello, chi perderà andrà via lasciando sul campo dignità, onori e titoli, o almeno è quanto tutti credono. Ma davvero gli interessi delle nazioni si sottometteranno alle regole della cavalleria? O si tratta solo di una spettacolare messa in scena?
Di cosa parliamo quando parliamo di Occidente? Dopo l'elezione di Trump, sembra giunto al termine quel concetto di Occidente tutto geopolitico, dove Europa occidentale e Stati Uniti, difensori di democrazia e libertà, si contrapponevano alla 'barbarie' orientale, russa e cinese. Intanto, Giappone, Cina e India propongono altri Occidenti, portatori di altre 'modernità', contrapposte - o comunque alternative - alla modernità occidentale. Stiamo assistendo al crollo dell'Occidente così come lo abbiamo conosciuto?
Confuso con il reazionario o con il liberale, il conservatore viene associato al mondo anglosassone, eppure esiste un'importante tradizione di conservatorismo italiano con una propria identità. Francesco Giubilei traccia la storia del conservatorismo italiano individuandone la genesi già nell'antica Roma e riscontrando nel cattolicesimo, nel Medioevo, nell'esperienza della Serenissima e nel contrasto alle derive giacobine della Rivoluzione francese i suoi tratti salienti. Da Catone il Censore e Cicerone a Giambattista Vico, da Vincenzo Cuoco e Giacomo Leopardi fino a Giuseppe Prezzolini arrivando a Leo Longanesi e Indro Montanelli, l'autore individua le figure ascrivibili a una tradizione di conservatorismo italiano e si sofferma sulle cause della mancanza nel Novecento di un grande partito conservatore italiano arrivando, infine, alla nascita del governo guidato da Giorgia Meloni, il primo Presidente del Consiglio a definirsi conservatore.
Il percorso delineato da questi discorsi e messaggi mostra la complessità del pensiero e dell'azione di Alcide De Gasperi, fra tradizione e modernità, tra continuità e intuizioni destinate a pesare nella seconda metà del Novecento. Tra i discorsi selezionati, ancora alcuni inediti, come quello per la festa degli alberi, o quelli tenuti nei suoi importanti viaggi nel Mezzogiorno e ad uno dei congressi della Confederazione dei coltivatori diretti. Quando scoppia la crisi bellica nella lontana Corea, nel 1950, sotto le pressioni americane, l'Italia dovrebbe celermente riarmarsi; invece De Gasperi resiste e insiste nel dare forma pubblica e contenuto politico alle leggi della riforma agraria e della Cassa per il Mezzogiorno. La terra diventa così uno strumento di stabilizzazione sociale e il simbolo di un governo che procede, nel pieno della guerra fredda, a rispondere in modo costruttivo alle sfide del dopoguerra, in chiave anticomunista ma anche antifascista. Si può leggere così un pezzo di storia italiana ma anche dell'Europa in formazione, gustando i riferimenti a una politica per la montagna e l'amore di De Gasperi per la terra e la natura, la sua conoscenza delle colture e delle culture, il rispetto per il lavoro dei contadini cui viene riconosciuta un'importante funzione nazionale, l'impegno per una politica di investimenti pluriennali nel Mezzogiorno alla luce della solidarietà fra il Sud e il Nord, con una sensibilità moderna e appassionata, figlia del suo tempo ma interessante anche ai giorni nostri.
40 vittime del fascismo. Donne e uomini, spesso molto giovani, che hanno sacrificato la propria vita per combattere il totalitarismo fascista, dalla nascita dei Fasci di combattimento, nel 1919, alla caduta della Repubblica sociale nel 1945. Dal racconto di coloro che hanno scelto la libertà e rifiutato di sottomettersi alla dittatura, emerge il variegato arcipelago di un'opposizione che non si è mai arresa, nemmeno negli anni più bui, quando parte significativa della società inneggiava al duce, e ha poi trovato nella Resistenza (armata e civile, maschile e femminile, contadina e cittadina) l'esperienza collettiva che ha segnato il riscatto del popolo italiano. L'opposizione ha coinvolto tutte le generazioni, ha trovato volontari in ogni ceto e regione: il racconto di chi ha sacrificato la propria vita in questa lunga battaglia è una sorta di staffetta durata ventisei anni, in cui il testimone della libertà è stato raccolto da chi subentrava alle vittime con nuovo slancio e ne onorava l'esempio. Dall'operaia ventenne Teresa Galli, la prima vittima dello squadrismo il 15 aprile 1919 a Milano, fino a Roberto Lepetit, morto nel Lager di Ebensee il 4 maggio 1945: 40 itinerari di donne e uomini che ci raccontano cos'è stato il fascismo e come lo hanno contrastato minoranze indomite. Una scelta di libertà per noi tutti, da conoscere e onorare a ottant'anni dalla Liberazione.
Già prima dell'Unità, per tutto l'Ottocento e sempre di più poi nel Novecento, furono numerose le italiane che vollero essere giornaliste, a tutti gli effetti e correndone tutti i pericoli, affrontando gli ostacoli di una misoginia ostinata e feroce. In questo la monarchia cosiddetta liberale e il fascismo si passarono il testimone e perfino la Repubblica, in barba alla sua Costituzione, fece fatica a cambiare passo. Di questo racconta questo libro: della scalata per appropriarsi di una voce pubblica, ma anche della libertà di movimento, del potere contrattuale, dell'autorevolezza che il giornalismo impone. L'esempio veniva dall'estero, da nomi grandissimi come George Sand e Nellie Bly. Ma, benché in Italia gli ostacoli furono spesso ceppi, molte furono anche da noi le protagoniste di un'epopea che è incredibilmente ricca di figure, alcune delle quali molto note: da Matilde Serao a Flavia Steno, da Olga Ossani a Oriana Fallaci. Era ora di raccontare questa storia e chiedersi se la parità di genere è stata raggiunta e grazie a quali battaglie.
Pio XII è una figura controversa. Da un lato protagonista di azioni riconosciute a tutela delle vittime del nazifascismo, in particolare nei mesi drammatici dell'occupazione di Roma; dall'altro accusato per i troppi 'silenzi' a fronte delle notizie drammatiche che arrivavano in Vaticano, già dal 1939, dai territori occupati da Hitler, a partire dalla Polonia. Andrea Riccardi ricostruisce la storia e le ragioni di quei silenzi, avvalendosi di una ricca documentazione consultabile per la prima volta. Un'originale ricostruzione dell'atteggiamento del Vaticano nei confronti del nazismo negli anni drammatici del secondo conflitto mondiale e una riflessione sul ruolo e sulle responsabilità di Pio XII.