
La ricerca storica è fatta, sovente, d'intuizioni. La specializzazione degli studi ha contribuito a complicare la comprensione di fenomeni fortemente interrelati: «riforma ecclesiastica», «crociata» e «comune» riguardano allo stesso modo i secoli XI e XII (e non solo quelli, ovviamente), eppure, quasi mai s'è tentato d'instaurare fra loro qualche relazione. L'obiettivo di questo libro è ricostruire il contesto in cui operò Urbano II ridefinendo il significato stesso di crociata alla luce del suo epistolario. In tal modo ci si propone di comprendere se e in che misura il bando d'una spedizione militare in Oriente - funzionale all'affermazione del primato petrino - abbia avuto un ruolo nel favorire, all'interno del Regnum Italiae, quel moto di progressivo affrancamento delle strutture politiche cittadine dall'assetto ereditato dall'età carolingio-ottoniana che avrebbe dato linfa al fenomeno comunale.
La persecuzione fascista contro gli ebrei fu una pagina tragica della storia italiana, a lungo rimossa dalla memoria collettiva. Si diffuse l'idea che la legislazione antiebraica fascista non fosse troppo dura e che la responsabilità degli arresti e delle deportazioni fosse esclusivamente dei nazisti. Solo con gli anni sono emersi la radicalità dell'antisemitismo fascista e il decisivo ruolo di Mussolini. Il settore da cui nel 1938 si avviò la politica persecutoria fu quello dell'istruzione, ritenuta il cardine attraverso cui plasmare la mentalità degli italiani, e un ruolo di primo piano, per elaborare e propugnare il razzismo di Stato, sarebbe stato occupato dall'università. Il libro ricostruisce l'applicazione della legislazione antiebraica all'Università di Milano, dove la svolta antisemita fascista colpì quaranta tra professori, aiuti e assistenti. In molti casi erano illustri studiosi, che avevano messo a disposizione della causa fascista il proprio sapere; personalità diverse, per età ed esperienze, le cui vite vennero tragicamente accomunate dalla persecuzione. L'autore ne ripercorre le storie, raccontando le loro carriere, l'adesione al fascismo e il rapporto con l'ebraismo; ma anche l'allontanamento dall'accademia, le scelte di vita, la ricerca della salvezza e il ritorno a guerra finita. Sono storie di privazione, di fuga, di resistenza e, purtroppo, anche di deportazione. Al termine del conflitto, molti decisero di riprendere il proprio posto, spesso al fianco di chi li aveva sostituiti, in una sorta di continuità con il passato. Così fu anche per gli studenti, il cui ritorno fu segnato dall'indifferenza con cui ripresero gli studi. Come nota Michele Sarfatti nella prefazione, il libro intreccia la storia generale alle storie dei singoli, mettendo in luce il processo di rimozione che ha caratterizzato la realtà italiana del dopoguerra e contribuendo così all'adozione di uno sguardo «democratico e sincero su quel passato». Presentazione di Massimo Castoldi.
La Rosa Bianca è il nome con cui si firmava, durante la seconda guerra mondiale, un gruppo di giovani tedeschi di diversa estrazione sociale e culturale. Di ispirazione cristiana e accomunati dal medesimo desiderio di libertà e dalla forte tensione morale, si opposero al regime nazista con pericolose azioni clandestine. Nel giugno del 1942 il gruppo diffuse un volantino ciclostilato che incitava alla ribellione e alla resistenza al nazismo in nome della libertà, della giustizia e della concordia tra i popoli. A questo volantino ne seguirono altri cinque, fino a quando, il 18 febbraio 1943, due dei giovani vennero arrestati all'interno dell'università di Monaco. La Gestapo, che aveva già incominciato a indagare, individuò anche gli altri componenti del gruppo. All'arresto seguiranno il processo e l'esecuzione capitale. In queste pagine è ripercorsa la storia di Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst e di tutti i membri della Rosa Bianca che si opposero alla barbarie del nazismo a prezzo della loro vita. Il loro ricordo - a ottant'anni dall'uccisione - è più vivo che mai.
Lód?, primavera del 1947. Sul banco degli imputati della Corte Distrettuale siede Hans Biebow, nato a Brema nel 1902 e che, durante la guerra, era stato amministratore (Amtsleiter) del ghetto di Lód?. Lo stato polacco considera quest'uomo, alto, biondo e dagli occhi azzurri, come uno dei dieci peggiori criminali nazisti ancora in circolazione, al pari di Rudolf Höß (capo di Auschwitz), Arthur Greiser (Gauleiter del Warthegau) o Hans Frank (governatore del Governatorato Generale). Ma Biebow non era un militare e nemmeno un alto esponente del partito nazionalsocialista. Perché allora tutta questa attenzione per chi sulla carta non fu mai nulla più di un amministratore civile? La risposta si trova all'interno di quella intricata matassa che furono le politiche di gestione nazista relative ai territori occupati. Grazie alla mole di documenti oggi disponibili, è possibile ricostruire quella che fu a tutti gli effetti una grande mise en scène. Una tragedia corale fatta di miti e di lotte di potere. Una ricerca sconvolgente sulla banalità del male, sulla meschinità e sulla codardia di coloro che 'ubbidirono soltanto agli ordini'.
In un'opera scritta da un frate milanese del Trecento, Galvano Fiamma, si nasconde una breve menzione di una terra chiamata Marckalada, situata a ovest della Groenlandia. I marinai che viaggiano per i mari del Nord ne parlano come di una terra ricca di alberi e animali, dove si trovano grandi edifici e vivono dei giganti. È una notizia sensazionale: la prima menzione del continente americano nell'area mediterranea, un secolo e mezzo prima del viaggio di Colombo. Ma chi è Galvano Fiamma e da dove ricava queste informazioni? Cosa si sapeva davvero in Italia delle regioni al di là dell'oceano? Per rispondere a queste domande sarà necessario interrogare molti suggestivi personaggi: gli esploratori vichinghi che dall'Islanda approdarono sulle coste americane; il prete del porto di Genova, che tracciava carte geografiche; i mercanti che dal Mediterraneo si recavano al Nord per acquistare pellicce e uccelli da preda; gli imbarcati sulle galee genovesi scomparse nell'Atlantico mentre cercavano di raggiungere l'India navigando verso ovest. Il risultato è una ricerca appassionante come una spy story, una trama internazionale ricca di colpi di scena.
Senza dubbio, la Costituzione repubblicana ha contribuito a costruire l'Italia e a darle la sua forma attuale. Al tempo stesso, però, il nostro paese l'ha utilizzata e interpretata secondo le proprie necessità, mutate nel tempo, e le proprie identità. Nella matrice originale della Carta operano 'più valori che norme': i valori sociali delle maggiori forze in campo, cattoliche e social-comuniste, dettano l'agenda, sovrastando le culture liberaldemocratiche delle varie 'terze forze'. Negli anni si susseguono e puntualmente falliscono i tentativi di riformare la Costituzione, mentre si compie il ciclo della nascita e morte dei partiti, attraverso il terremoto di fine Novecento e l'affermazione di nuovi movimenti. Al sistema elettorale proporzionale subentra allora il fascino del maggioritario e, con esso, anche l'eterna paura del tiranno, dell'uomo solo al comando. Intanto l'arretramento dello Stato e la fine dei partiti hanno fatto emergere nella società civile e nella politica nuove costellazioni di interessi e di poteri, economici, territoriali, sociali, rafforzando antichi e nuovi 'corporativismi'. Sempre più incisivo, si afferma il ruolo esercitato nell'indirizzare le sorti del paese dal diritto, dai diritti, dalla magistratura e dalla Corte costituzionale.
Dopo la fine dello Stato indipendente asmoneo ad opera di Cneo Pompeo, nel 63 a.C., l'ampia vicenda storica delle rivolte degli ebrei di Palestina e della diaspora contro la dominazione romana assunse caratteristiche e dimensioni fino ad allora inedite: da una mera lotta per l'indipendenza nazionale si passò talvolta a una guerra d'ispirazione apocalittica, coinvolgente cielo e terra, Dio e Satana (Belial), intesa come chiave di volta per l'instaurazione del regno messianico. La radicalità di questa posizione, in certa misura, fu la premessa per i drammi successivi: un insegnamento eloquente anche per chi vive esperienze analoghe ai nostri giorni.
Il giovane Gaio Giulio Cesare Germanico, meglio conosciuto come Caligola, ha avuto un breve regno come imperatore di Roma, poco meno di quattro anni, ma è passato alla Storia come un tiranno pazzo e crudele. La figura di Caligola è una di quelle tra gli imperatori romani che maggiormente sopravvivono ancor oggi, anche perché il suo principato fu da sempre percepito come una vera e propria parabola dell'abuso di potere e della tirannia senza freni e limiti. Sulla scia della storiografia degli ultimi anni, che mette in discussione il ritratto parossisticamente negativo di Caligola trasmesso dagli autori antichi, questo volume delinea la sua complessa personalità, affrancando - almeno in parte - l'immagine di un principe ritenuto folle, cercando di individuare un disegno politico coerente nei quasi quattro anni del suo principato. Caligola, pur non essendo pazzo, stando al racconto delle fonti, presenta il profilo di uno psicopatico nel senso clinico del termine: egli era a tal punto preso dal senso della propria preminenza da non sentire alcuna responsabilità morale e nessun freno. Questa cieca furia era probabilmente il risultato delle tragiche esperienze vissute nella prima giovinezza e del brusco passaggio da un anonimato trascorso in una sorta di carcere dorato alla corte di Tiberio a quello di princeps dell'Impero romano, con un potere pressoché illimitato, che nel breve volgere di pochi mesi lo portò a una visione del mondo totalmente egocentrica. Il principato di Caligola rappresentò la palese dimostrazione che l'assetto istituzionale creato da Augusto rischiava di degenerare in potere assolutistico dinnanzi ad un princeps dalle tendenze dispotiche.
Don Gilberto Pozzi, con l'aiuto del maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Cortile e di Nella Molinari, diede vita a Clivio (VA) a una cellula partigiana che combatté una guerra senza armi, procurando false identità a ebrei, profughi e persone invise ai nazifascisti, permettendogli così di scampare alla deportazione. Fu tra i fondatori della cellula O.S.C.A.R. (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati), che favorì l'espatrio clandestino in Svizzera di ex prigionieri e dissidenti, e collaborò con le "Aquile Randagie", un movimento scout clandestino nato durante il Ventennio fascista. Definito lo "Schindler di Clivio", Pozzi venne imprigionato nel carcere di San Vittore a Milano e liberato grazie all'intervento del cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster; mentre il maresciallo Cortile morì nel campo di Mauthausen-Melk. Don Gilberto proseguì il suo ministero sacerdotale anche dopo la guerra e per la sua attività umanitaria ricevette l'encomio del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano.
C'è sempre stato un legame speciale tra Italia e Vaticano. Tra alti e bassi, abbiamo alle spalle venti secoli di convivenza tra il cuore del cattolicesimo e la terra gentile che gli ha dato sede e ha avuto in cambio fede. La coppia Stivale-Cupolone ha resistito a tutto, anche alla occupazione di Roma da parte degli italiani a suggello del Risorgimento. Ora è cambiato tutto, radicalmente. La separazione è un dato di fatto. La crisi italiana è figlia di quella europea. La classe dirigente - politica e culturale - sta trasformando il Vecchio Continente in un dirittificio, in balìa di una tecno-scienza che promette l'avvento dell'homo-Deus, stadio estremo dell'utopia rivoluzionaria. Ma non tutto è perduto. Uomini e donne di buona volontà, con l'aiuto del Cielo, possono fare miracoli. È già accaduto. Potrebbe accadere di nuovo.
Tra il settimo e il sedicesimo secolo i musulmani conquistarono vaste aree delle regioni mediterranee e dell'Europa centro-orientale abitate prevalentemente da cristiani. Alcuni di quei territori, la cui popolazione nel frattempo era divenuta in maggioranza musulmana, furono riconquistati dai cristiani tra l'undicesimo e il quindicesimo secolo. Sovrani e sudditi si sono dunque trovati spesso a professare fedi diverse, ma quali sono state le strategie elaborate dalle élite nel corso dei secoli per governare questo avvicendamento di fedi e popoli? E cosa avvenne quando cambiarono gli equilibri e le genti "infedeli" divennero minoranza? Questo libro esamina i complessi rapporti tra dominatori e sudditi di religioni diverse, osservandone l'evoluzione nell'ampio arco cronologico che va dalle prime conquiste degli Arabi nel Vicino Oriente nel settimo secolo, allo scambio nel 1923 tra Turchia e Grecia dei cristiani e musulmani residenti nei loro territori. Quanto emerge da uno sguardo così ampio, gettato sulla storia di un intreccio di culture tanto prossime, smonta molti pregiudizi ponendo domande che ci riguardano ancora.