
Questo libro indaga innanzitutto i conflitti e i tormenti che caratterizzano il rapporto tra fratelli e sorelle. Il primo moto che orienta questo rapporto non è, infatti, quello della fratellanza o della sorellanza ma quello dell'odio e dell'inimicizia. Con la nascita di un fratello o di una sorella la nostra vita si trova esposta al regime plurale del Due, all'impossibilità di essere un Uno indiviso. E la prima tendenza pulsionale dell'umano non è quella di accogliere il Due, ma quella di respingerlo, di negarne l'esistenza. Non può allora essere la Natura - la sostanza del sangue - a fondare un legame di fratellanza o di sorellanza. I fratelli e le sorelle rischiano sempre il conflitto aperto, la lotta senza esclusione di colpi, l'aggressività inesausta di una rivalità invidiosa e gelosa che sembra non conoscere alcuna pacificazione possibile. Come si può allora divenire fratelli e sorelle al di là del mito della consanguineità? Come si realizza una fratellanza e una sorellanza che non siano preda dell'odio, dell'invidia o della rivendicazione aggressiva? È possibile realizzare un legame solidale discreto senza la pretesa che tutto sia condiviso, senza annullare l'esistenza separata dell'Altro, senza voler a tutti i costi costringere il reale del Due dentro il recinto chiuso dell'Uno? Il sangue non è la sostanza della fratellanza.
Emilia del Valle Walsh nasce a San Francisco nel 1866. Sua madre, Molly Walsh, è una suora irlandese sedotta da un aristocratico cileno. Emilia cresce nel cuore di un umile quartiere messicano, diventando una giovane donna brillante e indipendente che sfida le norme sociali per perseguire la sua passione per la scrittura. Da giovanissima, inizia a scrivere romanzi d'avventura sotto lo pseudonimo di Brandon J. Price, ma la sua carriera decolla quando diventa editorialista al San Francisco Examiner. Emilia convince il suo editore a mandarla in Cile per coprire una guerra civile con interessi economici e politici statunitensi. Così, nel 1891, si ritrova a Santiago, una città sull'orlo del baratro. Ospite della (già nota ai lettori) mitica Paulina del Valle, vive gli scontri in prima linea, s'innamora e riprende contatto con il padre biologico in punto di morte. Emilia dovrebbe tornare a San Francisco, anche per coronare il suo amore, ma decide prima di voler vedere una piccola proprietà terriera, l'unica eredità lasciatale dal padre, nei pressi del lago Pirihueico, in una zona disabitata di inviolata bellezza naturalistica. Una storia di amore e guerra, di scoperta e redenzione, raccontata da una giovane donna coraggiosa che affronta sfide monumentali, sopravvive e si reinventa.
La Genesi, Bereshith, è il libro delle origini, il racconto della creazione e delle prime grandi storie dell'umanità. Ma è anche un testo enigmatico, denso di significati nascosti e aperto all'interpretazione. In questo dialogo a due voci, Erri De Luca e Haim Baharier si confrontano con i primi capitoli della scrittura sacra, dando vita a un'opera che è al tempo stesso racconto e commento, poesia e studio, visione e scavo nella parola. De Luca affronta la Genesi con il suo inconfondibile stile narrativo: prende i dettagli e li trasforma in storie, restituendo corpo e anima a uomini e donne che troppo spesso restano ai margini. Baharier, invece, si muove nel solco della tradizione esegetica ebraica, esplorando la ricchezza del linguaggio biblico, decifrando lettere e simboli che compongono le parole sacre, sciogliendo stratificazioni di senso. Adamo, Noè, Abramo, Isacco: i patriarchi della Genesi tornano a vivere in queste pagine, non come figure lontane ma come uomini di carne e ossa, immersi nel mistero del loro tempo e delle loro scelte. Il rapporto con il divino, il senso della legge, la tensione tra libertà e obbedienza sono temi che emergono con forza da questo confronto, dove la scrittura sacra si rivela ancora una volta libro vivo e capace di parlare al presente. Un'opera che riporta la Genesi alla sua dimensione originaria: testo da interrogare, da raccontare, da far risuonare nel tempo. Un libro che è incontro tra narrazione e interpretazione, tra poesia e sapere, tra voce e ascolto. Due voci, due modi di leggere la scrittura sacra. Erri De Luca narra la Genesi con la forza della letteratura, Haim Baharier ne esplora i significati nascosti, attraverso la profondità della tradizione esegetica ebraica. Un dialogo tra parola e interpretazione, tra poesia e studio, tra racconto e ricerca del senso. Un libro che riporta la Scrittura alla sua essenza più viva: essere letta, interrogata, riscoperta.
Nino, giovane panettiere siciliano, viene catturato dopo l'8 settembre. Dell'armistizio non ha capito granché, credeva che i tedeschi lo rispedissero a casa dalla sua famiglia, nelle Madonie, invece quel treno lo ha portato in un campo di prigionia oltre le Alpi, a patire fame, freddo e paura. Nino è un IMI, un internato militare, senza nemmeno i diritti di un prigioniero. Qualche conforto gli viene dall'amicizia con Lorenzo, un giovane toscano spigliato, che con lui lavora nelle cucine governate dal Piemontese, un gigantesco macellaio. Insieme, i tre colgono l'occasione dello scompiglio per i festeggiamenti di capodanno del '44 per fuggire. Ma fuori il freddo, la fame e la paura non mordono meno: orientarsi non è semplice, trovare cibo e riparo è un'impresa, e la gente è terrorizzata e feroce. La Sicilia sembra irraggiungibile e Nino lascia sul terreno, chilometro dopo chilometro, innocenza e giovinezza. Eppure, a sorreggerlo nel suo interminabile viaggio attraverso i territori occupati dai nazisti, dove combattono le bande partigiane e continuano i bombardamenti, e poi nella devastazione di un Sud martoriato dall'avanzata degli Alleati, c'è il ricordo della bellezza, il calore degli affetti. Mentre si nutre con le lumache rosse che emergono dal terreno dopo la pioggia, emergono anche le sue memorie: la festa del Santo a Ferragosto, il profumo di burro e vaniglia dei biscotti preparati dal padre, il sapore dei babbaluci in umido, l'emozione della Targa Florio, la celebre corsa automobilistica. E il calore dei baci di Maria Assunta che, forse, lo sta ancora aspettando e che lui desidera riabbracciare a ogni costo. Ispirato a una storia familiare, "La strada giovane" è il primo romanzo di Antonio Albanese, che rivela un talento per la narrazione tesa, a tratti drammatica, venata di tenerezza. Nino è un protagonista struggente e vero, di cui è impossibile non innamorarsi.
Accostarsi al pensiero di Michel de Certeau significa avvicinarsi a un oggetto vivo che sfugge ogni tipo di vera catalogazione. La sua opera attraversa, infatti, molteplici campi disciplinari che vanno dalla storia alla psicoanalisi, alla filosofia e alle scienze sociali. Figura quanto mai poliedrica, sacerdote gesuita, ha sempre accompagnato la sua attività di studioso all'insegnamento. Se ormai siamo abituati a leggere la crisi come un sintomo negativo della persona, della società e persino dell'esperienza di fede, dobbiamo invece ridarle un valore completamente nuovo e vedere in essa non la fine, bensì la vita che torna a essere viva. Ecco il contributo di un maestro come de Certeau. Luigi Maria Epicoco ci offre in questo profilo un resoconto dell'attualità del metodo del gesuita, storico e intellettuale francese, che rimette al centro la dimensione conflittuale contemporanea, assumendola attraverso quelle categorie in cui non viene meno l'alterità. La vita e l'opera di Michel de Certeau, pensatore costantemente attuale, teologo, filosofo e storico.
Al centro di questo libro c'è il rapporto della vita umana con l'esperienza traumatica della perdita. Un'esperienza che ci accomuna tutti, tanto che potremmo dire che non si può pensare la vita senza avere contezza del suo opposto, la morte. Ma, quando perdiamo qualcuno che abbiamo profondamente amato, ci sembra che si apra davanti a noi un vuoto dentro cui è impossibile ritrovare coordinate e direzioni. Quanto lavoro serve per tornare a vivere? E cosa succede quando non ci riusciamo? Ragionare su queste domande significa iniziare un percorso dentro noi stessi. Attraverso un vero e proprio "lavoro del lutto", Recalcati si addentra nello squarcio che la perdita apre tra il mondo dei vivi e quello di chi non c'è più, e ne tira fuori una serie di riflessioni che di quel dolore fanno una risorsa. Infatti, mentre il nostro tempo esalta il futuro, il progetto e l'intraprendenza, il lutto e la nostalgia ci invitano invece a guardarci indietro. Ma non è un gesto di impotenza. Come la luce delle stelle che vediamo la notte appartiene a corpi celesti esplosi milioni di anni fa, così anche il dolore per la perdita dei nostri cari può continuare a illuminare la nostra strada, alimentando le risorse che ci servono per non smettere mai di nascere, ancora e ancora. "Può la luce arrivare dal passato? Può esserci luce nella polvere?".
Si possono abbandonare il proprio padre e la propria madre? Si può sbattere la porta, scendere le scale e decidere che non li si vedrà più? Mettere in discussione l'origine, sfuggire alla sua stretta? Dopo dieci anni sottratti al logoramento di una violenza sottile e pervasiva tra le mura di casa, finalmente un figlio può voltarsi e narrare la sua disgraziata famiglia e il tabù di questa censura "con la forza brutale del romanzo". E celebrare così un lacerante anniversario: senza accusare e senza salvare, con una voce "scandalosamente calma", come scrive Emmanuel Carrère a rimarcarne la potenza implacabile. Il racconto che ne deriva è il ritratto struggente e lucidissimo di una donna a perdere, che ha rinunciato a tutto pur di essere qualcosa agli occhi del marito, mentre lui tiene lei e i figli dentro un regime in cui possesso e richiesta d'amore sono i lacci di un unico nodo. L'isolamento stagno a cui li costringe viene infranto a tratti dagli squilli di un apparecchio telefonico mal tollerato, da qualche sporadico compagno di scuola, da un'amica della madre che viene presto bandita. In questo microcosmo concentrazionario, a poco a poco si innesta nel figlio, e nei lettori, un desiderio insopprimibile di rinascita - essere sé stessi, vivere la propria vita, aprirsi agli altri senza il terrore delle ritorsioni. Con la certezza che, per mettersi in salvo, da lì niente può essere salvato. L'anniversario è prima di tutto un romanzo di liberazione, che scardina e smaschera il totalitarismo della famiglia. Ci ferisce con la sua onestà, ci disarma con il suo candore, ci mette a nudo con la sua verità. È lo schiaffo ricevuto appena nati: grazie a quel dolore respiriamo. Dieci anni fa, quel giorno, ho visto i miei genitori per l'ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.
Settembre 1962. Severina riceve il suo primo incarico come insegnante in un paesino dei Pirenei spagnoli, realizzando così i suoi più grandi desideri: vedere la neve, avere una casa e, forse, sentire di appartenere finalmente a un luogo. Si lascia alle spalle un'infanzia e un'adolescenza trascorse in isolamento dal resto del mondo, segnate dai misteriosi viaggi del padre, dalla malattia della madre - scissa tra il desiderio di tenerla lontana dall'ideologia del regime franchista e quello di prepararla ad affrontare la realtà - e dai rari soggiorni a Barcellona presso la zia. Ignara delle regole e delle ferite della comunità rurale in cui si è insediata, Severina è chiamata a ricomporre i tasselli della trama che lega la sua vita al passato collettivo, aiutata dall'amicizia di un uomo misterioso che esercita su di lei un fascino magnetico, e che tutti in paese chiamano la Bestia. La vicenda di Severina ripercorre la storia della Spagna dagli anni più bui del franchismo alla transizione democratica vitalista e allegra - sullo sfondo prima di una provincia solitaria e maestosa, poi di una Barcellona che "si fa bella" in pieno boom economico -, per riscattare la memoria storica e ottenere giustizia per i vinti della guerra civile. Il ritratto di una ragazza che impara a leggere tra le righe della storia del suo paese. Un romanzo di formazione travolgente e pieno di umorismo, con una protagonista fuori dagli schemi.
Tre giorni dura il ritorno a Trieste di Alma, che dalla città è fuggita per rifarsi una vita lontano, e ora è tornata per raccogliere l'imprevista eredità di suo padre. Un uomo senza radici che odiava il culto del passato e i suoi lasciti, un padre pieno di fascino ma sfuggente, che andava e veniva al di là del confine, senza che si potesse sapere che lavoro facesse là nell'isola, all'ombra del maresciallo Tito "occhi di vipera". A Trieste Alma ritrova una mappa dimenticata della sua vita. Ritrova la bella casa nel viale dei platani, dove ha trascorso l'infanzia grazie ai nonni materni, custodi della tradizione mitteleuropea, dei caffè colti e mondani, distante anni luce dal disordine chiassoso di casa sua, "dove le persone entravano e se ne andavano, e pareva che i vestiti non fossero mai stati tolti dalle valigie". Ritrova la casa sul Carso, dove si sono trasferiti all'improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Vili che da un giorno all'altro è entrato nella sua vita cancellando definitivamente l'Austriaungheria. Adesso è proprio dalle mani di Vili, che è stato "un fratello, un amico, un antagonista", che Alma deve ricevere l'eredità del padre. Ma Vili è l'ultima persona che vorrebbe rivedere. I tre giorni culminanti con la Pasqua ortodossa diventano così lo spartiacque tra ciò che è stato e non potrà più tornare - l'infanzia, la libertà, la Jugoslavia del padre, l'aria seducente respirata all'ombra del confine - e quello che sarà. Federica Manzon scrive un romanzo dove l'identità, la memoria e la Storia - personale, familiare, dei Paesi - si cercano e si sfuggono continuamente, facendo di Trieste un punto di vista da cui guardare i nostri difficili tentativi di capire chi siamo e dov'è la nostra casa.
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere una collezione di scatolette di fiammiferi per poi essere costretto per oltre cinquant'anni a collezionarle davvero. Ormai vedovo e ottantenne, con mille acciacchi e le giornate vuote, Cesare si trova ad affrontare un agosto in città. Nel condominio al Vomero sono rimasti in pochi: c'è la dirimpettaia gattara, ossessionata dalla telecamera al pianterreno; l'amico di una vita con cui Cesare gioca la stessa partita di scacchi da anni; e Lady Blonde, un'adolescente che non si stacca mai dal cellulare. E soprattutto ci sono i ricordi, ricordi subdoli che si insinuano dappertutto. Proprio lui che si è sempre dichiarato immune ai sensi di colpa, ora si trova a fare i conti con mille domande. E se nella vita fosse stato più risoluto, dolce e accogliente? Se avesse trovato il coraggio di lasciare la moglie? Se avesse passato più tempo con i figli? Se, in definitiva, avesse sbagliato tutto? Finché un giorno, nel parco in cui è solito portare Batman, il cane affidatogli dalla figlia, Cesare nota una ragazza dai capelli corti spruzzati di viola. Si chiama Iris e ha negli occhi qualcosa di fragile e familiare. È l'inizio di una goffa ma tenera amicizia, in cui Cesare trova inaspettatamente conforto. D'un tratto, ci sono persone di cui deve, e vuole, occuparsi, e questo lo fa sentire felice. D'un tratto, non c'è più da rimuginare, ma da agire, da aiutare. Perché la vita a volte capita quando meno te lo aspetti, e bisogna trovare il coraggio di afferrarla al volo.