Questo volume presenta una sintesi delle ricerche di don Gilberto Pressacco sulle origini e le peculiarità del cristianesimo aquileiese. Coniugando competenze di teologia, pratica corale, storia della musica e della danza, lo storico friulano ha dato un importante contributo alla comprensione dei meccanismi di evangelizzazione dell'alto adriatico. Proprio a partire dai risultati di tali ricerche, il libro offre una chiave preziosa per rileggere quel tratto di identità mediterranea, frutto di una particolare mediazione tra il cristianesimo e l'ebraismo, che per secoli è rimasto sepolto nei rituali arcani delle campagne friulane.
Il fiato lungo di una ricerca si rivela nel suo metodo: se questo nel corso del tempo sempre più si determina e supera la biografia intellettuale di chi lo pensa, vuol dire che è già un modello per la stessa disciplina. È il caso del modello storiografico di Giovanni Miccoli. Al mutare degli oggetti della sua ricerca, si chiarifica la ragione che la guida: fare storia significa pensare per problemi, e non parcellizzarla; vuol dire riconoscerne i nessi, quelli ad esempio fra "storia della Chiesa" e "storia medievale". Nelle pieghe dell'epoca medievale vi sono elementi che si evolvono lungo le epoche successive; mestiere dello storico è decifrarli. I cinque saggi di questo libro spiegano così le due anime di Miccoli: una è negli studi medievistici condotti alla scuola di Delio Cantimori e Arsenio Frugoni - e con i volumi sulla Chiesa gregoriana, su San Francesco d'Assisi e la Storia religiosa dell'Italia fino alla prima età moderna -; l'altra è nelle questioni di storia della Chiesa contemporanea, affrontate con lo stesso rigore, come il rapporto fra antisemitismo e cattolicesimo. Una coscienza storica che si alimenta delle metamorfosi dei medesimi problemi e, pur nella diversità delle forme del passato, cerca di interpretare il presente proprio nel "serrato dialogo con la tradizione culturale".
A quasi settant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, gli archivi di Londra, Washington e Roma ci restituiscono un quadro inquietante sull'Italia del periodo 1943-1947, carte secret e top secret che ci svelano il patto occulto tra poteri criminali, Servizi e gerarchie vaticane. Ovvero la "santissima trinità" evocata nei primi anni Cinquanta da Gaspare Pisciotta, il luogotenente del bandito Giuliano. I documenti ci raccontano le attività della "Rete Invasione e Sabotaggio" dell'intelligence nazifascista, l'angoscia di Pio XII per l'"infezione bolscevica" che ha contagiato il Belpaese, lo "Stay Behind" anticomunista composto da ex militi delle Brigate Nere e della Decima Mas, la nascita di "Cosa Nostra" e il ruolo di primo piano svolto da Lucky Luciano, il super boss della mafia siculo-americana. Il tutto per impedire che l'Italia diventi un paese libero, sovrano, democratico. Un intento in gran parte riuscito che avrà conseguenze devastanti nella seconda metà del XX secolo. E anche oltre.
Il rapporto tra Risorgimento e religione è più complesso di quanto dicano le interpretazioni tradizionali, mai sottoposte a revisione, ed è utile tornare a riflettere sulla moderazione con cui l’Italia gestisce il conflitto con la Chiesa, a differenza di altri Paesi dove lo scontro diviene guerra di religione, aspra e senza confini. La Destra storica ammoderna il Piemonte e l’Italia, introduce la libertà e l’eguaglianza religiosa, la laicità dello Stato, cede ad asprezze e ingiustizie, ma non recide mai il cordone ombelicale con la tradizione cattolica. D’altra parte i cattolici partecipano intensamente all’impegno per l’Unità d’Italia, quando sono colpiti dalla legislazione eversiva protestano ma obbediscono alle leggi, chiedono di cambiarle, agiscono nel nuovo ordine nazionale. In alcuni momenti un inchiostro simpatico scrive dei sottili, e formidabili, compromessi utili alle due sponde del Tevere per evitare la guerra, preparare nuove relazioni nei tempi storici giusti. Un conflitto speciale, tra il 1870 e il 1929, riguarda la “questione romana”, che chiede di conciliare il diritto storico dell’Italia a Roma capitale con il diritto del papa ad una sovranità che assicuri piena libertà per la sua missione. Nell’Ottocento prevalgono i limiti degli interlocutori. Il papa identifica il proprio diritto con il principato formatosi nella storia, non vede che questo può rimpicciolire facendo ingigantire la sua figura. I liberali sottovalutano il ruolo universale della Chiesa, temono che il Vaticano offuschi il Quirinale, declassano l’uno per esaltare l’altro. Con il tempo ci si accorge che il Vaticano aggiunge luce al Quirinale e all’Italia, li illumina con la sua universalità, ed il Quirinale può assicurare al papa una amicizia essenziale agli occhi del mondo. Per questa ragione, Roma cattolica e Roma italiana si riscoprono complementari, il cammino dell’Italia dall’Ottocento alla Costituzione democratica porta ad elaborare un sistema di amicizia con la Chiesa, di affermazione dei diritti di libertà, di una laicità accogliente verso tutte le religioni, che resta il nostro vanto in Europa e in Occidente.
Cosa accadeva, dal tardo Cinquecento, agli stranieri “eretici” che arrivavano dal Nord Europa in Italia e a Roma? Mercanti, artigiani, artisti, viaggiatori e semplici curiosi non furono sempre costretti a convertirsi per evitare le prigioni e le temute pene dell’Inquisizione. Alcuni vissero a Roma, attenti a non dare scandalo alla popolazione per lo più indifferente alle questioni di fede; altri si convertirono nella speranza di una vita migliore.
Accanto a rigide norme intolleranti, a episodi clamorosi di violenza inquisitoriale, si affermò, nel corso del Seicento, una nuova politica del Papato fondata su pratiche che miravano a riportare alla fede romana gli stranieri “eretici” con persuasione, accoglienza, cultura.
La corte dei papi, soprattutto sotto Alessandro VII, si rivelò uno strumento decisivo di persuasione con la forza della straordinaria magnificenza che attraeva sempre più forestieri, secondo la moda del Grand Tour.
Scavando nel ricco materiale inedito, soprattutto del Sant’Uffizio, si osserva la genesi di istituzioni dedicate alla conversione degli eretici, fra Sei e Settecento, mentre si ricompongono nel quadro sfaccettato e complesso della società romana le vicende di personaggi noti e sconosciuti, nel lento percorso dalla repressione alla difficile tolleranza nella città del papa.
Il presente volume, che interesserà piu’ ambiti disciplinari, è un’importante opera di Storia realizzata da un giurista da sempre studioso del mondo russo. La storia della Chiesa russa è segnata da uno stretto rapporto di unione tra Sacerdotium e Imperium che trova il suo fondamento nella dottrina bizantina della sinfonia dei poteri, ma che, fatti salvi periodi assai brevi, si è realizzato come totale e incondizionata subordinazione dell’autorità spirituale a quella temporale. Il fattore religioso permea tutta la storia della Russia: basti pensare all’idea di Mosca Terza Roma e alla sua negazione, che alla fi ne del XVI sec. si esprime nell’Unione con Roma delle eparchie rutene della Confederazione polacco-lituana, o nella metà del secolo successivo al grande Raskol o scisma dei Vecchi credenti, i quali danno vita ad una Chiesa nazionale contrapposta a quella ufficiale, o ancora, in negativo, a cavallo tra XVII e XVIII sec. al periodo di Pietro il Grande, che trasforma la Chiesa in un dicastero statale, impone un modello di società totalmente estraneo alla tradizione russa e dà inizio alla grande frattura che porterà alla contrapposizione tra slavofili e occidentalisti, tra fautori del modello europeo e di quello asiatico e successivamente all’imposizione intollerante del bolscevismo. Dopo l’esperienza sovietica, attentamente analizzata dall’autore, prevarrà ancora una volta il rapporto di stretta sinergia tra Chiesa e Stato dell’epoca zarista e, siamo ai giorni nostri, riprenderà vita un sistema confessionista, intollerante nei confronti delle religioni considerate estranee alla tradizione del Paese. Il volume esamina diffusamente anche l’evoluzione storica dei rapporti dello Stato russo con la Chiesa dei Vecchi credenti e con quella greco-cattolica, analizzando le cause che ne hanno favorito la nascita, e gli attuali rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con le altre Chiese e Confessioni. Particolarmente attuali sono le pagine sul progetto di unione tra cattolicesimo e ortodossia elaborato da Petro Mohyla, elevato all’onore degli altari dalle Chiese ortodosse ucraina (Patriarcato di Mosca), romena e polacca nel 1996 e dalla Chiesa Ortodossa Russa nel 2005.
Teresa, come Teresa è. La vita, II Castello interiore, Le Fondazioni, Il Cammino di perfezione, le Poesie, sino alle opere minori - che minori non sono - rappresentano un corpo solo, capace di parlare con efficacia alla donna e all'uomo del terzo millennio. Il linguaggio di Teresa - qui esigente, là consequenziale, fintamente distratto e falsamente inconsapevole - parla come parla l'uomo d'oggi: per rimandi, schizzi, analisi ed effetti, che rendono difficile se non impossibile una traduzione "perfetta". Di qui, dunque, una nuova e invincibile scommessa: una traduzione delle opere della santa di Avila corredata del testo originale a fronte. Nuova, perché è la prima volta che così questi scritti sono presentati; invincibile perché la passione di "dire" porta spesso Teresa a esprimersi con un linguaggio tattico e paratattico, in cui denotazione e connotazione giocano in una sorta di ping-pong di sensazioni e possibili versioni, in cui si succedono riflessioni e ricordi come flash back cinematografici, apparentemente slegati, in realtà uniti da un filo che conduce parole e frasi dalla dimensione del saggio a quella della poesia, e da questa - per via d'ironia - alle vette della spiritualità. Qui a parlare è l'amore di Dio, per primo ricevuto dall'anima e da questa accettato, a superare il desiderio per poi tutta ritrovarsi nell'Altro dato. E questo, in Teresa, non si ferma alla teoria: l'ascolto si tramuta in fatti.
Il 29 agosto 1976, in una sala di Lilla, alla presenza di migliaia di fedeli entusiasti, mons. Marcel Lefebvre, nel corso della messa, pronuncia un'omelia che ha vasta eco. Il 'sermone di Lilla' segna una tappa ulteriore nel suo contenzioso con Paolo VI e costituisce un punto di riferimento fondamentale per i suoi seguaci della Fraternità San Pio X. Ma soprattutto ripete una condanna senza appello del concilio Vaticano II, il grande accusato. Tre decenni dopo, il decreto della Congregazione dei vescovi rimuove la scomunica di Giovanni Paolo II contro i quattro vescovi consacrati illecitamente da mons. Lefebvre. La revoca è firmata dal prefetto della Congregazione, ma la decisione, com'è ovvio, era stata di Benedetto XVI. Giovanni Miccoli traccia la storia della Fraternità e dell'atteggiamento assunto nei suoi confronti dai papi nei quasi cinquant'anni successivi al concilio. L'interesse che una tale storia presenta è molteplice: la relazione tra Roma e la Fraternità è illuminante per capire la realtà e i caratteri della drastica contrapposizione che si espresse all'interno del concilio, un vero e proprio scontro fra due modi diversi di pensare e vivere il cristianesimo e la Chiesa. Ma anche per indicare in quale direzione papato e curia hanno inteso di volta in volta dirigere la Chiesa cattolica, sia in riferimento alla sua vita interna sia nei suoi rapporti con gli 'altri'.
Un mondo variegato e percorso da tante correnti di pensiero, quello dei cattolici legati ai temi della sinistra. Spiccano innanzi tutto le figure di quei credenti che in entrambe le culture ritenevano vi fosse un forte interesse per i poveri e che si potessero trovare elementi comuni tra le idee della tradizione cristiana e l'utopia marxista. Fra questi ci sono don Primo Mazzolati, David Maria Turoldo e Camillo De Piaz, Ernesto Balducci, oltre a Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. Altri credenti maturarono la convinzione che fosse possibile dividere la sfera religiosa da quella politica e dunque essere cattolici ossequienti alle direttive dell'Istituzione romana e insieme comunisti: professare una dottrina religiosa 'tradizionale' non poteva insomma precludere l'adesione al partito dei lavoratori. Poi ci sono stati i cattolici moderati che, in condizioni particolari (ad esempio negli anni delle violenze fasciste), ipotizzarono collaborazioni politiche con la sinistra e altri ancora erano convinti invece che l'associazionismo cattolico dovesse abbandonare la sua dimensione militante e spesso politica. Di tutti i nodi e i temi che Saresella indaga, uno dei più importanti è la questione dell'unità politica dei cattolici che, auspicata per molti decenni, andò scomparendo con la fine del ruolo di coagulo dei voti moderati e anticomunisti assunto dalla Dc nella Prima Repubblica. Infine, elemento di discussione che tornò in più occasioni fu quello del confronto teorico tra marxismo e cristianesimo.
In questo libro i documenti costitutivi che definiscono il carisma, l'organizzazione e le linee operative di questa associazione diffusa ormai in 30 Paesi del mondo che offre una speranza e, spesso, una famiglia, a coloro di cui non si innamora nessuno". "
Il card. Michele Pellegrino, nell'omelia pronunciata a Livorno per i suoi funerali, disse di don Emilio Guano: "Quando si scriverà la storia della chiesa negli ultimi decenni forse la figura e l'opera di lui prenderanno un rilievo inaspettato". Mons. Emilio Guano, una delle personalità più significative ed autorevoli della chiesa italiana nel novecento, viene ricordato in questo volume con le riflessioni di alcuni studiosi e le testimonianze di chi lo conobbe. I testi evidenziano l'attualità di don Guano, il suo radicamento nella chiesa genovese, la sua spiritualità, la sua santità, l'insistenza sulla vita di preghiera, la sua originalità emersa soprattutto durante l'esperienza del concilio Ecumenico Vaticano II. In particolare vengono affrontati tre aspetti peculiari della sua luminosa vicenda di presbitero e vescovo e del suo vasto pensiero: gli anni della formazione nella citta natale e nella Fuci, l'aiuto che egli forni nella redazione della costituzione conciliare Gaudium et Spes, il suo contributo nella definizione del profilo teologico del laicato.
La montagna simbolicamente riunisce il cielo alla terra, per questo in ogni mitologia e religione è considerata sacra, collocata al centro del mondo. Il libro rappresenta un'autentica spedizione, attraverso montagne sacre e cosmiche, che si svolge a tappe. Nella prima si seguono le linee essenziali del pensiero orientale invitanti all'ascesa del monte Meru, del Kailash, del Taishan, del Kunlun, del Koya, del Fuji. La seconda tappa è la ricerca degli influssi mesopotamici, persiani ed ellenici, con la ziqqurat, il picco di Hara, l'Olimpo, che confluiscono sulla cima del Nemrud Dagi. I grandi monoteismi si rivelano sul Sinai, sul Monte delle Beatitudini, sulla Montagna della Luce; aspirano al Qaf. Nella terza i sentieri reali, che non sono mai tali, scompaiono per lasciare spazio a mistiche salite interiori. Il fine dell'intero percorso è avvicinarsi al vuoto e al silenzio: peculiarità della montagna e cuore di ogni insegnamento profondo.