
Un'esplosione squarcia la quiete della campagna corleonese. Il giovanissimo Totò Riina assiste allo sterminio dei suoi familiari intenti a disinnescare una bomba degli Alleati per ricavarne esplosivo. È un boato che distrugge e che genera. La piaga che molti, con timidi bisbigli, chiamano mafia, ma che d'ora in poi si rivelerà a tutti come Cosa nostra, s'incarna da qui in avanti nella sua forma più diabolica. Ma con potenza uguale e contraria, per fronteggiare l'onda di quella deflagrazione scaturisce anche il suo antidoto più puro. È il coraggio, quello che sorregge l'ingegno e l'intraprendenza, che sopperisce ai mezzi spesso insufficienti: il coraggio che scorre in Giovanni Falcone, negli uomini e nelle donne che insieme a lui sono pronti a lanciarsi in una battaglia furiosa dove la vita vale il prezzo di una pallottola. La storia di un magistrato che insieme a pochi altri intuisce la complessità di un'organizzazione criminale pervasiva, ne segue le piste finanziarie, ne penetra la psicologia e ne scardina la proverbiale omertà, è narrata in queste pagine con l'essenzialità di un dramma antico: sul proscenio, un uomo determinato a ottenere giustizia, assediato dai presagi più cupi, circondato dal coro dei colleghi che prima di lui sono caduti sotto il fuoco mafioso; stretto, nelle notti più buie, dall'abbraccio di una donna che ha scelto di seguirlo fino a dove il fato si compirà. Roberto Saviano ha voluto onorare la memoria del giudice palermitano strappandolo alla fissità dell'icona e ripercorrendone i passi, senza limitarsi a una ricostruzione fondata su uno studio attentissimo delle fonti, degli atti dei processi, delle testimonianze, ma spingendo la narrazione fino a quello "spazio intimo dove le scelte cruciali maturano prima di accadere". Questo romanzo ci racconta una pagina fatidica della nostra storia, illumina la vita di un uomo che, nel pieno della carriera, fu in realtà al culmine del suo isolamento. E leva il canto altissimo della sua solitudine e del suo coraggio.
La guerra accompagna l'umanità fin dalle sue origini. Il racconto che la civiltà occidentale ne ha fatto si è declinato essenzialmente in tre modi - la narrazione epica nel mondo antico, quella romanzesca nel mondo moderno e quella televisiva nel mondo contemporaneo. Per capire come la nostra cultura della guerra sia intimamente legata al racconto che ne facciamo, Antonio Scurati legge questi tre modi attraverso quello che chiama il "criterio della visibilità": visibilità come rivelazione, come possibilità di comprendere la realtà di un mondo in guerra. Partendo dall'epica antica - che con l'ideale eroico dell'Iliade ha dato origine a una tradizione millenaria che pensa la battaglia come evento in grado di generare significati e valori collettivi -, attraversando la crisi di questo paradigma nella modernità romanzesca e la sua dissoluzione nella convinzione tutta novecentesca che la guerra sia priva di un qualsiasi senso, arriviamo alla tragica attualità del conflitto raccontato dalla televisione: quando le immagini della guerra sono entrate per la prima volta in diretta nelle nostre case - era il 17 gennaio 1991, data d'inizio della Prima guerra del Golfo - ci siamo illusi che al massimo della spettacolarizzazione potesse corrispondere il massimo della visibilità, e invece ci siamo trovati di fronte a un'apocalisse svuotata di qualsiasi rivelazione. Un'altra data spartiacque è arrivata dieci anni dopo: dall'11 settembre 2001 la guerra, prima demistificata, è stata investita di nuovo di un significato salvifico, come forma di violenza positiva che si contrappone alla nuova forma di violenza illimitata che è il terrorismo. E non potendo affrontare il terrorismo sul suo terreno, poiché questo non ha territorialità alcuna, la guerra ha abbandonato il reale per assicurarsi il controllo dei cieli dell'immaginario. L'invasione russa dell'Ucraina del febbraio 2022 sembrerebbe a prima vista smentire lo sviluppo di questo paradigma. Putin e la sua guerra, però, non sono l'Occidente: ne sono il nemico. Ma come sta rispondendo l'Occidente a questa offensiva orientale? Forse proprio riattingendo a quegli archetipi millenari che credevamo ormai seppelliti dal pacifismo novecentesco.
Quando veniva invitato da prestigiose università statunitensi a tenere un discorso per la consegna dei diplomi, Kurt Vonnegut non diceva mai di no. Era ormai famoso, aveva scritto romanzi apprezzati in tutto il mondo, come Piano meccanico e Mattatoio n. 5, ma soprattutto era amato dai giovani, tanto quanto amava trovarsi in mezzo a loro. Per alcuni questi incontri erano l'occasione di sentire e vedere il loro idolo in carne e ossa, ad altri bastava ascoltarlo per innamorarsene lì?per lì. Quando siete felici, fateci caso raccoglie un'ampia selezione di testi scritti per queste occasioni: non vi troviamo massime di saggezza impartite da un vecchio guru a un pubblico in cerca di mistiche emozioni, ma un Vonnegut che pesca tra gli aneddoti, racconta qualche storiella, e soprattutto fa ridere. Con i suoi ragazzi lui parlava di tutto. Come tutti i grandi scrittori amava parlare anche di sé, ma questo non veniva al primo posto. Trovava interessante toccare, con spirito e leggerezza, argomenti ben più?importanti come lo stato del pianeta, per esempio, dei cui doni l'uomo continua ad abusare. Come scrive Dan Wakefield "non troverete bugie nei consigli di Vonnegut. È uno dei paladini della verità?nel nostro tempo." Un libro che ha toccato il cuore di molti lettori, da riscoprire in questa nuova edizione che comprende discorsi finora inediti in Italia.
Silvestro si sente impotente di fronte alle sofferenze del genere umano. Il padre per lettera gli comunica che ha lasciato la madre per vivere con un’altra donna. Silvestro intraprende un lungo viaggio in treno da Bologna per fare visita alla madre e ritrovare il paese natale in Sicilia, abbandonato quindici anni prima. Lì accompagna la donna ad assistere i malati di malaria e di tisi e ha una rivelazione: queste persone sono il “mondo offeso”, la parte di umanità quotidianamente oppressa e rassegnata al proprio destino. Con un linguaggio estremamente letterario, ispirato ai silenzi e alle ombre di una Sicilia insolita, invernale e montuosa, Elio Vittorini, siciliano emigrato al nord, racconta in questo romanzo la propria terra e la trasforma in metafora del mondo intero e dell’esistenza.
Carlo Maria Martini conosceva bene il rischio della parola carità: "Non pochi pensano subito a qualche atto di umana compassione, o a tirar fuori qualcosa dal portafoglio, o a gesti e attitudini poco efficaci a cambiare davvero la storia". Ma non è questa la testimonianza dei cristiani, uomini e donne che hanno smesso di pensare a se stessi perché hanno sperimentato dentro la propria persona la forza di Dio. E da qui nasce la decisione, l'energia inesauribile, l'ascolto, il movimento verso il vicino, il prossimo, l'accoglienza per creare una nuova umanità. Questo è il potente insegnamento di Martini che non aveva una ricetta pronta ma che si metteva in ascolto profondo dei suoi "vicini": carcerati, disabili, malati, poveri, migranti e stranieri, emarginati dalla droga, anziani, terroristi e brigatisti, con i quali Martini intrattenne per lungo tempo un rapporto epistolare regolare e che sfociò nel noto episodio della consegna delle armi avvenuto segretamente nei locali della curia milanese.
Quando Homo sapiens addomesticò alcuni animali e certe piante, poté abbandonare lo stile di vita nomade per adottarne uno sedentario. Vivere insieme agli altri stimolò la nascita di credenze e miti condivisi. Grazie a un immaginario comune i gruppi umani, nel frattempo accresciuti di numero, si lanciarono in progetti sempre più ambiziosi come la fondazione di città e regni, dando vita alle prime civiltà della storia. Questo secondo volume del graphic novel tratto dal bestseller Sapiens. Da animali a dèi continua la narrazione là dove Yuval Noah Harari l'aveva lasciata: Homo sapiens è l'unico a essere sopravvissuto all'estinzione delle altre specie umane e di gran parte dei grandi mammiferi, ed è pronto a conquistare il mondo. Ma si trattò davvero di una marcia trionfale? A questa domanda risponderà un gruppo assai eterogeneo di personaggi, tra cui lo stesso prof. Harari, che con autoironia interpreta se stesso, Doctor Fiction, con una passione a tratti pericolosa per le finzioni e i miti collettivi, il diabolico Mefistofele, che nei panni di un'umile spiga di grano cambierà il destino dell'uomo, la rigorosa ma non sempre equa Lady Justice, e infine l'acuto e gentile avvocato praghese Franz K. che ci aiuterà a vedere al di là del labirinto di regole in cui ci muoviamo - o rimaniamo intrappolati. Con "Sapiens. I pilastri della civiltà" l'analisi storica di Harari trova nel brio narrativo del racconto a fumetti un adattamento divertente e intelligente che non mancherà di entusiasmare tutti gli appassionati del cammino dell'uomo dall'antichità ai giorni nostri. Il secondo volume della versione illustrata sulla storia dell'uomo.
In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti la lucidità è potere. Ma come si fa a cogliere il quadro generale senza perdersi in un'infinità di rivoli e dettagli? Facciamo un passo indietro e guardiamo davvero al quadro generale: la storia della specie umana. "Sapiens. La nascita dell'umanità" è la storia di come una scimmia insignificante divenne la signora della Terra, capace di scindere il nucleo di un atomo, volare sulla Luna e manipolare il codice genetico della vita. Una squadra di ricercatori - Prehistorik Bill, Dr. Fiction, la detective Lopez - capitanati da Yuval Noah Harari in persona guida il lettore a esplorare il lato selvaggio della storia. L'evoluzione umana viene reinventata come un reality show televisivo; il primo incontro tra Sapiens e Neanderthal è raffigurato attraverso i capolavori dell'arte moderna; l'estinzione dei mammut e delle tigri dai denti a sciabola è raccontata come un giallo. L'adattamento di Sapiens. Da animali a dèi in forma di graphic novel è una rivisitazione radicale e profondamente divertente della storia dell'umanità a partire dal longseller internazionale che ha venduto 16 milioni di copie in 60 lingue. Il tono umoristico è pensato per catturare l'interesse di chi finora ha preferito tenersi alla larga da scienza e storia. Ecco l'occasione giusta per cambiare idea.
Non è vero - neanche in tempi di crisi - che è utile solo ciò che produce profitto. Esistono, nelle democrazie mercantili, saperi ritenuti "inutili" che invece si rivelano di una straordinaria utilità. In questo saggio, Nuccio Ordine attira la nostra attenzione sull'utilità dell'inutile e sull'inutilità dell'utile. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi (Platone, Aristotele, Zhuang-zi, Pico della Mirandola, Montaigne, Bruno, Kant, Tocqueville, Newman, Heidegger) e di grandi scrittori (Ovidio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Cervantes, Lessing, Dickens, Gautiér, Kakuzo Okakura, Garcia Lorca, Garcia Màrquez, Ionesco, Calvino), Nuccio Ordine mostra come l'ossessione del possesso e il culto dell'utilità finiscono per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l'arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la dignità, l'amore e la verità.
Il termine "nuovo realismo" può essere a pieno titolo considerato la parola chiave della filosofia continentale contemporanea. In un movimento che abbraccia pensatori provenienti da tutto il mondo, questa corrente di pensiero si oppone all'antropocentrismo che ha caratterizzato la filosofia occidentale da Kant in poi, sostenendo un ritorno alla realtà oggettiva: c'è un mondo che esiste "là fuori", indipendente rispetto all'intelletto umano, che anzi resiste a quest'ultimo e ne smentisce ipotesi e aspettative. Questa raccolta di saggi include i contributi di diversi filosofi collegati al nuovo realismo nelle sue varie espressioni: Maurizio Ferraris, che ha reso il movimento celebre in Italia, Quentin Meillassoux, pensatore estremamente influente e principale ispiratore del realismo speculativo, Tristan Garcia, Markus Gabriel, Graham Harman, Peter Gratton e Lee Braver.
Mentre il nostro immaginario è infarcito di amore - una versione romantica e fasulla, veicolata da romanzi, film e pubblicità -, la nostra società si comporta come un amante dal cuore spezzato: è cinica e sprezzante nei confronti dell'amore, considerato un sentimento stupido, inutile o noioso, una fantasia per adolescenti, un ripiego per chi non sa stare solo, un lusso per pochi. Questa contronarrazione è il frutto pericoloso dell'individualismo capitalista, un sistema che mentre stigmatizza la solitudine e colpevolizza chi la vive come indegno d'amore, ci vuole sempre più soli, divisi e in competizione fra noi. Concentrati su noi stessi, ci vediamo rubare il tempo che potremmo usare per coltivare le relazioni con gli altri, amore compreso. Ma il rimedio a questa crisi dell'amore esiste. Nell'epoca in cui le relazioni si basano sullo scambio, sull'utilità, sulla convenienza, sulla compatibilità, lasciare spazio invece a un amore incondizionato e libero, capace di passare dal singolo alla comunità, può essere una delle azioni più antisistema, rivoluzionarie e coraggiose che possiamo fare per cambiare la nostra società: un vero atto di resistenza in questi tempi sempre più divisi.