In questo libretto vengono riportati due discorsi tenuti nel 1959 dall'allora cardinale Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, divenuto papa col nome di Paolo VI. Sono due discorsi che ricordano il centenario della battaglia di Magenta e il centenario della liberazione di Milano dagli austriaci.
"Bisogna rafforzare e talvolta ricostruire l'orizzonte conoscitivo della nostra cultura verso l'Africa. Questo avviene non attraverso progetti organici, ma con la curiosità intellettuale che si fa ricerca, studio, scrittura, dibattito. Il caso del Bénin è rivelatore di come la 'mitica' stagione delle indipendenze non fu una storia idilliaca, ma anche di come si sviluppò la storia del socialismo africano, dura, tragica, ma diversa da quelli dell'Est o asiatici. Vorrei anche dire che la storia di questo Paese mostra la portata della vicenda missionaria cattolica prima dell'indipendenza e il ruolo che la Chiesa cattolica ha svolto nella transizione alla democrazia. E una storia africana di grande interesse. Attraverso il percorso di questa storia - è una delle tante vie - si entra nel mondo africano del secondo Novecento, le sue passioni, le sue lotte, i suoi dolori, le sue miserie, ma anche le sue grandezze. Sì, anche grandezze, perché si mostra come, in un Paese povero, con tante dipendenze, la democrazia è possibile." Prefazione di Andrea Ricciardi.
«Il monaco può essere paragonato al mozzo che si arrampicava sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere profilarsi una riva sconosciuta. Il mozzo non è colui che guida la nave, il suo compito è solo di vegliare al suo posto di vedetta. Quando la terra appare in lontananza, grida la scoperta a tutti i membri dell’equipaggio. Come il mozzo, il monaco scruta i segni del mondo nuovo. Deve essere un uomo vigilante, totalmente teso verso il futuro a cui anela e che vorrebbe affrettare. In definitiva potrebbe essere definito l’uomo del desiderio».
Il termine "Vaticano" evoca immediatamente l'immagine dell'immensa piazza antistante la basilica di San Pietro e il monumentale colonnato che l'abbraccia. Tra i fedeli cattolici evoca anche la finestra da cui il papa benedice la folla festante. Ma il Vaticano è molto di più. Stato di diritto tra i più piccoli al mondo, minuscola città dentro la vasta città di Roma, di cui ha condiviso le vicissitudini e di cui costituisce "l'altra faccia", ha una lunghissima storia, ricca di chiaroscuri e di personaggi più o meno limpidi. E insieme a incredibili tesori artistici, custodisce nei suoi palazzi molti segreti legati a vicende antiche, recenti e contemporanee. Si inizia con Nerone e i primi cristiani sullo sfondo della Roma imperiale per passare poi a Costantino: la sua famosa e apocrifa donazione al papa ha per secoli rappresentato l'atto di nascita del potere temporale della Chiesa. La galleria dei personaggi è ricchissima. Oltre a templari, gesuiti, inquisitori e membri della potente Opus Dei, ci sono, naturalmente, i papi. E con loro gli artisti, ingaggiati per testimoniare, più che la gloria del Creatore, quella del committente. Un tratto sembra legare, agli occhi dell'autore, tutte queste vicende, le più antiche e le più recenti: la commistione fra cielo e terra, fra spiritualità e potere temporale, e il prezzo altissimo che la Chiesa cattolica, unica religione fattasi Stato, ha pagato e paga nel tentativo di conciliare due realtà difficilmente compatibili.
"Questo libro nasce dall'esigenza di raccontare la storia di un gruppo di uomini che alla fine del 1564 tentarono di assassinare il papa. Il mio intento è quello di dare loro carne e ossa, rendendone meno astratte le fisionomie: non solo le loro, ma anche quella della città fisica - la Roma di metà Cinquecento - sullo sfondo della quale si muovevano come attori, proferivano discorsi, si arrabattavano per vivere. Una storia di individui, di luoghi e di cose, insomma, attraverso la quale volevo capire cosa significasse, per questi uomini del Cinquecento, uccidere il papa". La congiura fallisce, gli uomini sono processati, torturati e infine condannati a una morte atroce. Sullo sfondo c'è Roma. Non la Roma sancta et renovata capitale della Controriforma, ma la città fisica in trasformazione che si sviluppa disordinatamente sui resti di quella antica; la città magica e superstiziosa popolata da frati esorcisti, astrologi e cercatori di tesori; la città dove, nei palazzi cardinalizi e nelle piazze, si parla del papa con allarmante irriverenza. La capitale di un sovrano, insomma, che in età postridentina è ancora lontano dell'assumere i caratteri sacrali spettanti a un monarca assoluto, e al tempo stesso è vicario di Cristo sulla terra. La congiura contro Pio IV può sembrare un'impresa sgangherata, poco più che il tentativo velleitario di un gruppo di folli esaltati. In realtà quel papa, il cui pontificato dura dal 1560 al 1565, è un papa scomodo...
Quest’anno oltre al 150° dell’unità d’Italia, ricorre anche il centenario della «seconda guerra coloniale» italiana cioè quella di Libia del 29 settembre 1911, che a sua volta avveniva durante i festeggiamenti del cinquantesimo dell’unità nazionale. Non è facile oggi parlare di guerre coloniali e persino la ricostruzione storica di questi eventi si presta spesso a strumentalizzazioni di ordine politico internazionale. Sotto il profilo storico-interpretativo sarebbe un grave errore giudicare le guerre coloniali con criteri che appartengono alla nostra attuale cultura e sensibilità giuridica, stravolgendone quindi il significato e decontestualizzandone l’evento. Questo però non significa che il fatto storico non vada sottoposto a interpretazione critica, e riconoscere e condannare gli sbagli e gli eccessi compiuti da parte dei cosiddetti eserciti «civilizzatori».
Nelle guerre coloniali del XIX e XX secolo, condotte dalle maggiori potenze europee, l’elemento religioso è stato spesso utilizzato in modo strumentale per convincere le popolazioni indigene sull’utilità e necessità storica dell’impresa, volta, si diceva, a importare in quei Paesi la civiltà e la cultura occidentale e i benefici economici e sociali legati ad essa. Il libro tratta dell’utilizzazione strumentale che della materia religiosa, in tal caso dell’islàm, fecero in Libia i capi militari e civili italiani dell’impresa militare, mentre in Patria l’impresa fu a volte interpretata da una parte del clero e da una certa cultura cattolica con i toni «infervorati» della guerra religiosa. Posizione che fu energicamente condannata dalla Santa Sede, e in particolare da Papa Pio X, che per fugare ogni possibile dubbio sulla questione, fece pubblicare sull’Osservatore Romano una Nota di biasimo di tali fuorvianti interpretazioni. Più volte, inoltre, il Pontefice, come risulta dalle carte dell’Archivio Segreto Vaticano, richiamò, anche personalmente, alcuni alti prelati e vescovi residenziali a maggior moderazione nelle loro esternazioni a sostegno «della guerra coloniale», e a mantenere in tale delicata materia un atteggiamento imparziale come si addice, commentava amaramente il Papa, a Pastori, chiamati a pacificare e non a fomentare o giustificare una guerra di conquista.
L'identità nel Medioevo si tradusse in precise determinazioni giuridiche e s'innervò nell'ordinamento sociale sia attraverso l'individuazione di gruppi funzionali, come gli ordines, sia mediante un fitto processo di osmosi tra forme religiose e forme di vita sociale. La storia religiosa presenta infatti un vasto campionario di esperienze tese alla creazione di nuove identità collettive oppure alla trasformazione di identità preesistenti, come dimostra l'inesausta opera di fondazione di ordini e famiglie religiose sempre in bilico tra l'esigenza di ricorrere ai meccanismi "classici" della stabilizzazione istituzionale e la necessità di marcare la novità della propria proposta cristiana rispetto alla tradizione. Le avventure dell'identità sono state esaminate anche tenendo presenti sia il mancato riconoscimento di un autonomo statuto identitario, come avvenne per esempio per i laici, sia la costruzione di contro-identità come quelle dei musulmani, degli eretici e degli ebrei. L'analisi dei meccanismi di inclusione e di esclusione ha permesso di chiarire come la civiltà medievale attinse proprio alla religiosità, alle sue pratiche, ai suoi linguaggi e alle sue risorse simboliche per definire e rappresentare se stessa, elaborando una sintesi assolutamente originale.
Il volume costituisce uno strumento di lavoro, risultato di più di trent'anni di ricerche che hanno messo in evidenza come i valdesi del Luberon siano stati degli immigrati provenienti dal Piemonte e dal Delfinato, e intende mettere a disposizione di tutti, anche di coloro che non sono in grado di consultare i documenti dell'epoca, i primi atti in cui appare la presenza di un valdese installato in Provenza, come la registrazione del suo matrimonio o del suo testamento. In questo modo il libro stabilisce, attraverso lo studio di una popolazione migrante, un legame vivente fra le tre aree della comunità valdese che all'epoca costituiva una diaspora europea.