Il volume presenta in prima edizione italiana le tre celebri conferenze tenute nel 1968 dal filosofo John Niemeyer Findlay sul tema dell'Assoluto. Il nucleo della teoria qui esposta è che tutte le cose, dai corpi fisici agli oggetti dello spirito, sono unite da una rete di relazioni. Compito della filosofia è percorrere queste connessioni per ascendere all'essenza, indagare l'assurdo e il negativo dell'esistenza per cogliere in essi le tracce di un trascendente che dà loro significato e offre una possibilità di redenzione. I temi trattati - lo Spazio e il Tempo, la sostanza e la causalità, la vita interiore della mente, la conoscenza, i valori morali, il male - sono per Findlay passi verso la definizione di un Assoluto che sappia risolvere in una sfera oltremondana le contraddizioni di questo mondo.
Cinque sono i quaderni giunti fino a noi del filosofo, matematico e presbitero russo Pavel A. Florenskij. Di questi taccuini, nei quali lo studioso ha riportato note e appunti, è stato sinora pubblicato il secondo, qui in traduzione, risalente al biennio 1904-1905. Quelli sono gli anni in cui in lui avviene il passaggio dagli studi matematici a quelli teologici, studi che in questo quaderno si contaminano a vicenda. L'irruzione dell'irrazionale nel razionale, questa sembra essere una delle linee di ricerca che serpeggiano nel Taccuino. E questa è probabilmente anche una delle ragioni che hanno fatto scegliere al matematico la via della teologia.
Questo libro nasce dall'esigenza di riflettere senza pregiudizi su un tema oggi estremamente controverso. Gli studi sul gender hanno consentito una più obiettiva valutazione della condizione di omosessuali e transgender e hanno condotto a un sempre più ampio riconoscimento dei loro diritti. Al tempo stesso, però, c’è oggi una diffusa tendenza a trasformare i dati scientifici in conclusioni filosofiche mascherate. Il libro si propone di mettere in luce i problemi teorici di queste concezioni e di evidenziarne i rischi pratici sul piano antropologico, etico e pedagogico.
«I "Quaderni in ottavo" sono, potremmo dire, un Franz Kafka intimo, fraterno, accessibile, da tenere presso di sé per gustarne la profondità di intuizione, ma anche l'ironia, l'approccio disincantato all'esistenza e, pure, un bisogno sempre rinnovato di vita. Auguriamo al lettore la riscoperta di un protagonista della letteratura che non fu solo un originale narratore (come lo si è spesso considerato), ma uno dei maggiori filosofi del XX secolo. In qualche modo, l'incompiutezza delle sue opere (motivo per cui ne avrebbe voluto la distruzione) è anche la conferma che la risoluzione del racconto non ne era lo scopo: esse reggono nel loro "non finito" proprio perché dicono la nostra esistenza, di tutti: non finita e in cerca di senso». (Dall'Invito alla lettura)
«Questo libro imponente - la cui imponenza proviene dalla precisione della mira: studiare il rapporto di Pascal alla filosofia e riflettere sullo statuto che essa assume - resta un riferimento imprescindibile per chi voglia accostarsi, da filosofo, a Pascal. Non è possibile, infatti, non interrogarsi sulla filosofia che egli utilizza, critica, sollecita, smaschera, rivela e sul punto di sguardo a partire dal quale sembra persino abbandonarla, senza abbandonarla mai di fatto. Per questo ordine di ragioni, Pascal e la filosofia resta a tutt'oggi, per i filosofi interessati a Pascal, un libro da leggere, direi quasi da consultare obbligatoriamente ed in via preliminare. Fra le mire che lo caratterizzano c'è anche quella di misurare, a seguito della determinazione dello statuto che la filosofia ricopre per Pascal, l'entità del suo contributo all'interno della storia della filosofia, questione che ha sullo sfondo quella della "uscita dalla metafisica", additata dall'"ordine della carità", e della possibilità di intendere in senso non cronologico la "fine della metafisica", come Vincent Carraud scrive nella Prefazione. Pur non presentandosi come un saggio interpretativo ma come una ricognizione delle accezioni di filosofia in Pascal, questo libro fa molto di più che limitarsi a una recensione di significati, anche se ricchissima, come di fatto è possibile osservare. Si tratta, infatti, di un lavoro che educa pazientemente lo sguardo del lettore a guardare la filosofia con gli occhi di Pascal». Dalla Prefazione di Rosaria Caldarone.
La tesi dottorale di Luigi Giussani, pubblicata per la prima volta dal giorno in cui fu discussa al Seminario di Venegono il 23 giugno 1954, rappresenta un prezioso documento per inoltrarci non solo nella conoscenza di uno degli autori più sensibili e innovatori all'interno del protestantesimo americano, ma anche per cogliere gli snodi teologici che, in senso costruttivo e critico, hanno contribuito alla riflessione di Giussani sull'antropologia cristiana. La lettura attraversa tutte le tappe di un percorso umano alla propria autocoscienza, a partire dalla domanda sulla relazione tra natura e spirito, sul senso dell'auto-trascendenza umana, fino al significato e al ruolo della rivelazione cristiana. Giussani accompagna il lettore entrando nelle pieghe più recondite di tale percorso documentando, come non mai, il suo autentico spirito ecumenico, la sua ampia e profonda competenza teologica e la sua sensibile conoscenza dell'animo umano. Le pagine qui proposte sono l'invito a un'immedesimazione e a un confronto di grande attualità.
"A me sembra che la peculiarità di quest'opera non possa essere apprezzata se non all'interno di quel confronto tra "logos biblico" e "logos filosofico", la cui traccia appare, come in filigrana, in ogni pagina scritta dal filosofo". Queste parole, che Silvano Petrosino esprime attraverso un'attenta analisi del pensiero di Emmanuel Levinas, ci portano altrove, alla costante ricerca del fondamento della nostra esistenza, che si staglia tra le esperienze pre-filosofiche del testo biblico e il pensare filosoficamente. Il lettore non può che lasciarsi condurre dall'autore al di là di ciò che noi definiamo come reale, alla ricerca della struttura originaria dell'essere umano.
«Il filosofo non insegna agli uomini un mestiere particolare, e neanche li prepara a una professione particolare, ma cerca di trasformare la loro sensibilità, il loro carattere, il loro modo di vedere il mondo o di rapportarsi con gli altri uomini. Si potrebbe dire che insegna loro il mestiere dell'uomo». Se il compito della filosofia è più quello di educare che di informare, allora la filosofia è proprio l'educazione degli adulti. È in questi termini che Pierre Hadot evoca una concezione della filosofia come stile di vita che tutta la sua opera ha brillantemente contribuito a far rivivere. Grande lettore di filosofi antichi, da Socrate e Platone a Epitteto, Marco Aurelio e Plotino, ma anche di filosofi moderni e contemporanei, da Montaigne e Cartesio a Nietzsche e Merleau-Ponty, in questa raccolta di testi - rari o inediti - Hadot rilegge la storia del pensiero per aiutarci a riorientare la nostra vita e a reimparare a vedere il mondo. Siamo dunque pronti a farci (tras)formare dalla filosofia?
Umanesimo e digitalizzazione, due termini che fanno capo a realtà complesse e a prima vista discordanti: da un lato il millenario percorso di scoperta da parte dell'uomo delle proprie risorse spirituali e cognitive, consolidatosi nell'autoconsapevolezza della propria specificità, dall'altro una rivoluzione tecnologica - opera anch'essa umana - che incide a tal punto sulle coordinate spazio-temporali dell'esperienza naturale da sovvertire l'umana autocoscienza e la percezione della realtà nel suo complesso. Se pure così distanti, umanesimo e digitalizzazione sembrano oggi avanzare un'incalzante pretesa di complementarità. Il sintomo più evidente, ma non certo l'unico, di questo processo in atto sono i nuovi percorsi disciplinari compresi nelle Digital Humanities e addirittura il formarsi di una nuova disciplina, il cui nome - Informatica umanistica - non lascia dubbi circa l'ordine di priorità fra i due termini. Ma in base a quali criteri tale priorità andrebbe accertata? Se uno dei tratti distintivi dell'umanesimo consiste nel far precedere la prassi da adeguata riflessione, allora è molto importante riflettere sia sulle implicanze della nuova simbiosi sia sulle sue diverse applicazioni. I contributi raccolti nel presente volume, affidati a studiosi di fama internazionale, intendono offrire un agile strumento non solo per orientarsi fra le applicazioni più significative della digitalizzazione nell'ambito delle discipline umanistiche, ma anche per formarsi un'opinione più circostanziata su un fenomeno sociale già ampiamente diffuso ma dai contorni ancora vaghi.
La svolta teologica della fenomenologia francese ha sostituito la categoria dell'essere con la cifra del dono e della donazione. La rivelazione biblica - come scrive Jean-Luc Marion - non si riduce a enunciati, ma convoca e coinvolge il testimone nella scoperta di ciò che viene da altrove, che sorprende ed eccede ogni attesa. Dio si mostra in un evento irripetibile e attraverso evidenze fenomeniche insostenibili da parte di chi pretenda di dimostrare e possedere la verità. Che tipo di filosofia è quella di Marion? Cattorini delinea i rapporti tra fenomenologia ed ermeneutica, e distingue da un lato le dimensioni etiche dell'avvenire di un Dio che ci rivela a noi stessi, e dall'altro i rimandi all'esperienza estetica quale mira intenzionale verso un'icona dell'invisibile. La fine delle illusioni proprie di una filosofia naturalistica e autoreferenziale riapre le connessioni fra amore della sapienza (filo-sofia) e logos della donazione. Dio che è qui (c'è) e ci ha, rivolge un appello, si destina a noi, scuotendoci nell'evento in cui un segno innesca il desiderio d'infinito.
Il volume verte sulla teologia politica e la filosofia della storia. L'acceso dibattito novecentesco conclude che la prima sia un 'dispositivo escludente' da abbattere. La sua presunta liquidazione ignora che sulla disciplina tutto resta ancora da dire, e che una nuova partenza è possibile. La crisi dell'antropocentrismo apre inedite possibilità per coniugare storia e trascendenza, battendo nuovi cammini nel moto verso un umanesimo inclusivo che colga le implicazioni storico-politiche dell'incarnazione, e che rilanci la ricerca sul senso della storia.
Prendendo spunto dall'indirizzo degli esegeti che negli ultimi tempi si mostrano sempre più interessati agli aspetti normativi della Bibbia e del più esteso antico Vicino Oriente, l'autore riflette sulla legge del taglione nella sua formulazione tipica di "occhio per occhio, dente per dente". E offre una lettura aderente al significato letterale dei testi in cui ricorre tale lemma. Non si tratta di un principio di vendetta, ma di riparazione del danno procurato. Le pagine sfatano gli innumerevoli equivoci e pseudo-interpretazioni dell'antigiudaismo cristiano e della stessa cultura laica sedimentatisi nel corso dei secoli.