Il volume raccoglie due opere, Pensiero e poesia nella vita spagnola e Filosofia e poesia, composte da María Zambrano durante l'esilio, nel 1939. Per far fronte alla sconfitta dei repubblicani nella guerra civile spagnola e al trionfo del razionalismo nella filosofia moderna e contemporanea, l'autrice muove alla ricerca dell'essenza della Spagna, della sua tradizione viva e di un diverso tipo di ragione, più vicina alla poesia e all'esperienza religiosa. Comincia qui a prender forma la teoria della "ragione poetica" come nuovo metodo di conoscenza: nell'attitudine del poeta, il filosofo riscopre il contatto diretto con la realtà e una forma di pensiero che non pretende di dominare il mondo, ma sa lasciarsi possedere dalla sua varietà. Poesia e filosofia, che hanno un'origine comune nella meraviglia, sono complementari: non c'è poesia senza pensiero né ragione senza poesia e solo la loro unione può indicare il cammino verso la verità.
All'origine di questo libro c'è un viaggio che comincia in Israele e nei territori occupati della Palestina al principio del 2023 e prosegue - nella riflessione - nei mesi seguenti l'eccidio del 7 ottobre. Roberta De Monticelli vede rappresentato nella Palestina il luogo in cui prende forma esemplare e tragica uno dei paradossi su cui si regge la civiltà. Da quando esiste, il diritto è in tensione costante con la giustizia e con la forza e vige in virtù della politica che pure ne è vincolata e regolata - salvo farsi non solo cieca ma criminale. È questo il paradosso della legge, che si rivive in tutta la sua tragica profondità nella terra dove tre religioni riconoscono alla legge scritta un'origine divina. Molti sono gli interrogativi: dove può arrivare la forza? Quale la giustizia da difendere? C'è una Legge più alta delle altre? Come può intervenire la politica per immaginare un futuro di pace? Il libro si interroga sulla possibilità stessa della giustizia, del diritto, della convivenza umana, in un confronto che tiene insieme lettura del presente e storia del pensiero e si propone di rompere il muro dell'indifferenza: tutti noi abbiamo compiuto un atto di rimozione, ignorando l'arbitrio, la violenza, l'ingiustizia di un'occupazione militare che dura da 57 anni.
Le sfide della mentalità odierna, disorientata e incerta sull'identità della persona, sull'agire finalizzato e sullo scempio della relazione dell'uomo col mondo-ambiente, inducono a riproporre un orientamento antropologico ed etico realistico e vitale che inglobi e soddisfi le esigenze non solo dell'intelletto, ma altresì della sensibilità e delle potenzialità creative dell'uomo integrale, oltre le unilateralità funeste dell'intelletto ideologicamente tiranno e delle caotiche passioni plebee. L'uomo senziente-agente-volente è insediato dinamicamente nel 'luogo' etico del suo con-sistere, nell'éthos della relazione, nel cum, terreno sorgivo del suo con-sentire, con-laborare, con-venire. Nelle pagine di questo volume si troverà l'indicazione propositiva ed esigente di conquistarci la nostra personalità, esistenziale e storica, puntando sulla tessitura delle relazioni etiche interpersonali e ambientali, ordite in compiti estetici, etici, civili e religiosi che promanano da categorie inderogabili quali natura umana, coscienza storica, azione etica, formazione socio-politica, e incrociano i nuovi schemi di cultura tecno-scientifica germinati dalle recenti immagini del mondo, nel contempo esaltanti e perturbanti.
«Conosci te stesso» era l'invito dell'Apollo Delfico, che ha innervato tutta la filosofia greca, ben consapevole che ogni conoscenza è vana senza questa, fondamentale. Percorrendo con coraggio e onestà la via del distacco, la filosofia - "esercizio di morte" come la definisce Platone - giunse così alla scoperta della luce che sempre risplende, non alla superficie, ma nelle profondità dell'anima. È proseguendo coerentemente su questa via che la mistica cristiana, obbedendo al precetto evangelico a rinunciare a sé stessi, completò l'invito delfico aggiungendovi: «e conoscerai te stesso e Dio». Anche se nomina non sunt res, niente infatti si addice meglio che il nome di Dio alla luce che esperimentiamo nell'"uomo interiore", essenza dell'anima nostra, quando essa ha fatto il vuoto di ogni accidentale elemento egoico. È giunto probabilmente il tempo che, dopo la morte di Dio e la conseguente perdita di ogni fondamento, l'uomo contemporaneo, naufrago nel mare magnum di vane teologie e psicologie, recuperi l'esperienza di verità della filosofia antica e della mistica cristiana, ritrovando così la conoscenza essenziale: quella di sé stesso e di Dio.
Che cosa sono io? A questa domanda inaggirabile cerca di rispondere da sempre l’antropologia filosofica, che si caratterizza per una vocazione all’universale: ambisce a dire dell’uomo qualcosa che non possa essere smentito, a prescindere dal tempo e dallo spazio. Da ciò scaturisce la tensione al trascendentale: l’essere umano è essenzialmente pensiero trascendentale e la dignità umana può essere affermata e custodita soltanto se l’infinito che ci definisce riesce a essere stabilmente riconosciuto. Attorno a questo argomento fondamentale si sviluppa il volume, allo scopo di sondarne la verità e di mostrare alcune delle implicazioni etiche che investono la dimensione ultima dell’umano.
Paolo Bettineschi insegna Filosofia morale, Antropologia filosofica e Bioetica presso l’Università degli Studi di Messina. Per Morcelliana ha pubblicato L’oggetto buono dell’Io. Etica e filosofia delle relazioni oggettuali (2022 2ed.); Tecnica, capitalismo, giustizia. Dieci lezioni su Severino (2022); Etica del riparare (2021).
Per quanto tu possa andare per deserti, per quanto tu possa perderti o fallire, c'è sempre una dimensione autentica e vera ad aspettarti. Puoi credere di essere solo, e al freddo, invece non lo sai ma c'è un abbraccio per te. Questa presenza di eternità nel mondo, questa promessa di compimento, si trova nell'eucarestia, in due brevi studi qui raccolti insieme.
Il male è comune, capillare, "umile", si insinua dappertutto, cambia aspetto nelle sue continue metamorfosi. Vuole essere allettante, sapendo di correre il rischio della illiceità. Questa triste verità devono aver trovato i prigionieri, in prossimità dei cancelli dei campi di concentramento, come ad Auschwitz, dopo lunghi viaggi sui vagoni piombati che li avrebbe accompagnati alla morte. Ma lo si nota pure negli ultimi giorni della guerra mondiale, quando i nazisti, sapendo dell'arrivo dei liberatori, si affrettarono a cancellare i segni della violenza dei lager, facendo saltare in aria le camere a gas e i forni crematori. Non si dovevano lasciare le tracce troppo compromettenti dei crimini commessi, L'operazione di rimozione era stata meditata da tempo. Il male tocca l'abisso poiché può contare su una buona dose di ignoranza e di prepotenza. Tutto ciò è voluto perfidamente. Il male è questo continuo, e seducente, allontanarsi dall'umano, che deve essere - e può essere - combattuto dal rispetto per l'altro, dalla riduzione del proprio egoismo a vantaggio dell'espansione amichevole e fraterna fra gli esseri umani.
Com’è possibile che il cristianesimo sia davvero una religione universale? Quali sono i processi e gli stili dell’evangelizzazione? In modo pionieristico e profetico, nell’immediato secondo dopoguerra, il teologo parigino Jean Daniélou traccia in questo saggio orizzonti e criteri che mantengono intatta la loro attualità. Incarnazione e redenzione, Pentecoste e Parusia, storia e mistero e altre tensioni generative che innervano la storia della salvezza vengono esplorate con il piglio dell’intellettuale e con l’ardore del missionario. Una raccolta di meditazioni nate all’interno dell’esperienza del Circolo san Giovanni Battista, di cui Daniélou fu instancabile animatore per decenni. L’affresco di una teologia della missione che già all’epoca delineava il nascente volto di un cristianesimo in India, in Cina, in dialogo con religioni e culture mondiali.
Jean Daniélou (1905-1974), cardinale francese, è stato tra i maggiori teologi del Novecento. Nel catalogo Morcelliana ricordiamo, di Daniélou, Il mistero dell’avvento, I Vangeli dell’infanzia, Saggio sul mistero della storia e, di G. Pasquale, Jean Daniélou.
«Siccome l’importanza della Sacra Scrittura è di essere per gli uomini un interprete del divino e la sua esigenza è di voler insegnare al credente tutto dall’inizio, è ovvio che i suoi termini ed espressioni risuonino ripetutamente nei luoghi sacri. Ma pure nei discorsi quotidiani e profani si ode talvolta un’espressione biblica che dal sacro si è smarrita nel mondo – smarrita perché il modo in cui viene usata mostra a sufficienza che non ha lasciato volontariamente casa sua, bensì che è stata rapita. Chi la impiega non è commosso dall’espressione biblica, non risale indietro col pensiero per trovare il suo luogo serio nel contesto sacro, non atterrisce all’idea che è un sacrilegio usare in questo modo l’espressione anche se l’uso, lungi dall’essere un’impudenza, è agli occhi degli uomini soltanto una leggerezza perdonabile». Questo incipit di uno dei discorsi edificanti vale anche per gli altri diciassette pubblicati da Soren Kierkegaard a suo nome tra il 1843 e il 1844 – qui per la prima volta tutti tradotti in italiano –; e ancor più vale quanto posto in premessa a spiegazione del titolo: «Discorsi, non prediche, poiché il suo autore non ha autorità per predicare; Discorsi edificanti, non discorsi di edificazione, poiché il parlante non presume affatto di essere maestro». Con questo spirito Kierkegaard, il quale si era prefisso nella vita «una cosa sola, rendere attenti alla dimensione cristiana», li compose in controcanto alle contemporanee opere pseudonime – le celebri Enten - Eller, Timore e tremore, Il concetto di angoscia, per citarne alcune –, che vengono così illuminate di luce nuova.
«Quale bellezza salverà il mondo?», si chiede Dostoevskij nell'Idiota. Attraversando la storia dell'estetica dalla sua concezione antica e testimoniandola nella nostra contemporaneità questo libro giunge alle conclusioni che furono di Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano: la bellezza dell'arte su questa Terra è superata dalla bellezza dei santi, quindi dell'uomo, che di Dio è immagine. «La gloria di Dio è l'uomo vivente», aveva affermato prima di lui icasticamente sant'Ireneo. Il percorso del volume investe i campi artistici letterario, figurativo e quello filosofico sorpresi sotto la luce portata dall'avvenimento cristiano.
I testi qui per la prima volta raccolti rientrano nell'ampia ricerca che Ricoeur svolge su questioni di filosofia politica, dove la disamina del concetto di tolleranza (e dei suoi opposti) è condotta secondo la dialettica dell'et et: mostrare affinità e differenze tra i concetti e gli slittamenti di significato nei diversi piani del discorso. La tolleranza ha tre giustificazioni - politico-giuridica, culturale e teologica - e nasce come contingenza propria dell'età moderna, per poi diventare condizione di possibilità di una vita giusta. Nell'età post-moderna l'esito inatteso: la tolleranza rischia di scivolare nell'indifferenza. Di qui l'intollerabile, «ultimo rifugio di tolleranza pensata e voluta», paradossalmente esso stesso intollerante quando si erga a giustiziere dell'immoralità degli altri. La stessa indignazione necessita quindi di prudenza e mitezza: è un invito all'etica di compromessi ragionevoli. La tolleranza, in tal senso, resta una virtù incompiuta, un compito senza fine.