Fosco Maraini (Firenze, 1912) è certamente fra quei protagonisti della nostra vita culturale che più sfuggono ad una classificazione precisa. Antropologo, fotografo, orientalista, scrittore, grande viaggiatore, Maraini è soprattutto la felice incarnazione di un'idea di uomo che stenta a sopravvivere in un'epoca come la nostra, dove sembra che non si possa essere nessuno se non si possiede una collocazione precisa, un proprio biglietto da visita esistenziale. E forse questa è la ragione principale per cui Maraini resta, in fondo , e nonostante il fatto che sia così facile imbattersi nei suoi libri, nei suoi articoli, nelle sue fotografie, un personaggio ancora per molti versi sconosciuto.
Iniziato nel 1870 e giacente per anni in una cassaforte, pubblicato poi sullo "Harper Magazine" del dicembre 1907 e del gennaio 1908 e un anno dopo in volume (ma i primi due capitoli usciranno soltanto postumi), il Viaggio in Paradiso è fra le opere migliori del grande scrittore americano Mark Twain, quella che meglio di ogni altra, secondo George Bernard Shaw, permette di entrare nel suo universo di scrittore. Si tratta di una specie di fantasia 'americana' sull'oltretomba, visto come un luogo completamente all'opposto delle nostre più 'verosimili' e rosee aspettative; ed è in effetti una bolgia indescrivibile di situazioni quella che travolge il protagonista, il vecchio lupo di mare capitano Stormfield, in un crescendo umoristico irresistibile.
Nel quadro dei ricevimenti organizzati dal loro esclusivissimo "club", alcune signore della migliore società americana hanno invitato il romanziere Osric Dane, quello, cioè, che bisogna assolutamente aver letto. Preziose e ridicole, queste signore circondano il romanziere con le loro attenzioni e con i loro commenti insipidi, tanto che lo scrittore non si perita di punzecchiarle. Ma, in maniera del tutto inaspettata, ecco che una di esse rovescia la situazione e mette a mal partito il celebre romanziere domandandogli cosa pensa di Xingu. Chi è dunque questo Xingu che tutti sembrano conoscere?
Due figure di donna - l'una corposa e reale, l'altra inafferrabile ed immaginata - sono, con Poussin, Porbus, Frenhofer, personaggi storici o d'invenzione, i protagonisti di questo racconto lungo, la cui stesura occupò Balzac in momenti diversi per ben sei anni. Aperto a più chiavi di lettura, questo grande racconto "romantico" affianca agli "amori paralleli" di Poussin e Frenhofer e all'intrecciarsi di sentimenti e passioni, il problema del rapporto tra artista ed opera d'arte, tra arte e realtà.
Sullo sfondo della Grande Guerra, che scardina le famiglie allontanandone i componenti e che divide le coscienze alla luce del nuovo disordine mondiale, il caso fa incontrare nuovamente, dopo molti anni, una nobile signora inglese ed un conte tedesco, ferito e prigioniero del Paese divenuto nemico. Incontro dopo incontro, quel rapporto, dapprima superficiale, si approfondisce sempre di più; un rapporto strano, fatto di attrazione e repulsione insieme, che il lettore vede scorrere nella sua ambivalenza fino allo scioglimento finale, determinato dal ritorno dalla guerra del marito di lei.
L'interesse di D. H. Lawrence per il mondo etrusco non si esaurisce in una visione puramente archeologica: anzi, al contrario, l'universo etrusco costituisce per lui una sorta di mitico luogo di elezione. Del misterioso popolo, lo affascina innanzitutto la gioia di vivere, la genuinità naturale, l'istintualità non ancora viziata dall'intellettualismo, tutte qualità che egli contrappone polemicamente alla viziata volontà di potenza romana ed al vuoto estetismo greco, compiendo così, all'interno del mondo classico, una scelta di campo che riflette pienamente la sua poetica.