
È l'anno fatidico 2001. A New York, Harvey Sonnenfeld, agente CIA messo un po' in disparte ma carico di esperienza, ha un'intuizione, una di quelle convinzioni tenaci che non si sa da dove vengano ma che possono essere più radicate di un ragionamento articolato: ci sarà un attentato. «New York conta un bel po' di milioni di abitanti, e nessuno può sapere esattamente quanti stanno preparando un attentato. Loro sono qui e io prima o poi li annuserò». Ingaggia allo scopo un gruppo di persone tanto assurdo quanto efficace. Bobby Fischer, l'unico americano della storia campione mondiale di scacchi, paranoico, ma capace di anticipare un migliaio di mosse; l'immigrato russo Kozlov, un ubriacone, proveniente dall'Afghanistan, ingegnere esperto di ogni tipo di attentato; il professor Koselleck, cacciato dall'università a causa di una condanna per stalkeraggio contro la moglie, il massimo studioso del pianeta di graffiti offensivi e scritte oscene. Intanto un'ombra si aggira, un altro gruppo affaccendato a tessere una rete di contatti; per loro non è il 2001 ma l'anno 1421 dall'Egira. L'improbabile squadra di Harvey Sonnenfeld da un labile indizio scovato in metropolitana e una conversazione captata per caso, dà l'avvio a una corsa contro un tempo immaginario, in cui si profilano minuziosamente terroristi costruiti sull'equivoco. Siamo arrivati a settembre. La fine è nota. Ma il racconto è pieno di tensione e di sorprese, e pervaso dall'ironia di chi, come Alessandro Barbero, sa guardare alla storia con disincanto. E il desiderio di complotti produce le sue conseguenze, mentre la realtà va pericolosamente, indisturbata, per conto suo.
Nina viene abbandonata in un orfanotrofio nell'immediato dopoguerra. Le suore fanno la cresta sul vitto e le elemosine, il confine fra disciplina e oppressione è molto sottile e le punizioni corporali e psicologiche sono parte integrante del sistema di educazione. Quando Nina compie sette anni, arriva Lucia, che ha la sua età e non possiede la scorza necessaria per salvarsi dall'insensata cattiveria delle monache. Nina si sente in dovere di difenderla. Insieme all'amicizia, scopre la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, mentre cresce in lei il senso di esclusione. Oltre le mura dell'istituto c'è un mondo al quale loro non hanno accesso e dove accadono fatti clamorosi - la nascita della televisione, il discorso rivoluzionario di un reverendo nero, l'assassinio di J.F. Kennedy, dighe che straripano e trascinano a valle migliaia di corpi, la morte del Papa buono. Quando a diciott'anni Nina esce dall'orfanotrofio trova davanti a sé un continente inesplorato. La sua vita sembra iniziare da capo: incontra nuove amiche, con loro partecipa a manifestazioni e scioperi e alla storica occupazione del grande tabacchificio di Lanciano, nel maggio del 1968, durata per ben quaranta giorni. Le vicende private e sentimentali delle ragazze si mescolano a quelle pubbliche, tutto attorno l'Italia cambia, pare lasciarsi indietro l'oscurità del passato, scopre i consumi e le réclame, la moda e le prime utilitarie, mentre le radio a transistor raccontano una trasformazione dei costumi a tempo di canzoni. La colonna sonora di ciò che poteva essere e non è stato. Il pozzo delle bambole racchiude in sé molti romanzi: una storia di crescita e di formazione, sulla scoperta del mondo palmo a palmo; un'avventura di collegio, di istituto, di camerate e cucine, spazi in cui crescere e trasformarsi; un affresco storico sul dopoguerra che è anche racconto di fabbrica e lotte; e soprattutto un romanzo di donne che diventano consapevoli, commettono errori, avanzano e retrocedono in una lotta lunga e difficile che Simona Baldelli descrive con ritmo, verosimiglianza, attenzione e sensibilità.
"Otto e mezzo" e "Il Gattopardo" sono due film epocali, girati contemporaneamente, e che tutti crediamo di conoscere benissimo. Ma se torniamo a quel mitico 1963, con Claudia Cardinale che corre da un set all'altro, Burt Lancaster che deve dimostrare di non essere un cowboy, Sandra Milo che ama l'amore più del cinema, Marcello Mastroianni troppo felice per interpretare il suo personaggio, ecco che si spalanca un mondo intero. Intanto, fuori dal set, si dibatte un Paese in cui la cultura è ancora politica, e l'epopea di un celebre romanzo rifiutato e poi riscoperto s'intreccia alle vicende personali e pubbliche di Federico Fellini e Luchino Visconti, sublimi registi avversari. Guardando dietro le quinte, Francesco Piccolo ci fa rivivere lo spirito irripetibile di un'epoca. Un racconto unico e travolgente sulla forza del genio e su quella del destino. La storia del cinema non è poi così diversa dalla vita: apparentemente lineare, ma costellata di incontri fortuiti, appuntamenti rincorsi o mancati, decisioni prese all'ultimo minuto e imprevedibili coincidenze. Fatalità cruciali che permettono a un'opera di venire alla luce, con le precise caratteristiche che poi tutti ricorderanno. La scelta di un'attrice, la luce sul set, le vicissitudini sentimentali del regista o di un comprimario - così come i tagli nel budget o una scena cambiata all'improvviso - possono scrivere a modo loro una pagina del genio universale. Il 1963 è stato l'anno di Fellini e di Visconti. Un anno decisivo per il cinema italiano, che ha visto la nascita di "Otto e mezzo" e "Il Gattopardo". Ma prima di diventare i capolavori che ben sappiamo erano due incredibili scommesse, nonché il campo di battaglia tra due artisti rivali e profondamente diversi: mentre Claudia Cardinale cambiava il colore dei capelli secondo il capriccio di chi la dirigeva, l'intero contesto culturale italiano si stava preparando a sposare l'una o l'altra visione del cinema e del mondo. Ecco cos'è "La bella confusione": inseguendo come un detective le figure e gli episodi che hanno fatto la Storia, Francesco Piccolo ha setacciato lettere, filmati, appunti e diari, interviste, pettegolezzi, testimonianze. Perché in questo romanzo diverso da qualsiasi altro romanzo i personaggi si chiamano Marcello Mastroianni, Ennio Flaiano, Sandra Milo, Tomasi di Lampedusa, Camilla Cederna, Suso Cecchi d'Amico, Burt Lancaster e Pier Paolo Pasolini. Muovendosi tra il mito e l'aneddoto, la voce inconfondibile dell'autore di "Il desiderio di essere come tutti" risveglia milioni di ricordi e ci regala la luce perduta di un'epoca. Un documentario fatto di parole: la potenza dell'arte, i segreti del cinema, i duelli di un'Italia che non sapremmo più immaginare.
Tutti lo sanno: Antoine de Saint-Exupéry ha scritto "Il piccolo principe", uno dei romanzi più popolari del mondo. Quello che tutti non sanno è che Antoine, famigliarmente Tonio, è un personaggio che vale da solo una grande storia. Ed è la storia che Romana Petri ha scritto con la febbre e la furia di chi si lascia catturare da un carattere e lo fa suo, anzi lo ruba, tanto che il documento prende più che spesso la forma dell'immaginazione. Orfano di padre, Tonio vive un'infanzia felice nel castello di Saint-Maurice-de-Rémens, amato, celebrato, avviluppato al mostruoso quasi ossessivo amore per la madre; un'infanzia che gli resta incollata all'anima per tutta la vita, fin da quando, straziato, vede morire il fratello più giovane. L'infanzia lo tallona come un destino quando, esaltato, comincia a volare, pilota civile e pilota militare, quando si innamora tanto e tante volte, quando si trasferisce in America, quando scrive, persino quando si schiera e sceglie di combattere per un'idea di Francia che forse è sua e solo sua. Dove sia andato Tonio, non sappiamo, nei cieli in fiamme del 1944. Sappiamo che ci ha lasciato le stelle della notte, il sogno di una meraviglia che non si è mai consumata, il bambino che lui ci invita a riconoscere eterno dentro di noi. Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d'avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell'infinito.
È nato con una voglia sotto l'occhio sinistro, come un pallido frutto incastonato nella pelle: Uvaspina si è abituato presto a essere chiamato con quel nome che lo identifica con la sua macchia. A quasi tutto, del resto, è capace di abituarsi: a suo padre, il notaio Pasquale Riccio, che si vergogna di lui; alla Spaiata, sua madre, che dopo aver incastrato Pasquale Riccio con le sue arti di malafemmina e chiagnazzara non si dà pace di aver perduto il proprio fascino e finge di morire ogni volta che lui esce di casa. Ma soprattutto Uvaspina è abituato a sua sorella Minuccia, abitata fin da bambina da un'energia che tiene in scacco il fratello con le sue esplosioni imprevedibili, le ripicche, la ferocia di chi sa colpire nel punto di massima fragilità, come quando gli dice: "Avevano ragione i compagni tuoi, sei veramente un femminiello." Eppure, solo Uvaspina conosce l'innesco che rende la sorella uno strummolo, una trottola capace di ferire con la sua punta di metallo vorticante. E solo Minuccia intuisce i sogni di Uvaspina, quando lo strummolo la tiene sveglia e può scrutare i suoi finissimi lineamenti nel sonno. Intorno a loro, Napoli: la città dalle viscere ribollenti, dai quartieri protesi verso il cielo, dai tentacoli immersi in quel mare che la fronteggia e la penetra. È proprio sul confine tra la città e il mare, tra la storia e il mito, che Uvaspina incontra Antonio, il pescatore dagli occhi di colori diversi, che legge libri e non ha paura del sangue, che sa navigare fino a Procida e rimettere al mondo un criaturo che dubita di se stesso. La purezza del loro incontro, però, non potrà nascondersi a lungo nelle grotte di Palazzo Donn'Anna: la città li attira a sé, lo strummolo gira e il suo laccio unirà per sempre i loro destini. Una passione assediata dallo scherno e dallo scuorno. L'ambiguità dell'amore fraterno, la necessità dell'ombra perché ci sia luce. Infine una scrittura, quella della giovane Monica Acito, che sa inserirsi con originalità in una grande tradizione letteraria e, mescolando la forza tellurica del vernacolo alla freschezza di un racconto sulla giovinezza, invoca la fame di felicità che abita ciascuno di noi.
"Si dicono tante cose di lui, che era a bordo del Malaspina quando ha affondato la British Fame, che è un mago, un fachiro, un ipnotizzatore, che non dorme mai": questo sanno del loro Comandante gli uomini che all'alba del 28 settembre 1940 si imbarcano sul sommergibile Cappellini per andare alla guerra. Sanno anche che il Comandante potrebbe rimanere a terra, al riparo, perché un incidente lo ha condannato a vivere in un busto d'acciaio che gli toglie il fiato. E invece lui, Salvatore Todaro, è lì, pronto a guidarli al di là delle mine che rendono Gibilterra una trappola, a combattere per l'Italia nell'oceano aperto, e "quando lui è sicuro, ti senti sicuro". Marcon, aiutante di bordo, il volto sfigurato dall'acetilene e quell'accento venexian che piace tanto al Comandante. Schiassi, il marconista, che con l'idrofono ausculta le profondità. Stumpo, il motorista-corallaro, capace di riconoscere i polpi femmina. Stiepovich, il tenente di Trieste che ha portato con sé il violino. Giggino, il cambusiere, che ancora non sa quanto scaldano il cuore le patatine fritte... Sono le loro voci a raccontare la sorda monotonia delle ore in immersione e il momento cruciale in cui, lungo la linea immobile dell'orizzonte, si profila la sagoma di un mercantile a luci spente. Bisogna affondarlo, sfidare la morte propria e quella dei nemici: è allora che il Comandante prende una decisione fatale, capace di rischiarare la notte. Perché i corpi che galleggiano nel mare nero per lui non sono nemici, sono naufraghi. Raccontando e restituendo al nostro legittimo orgoglio uno degli episodi meno conosciuti e più luminosi dell'ultima guerra, Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi denunciano la barbarie di ogni conflitto e celebrano la grandezza dei valori dell'umanità quando ci sono donne e uomini pronti ad affermarli nonostante tutto.
Vince Corso, biblioterapeuta e detective di enigmi letterari, sul treno che dovrebbe portarlo a un appuntamento con la fidanzata si imbatte in un originale compagno di viaggio: un uomo colto, insinuante, che fisicamente gli ricorda il grande Léo Ferré, lo chansonnier anarchico di Avec le temps. Solo che Corso ha sbagliato direzione, doveva andare verso Sud invece che al Nord, e contrariato vorrebbe ripa-rare. Ma l'uomo, misteriosamente allusivo, lo invita a persistere nello sbaglio: «forse lei non lo sa ancora, ma potrebbe essere arrivato il momento di fare questo viaggio». Genova, la prima meta, gli darà un tuffo al cuore: da lì fino a Marsiglia era trascorsa la sua primissima infanzia. La madre cameriera lo aveva concepito con uno sconosciuto una notte di fine luglio del 1969. E sarà questa l'indagine più importante della sua vita: scoprire chi è suo padre. Per cinque anni Vince Corso gli ha spedito una cartolina al giorno, lasciando vuoto il nome del destinatario e indirizzandole all'unico luogo dove sapeva che almeno per una notte suo padre era transitato: l'Hotel Le Negresco a Nizza. La sua ricerca si svolgerà sui litorali della Costa Azzurra, tra povere pensioni e hotel liberty, dietro a versi di poeti e a vecchi personaggi carichi di storie vissute, seguendo l'indecifrabile mosaico dei destini individuali e delle coincidenze. Fino al riconoscimento che completa il cerchio: essere restituito dai libri alla vita, riavere indietro la possibilità di «amare senza misura». Notturno francese è in realtà un notturno pieno di luce. È una storia di errori, di appuntamenti che non si sa di avere, di labirinti e di orfani che cercano un porto. Un romanzo dove domina la malinconia del continuo lasciarsi dietro le spalle cose e persone, nel tempo e nello spazio. Ma anche la sconsideratezza di mettersi in viaggio per ritrovarle. O per farsi trovare.
«Ho conosciuto l'oscurità, il tempo sospeso dell'attesa, il margine degli abissi e l'immensità che avvolge tutte le cose». Diletta, la protagonista di questo libro, inizia così il suo racconto, tratto da una storia vera. Le persone abusate sono milioni nel mondo, ma lei è una rarità, una donna coraggiosa che è riuscita a ritrovare il sentimento dell'innocenza che le era stato rubato nell'infanzia: «Ho attraversato il fuoco, sono scampata a un grande pericolo e ho vinto la mia battaglia». La prosa creata dall'autore riesce ad avvolgere con delicatezza e poesia anche i tratti più ruvidi della vicenda e le parole emergono dalle pagine come un balsamo, una cura. È come se Diletta stendesse le sue mani e dicesse: «Vieni, puoi farcela anche tu».
Si esiste interi solo prima di nascere. Ma quello strappo è la vita. Omar ha dieci anni e passa le giornate alla finestra sperando che sua madre torni: da troppi giorni non viene, e lui non sa più nemmeno se è viva. Suo fratello gli strofina il naso sulla guancia per fargli il solletico, ma non riesce a consolarlo. Senza la madre il mondo svapora. Solo Nada lo calma, tenendolo per mano: soltanto lei, con i suoi occhi celesti, è per Omar un desiderio. Ha undici anni, sulla fronte una vena che pulsa se qualcuno la fa arrabbiare, e un fratello, Ivo, grande abbastanza da essere arruolato. Nada e Omar sono bambini nella primavera del 1992, a Sarajevo. Per allontanarli dalla guerra, una mattina di luglio un pullman li porta via contro la loro volontà. Se la madre di Omar è ancora viva, come farà a ritrovarlo? E se Ivo morisse combattendo? In viaggio per l'Italia, lungo strade ridotte in macerie, Nada conosce Danilo, che ha mani calde e una famiglia, al contrario di lei, e che un giorno le fa una promessa. Nessuna infanzia è spensierata, ciascuno di noi porta con sé le sue ferite, ma anche quando ogni certezza sembra venire meno, possiamo trovare un punto fermo attorno al quale far girare tutto il resto. Mi limitavo ad amare te entra nelle fibre del lettore colpendo quel punto come una freccia. Ispirato a una storia vera, è un romanzo di ampio respiro, di formazione, di guerra e d'amore, che si colloca a pieno titolo nella tradizione del grande romanzo europeo. Con la sua scrittura precisa e toccante, Rosella Postorino torna a indagare le nostre questioni private, quelle che finiscono per occupare il centro dei pensieri e delle azioni degli esseri umani anche nel mezzo dei rivolgimenti storici più scioccanti. Così, mentre infuria il conflitto che per primo in Europa ha spezzato una lunga pace, ecco che ci interroghiamo sull'"inconveniente di essere nati". Come si diventa grandi quando da piccoli si è stati amati malamente? E chi può mai dire di essere stato amato come e quanto avrebbe voluto? Nada, Omar e Danilo scoprono presto nel legame che li unisce, e che li spinge a giurarsi fedeltà eterna oppure a tradirsi, la più grande risorsa per una possibile salvezza.
Siamo all'inizio degli anni Settanta, a Castroianni, un piccolo paese della Sicilia che, per mancanza di litio nell'acqua corrente, registra il più alto tasso di pazzi di tutta la provincia. Dal momento che la locale sezione della Democrazia Cristiana (ma il litio non c'entra) è sospettata di reggersi su un tesseramento fasullo, viene mandato da Roma il funzionario torinese Graziano Bobbio per indagare sui brogli. Presa dallo sconforto Rosalia Calì - la ricca e avida "Sindachessa", che fino a quel momento ha gestito indisturbata una redditi- zia attività di mazzettara - per salvare la poltrona del segretario politico e con quella anche la sua di sindaco, forzando la sua natura intrinsecamente frigida, si costringe a sedurre il polentone. Il piano funziona. L'imbroglio sul tesseramento viene coperto. E in meno di tre mesi i due convolano addirittura a nozze - complice anche la dote di novanta ettari di terreno, grazie alla quale "il polentone" conta di dimenticare il misero stipendio da funzionario. Ma le cose si complicano quando il novello "signor Calì", per sfuggire alla insoddisfacente vita matrimoniale, si trasferisce in campagna, dove trascorre il tempo con Tatano, suo ex commilitone, e con Celestina, bella ventenne nota per le sue esagerate prodezze sessuali. E mentre tutti in paese cominciano a spettegolare sui loro rapporti, arriva il colpo di scena: "il polentone" è stato rapito e per pagare il riscatto la moglie dovrà scucire tutte le mazzette faticosamente conquistate a suon di appalti.
Sono passati dieci anni dall'ultima volta che il teologo Tommaso Vegas ha incontrato Myriam, quando lei era la sua assistente e una ragazza inquieta e instabile con cui ha trascorso giorni e notti gomito a gomito, impegnati negli stessi studi. Si erano scambiati un lieve bacio sotto i carrubi, a Gerusalemme. Poi più niente. Eppure, Tommaso ha continuato a sognarla e a immaginarla. Molte cose sono cambiate da allora: Vegas è un uomo disilluso, ha smesso di interessarsi alle cose divine, così come anche Myriam, che lavora in un ospedale pediatrico. Altrettante ancora però li uniscono, primo tra tutti Marco, compagno di Myriam e amico di Tommaso, che lo invita a Vienna per un convegno sul Nuovo Testamento. Nel fittizio caldo tropicale del Pyramide Hotel, i tre riprendono da dove si erano lasciati. Partono quindi insieme per Alessandria, poi Il Cairo e ancora Gerusalemme, in esplorazione di quei luoghi che sono stati testimoni dell'esistenza terrena di Gesù. In un viaggio sospeso tra il passato e il presente, tra la materia e il divino, Vegas scoprirà nella donna che l'ha ossessionato per anni una persona vitale e irresistibile, ma anche pragmatica e intransigente, capace di abbandonare l'astrazione degli studi teologici per portare aiuto concreto ai suoi pazienti.
"Quando torni io non ci sarò già più." Sono le ultime parole di S. a Matteo, pronunciate al telefono in un giorno d'autunno del 1998. Sembra una comunicazione di servizio, invece è un addio. S. sta finendo di portare via le sue cose dall'appartamento di Matteo dopo la fine della loro storia d'amore. Quel giorno Matteo torna a casa, la casa in cui hanno vissuto insieme per sette anni, e scopre che S. si è tolto la vita. Mentre chiama inutilmente aiuto, capisce che sta vivendo gli istanti più dolorosi della sua intera esistenza. Da quegli istanti sono passati quasi venticinque anni, durante i quali Matteo B. Bianchi non ha mai smesso di plasmare nella sua testa queste pagine di lancinante bellezza. Nei mesi che seguono la morte di S., Matteo scopre che quelli come lui, parenti o compagni di suicidi, vengono definiti sopravvissuti. Ed è così che si sente: protagonista di un evento raro, di un dolore perversamente speciale. Rabbia, rimpianto, senso di colpa, smarrimento: il suo dolore è un labirinto, una ricerca continua di risposte - perché l'ha fatto? -, di un ordine, o anche solo di un'ora di tregua. Per placarsi tenta di tutto: incontra psichiatri, pranoterapeuti, persino una sensitiva. E intanto, come fa da quando è bambino, cerca conforto nei libri e nella musica. Ma non c'è niente che parli di lui, nessuno che possa comprenderlo. Lentamente, inizia a ripercorrere la sua storia con S. - un amore nato quasi per sfida, tra due uomini diversi in tutto -, a fermare sulla pagina ricordi e sentimenti, senza pudore. Ecco perché oggi pubblica questo libro, perché allora avrebbe avuto bisogno di leggere un libro così, sulla vita di chi resta. Ma c'è anche un altro motivo: "In me convivono due anime" scrive, "la persona e lo scrittore". La persona vuole salvarsi, lo scrittore vuole guardare dentro l'abisso. Per vent'anni lo scrittore che c'è in Matteo ha cercato la giusta distanza per raccontare quell'abisso. E quando si è trovato nel punto di equilibrio, da lì, da quella posizione miracolosa, ha scritto queste parole, che, seppur lucidissime, sgorgano con la forza e la naturalezza dell'urgenza. Ciò che stiamo consegnando nelle mani di chi legge è un dono, sì, ma un dono di straordinaria gravità. Eppure, ognuna di queste pagine contiene un germe di futuro, la testimonianza di come, persino nelle pieghe di un dolore indicibile, la scrittura possa ancora salvare.