
Di cosa parliamo quando parliamo di Occidente? Dopo l'elezione di Trump, sembra giunto al termine quel concetto di Occidente tutto geopolitico, dove Europa occidentale e Stati Uniti, difensori di democrazia e libertà, si contrapponevano alla 'barbarie' orientale, russa e cinese. Intanto, Giappone, Cina e India propongono altri Occidenti, portatori di altre 'modernità', contrapposte - o comunque alternative - alla modernità occidentale. Stiamo assistendo al crollo dell'Occidente così come lo abbiamo conosciuto?
La scuola contemporanea sembra essere utile solo nella sua funzione di educazione alle tecniche, di distributore di competenze, un luogo nel quale gli studenti imparino a tradurre e a far di conto, frequentando pratiche e metodi che nel corso di quasi un secolo di scolarizzazione diffusa sono stati reiterati e rimescolati producendo risultati altalenanti. Ma dove sopravvive l'elemento culturale? Come dialogano la scuola e la vita dei ragazzi? Un divorzio sembra essersi consumato tra cultura e istituzioni scolastiche, che ha avuto come prodotto un contenitore vuoto, una cosa che non parla. Questo testo vede in dialogo chi in questi decenni è rimasto in silenzio, gli intellettuali e gli studenti. Per questo abbiamo coinvolto figure di spicco del panorama culturale italiano per le discipline scolastiche e dieci loro studenti. Il tentativo di ogni dialogo è però il medesimo: immaginare una scuola veramente nuova, che riesca a superare le criticità e a concentrarsi sulle proposte tramite la realizzazione di un nuovo immaginario didattico. Per costruirlo, il testo lascia spazio alle riflessioni di quanti vivono la scuola ogni giorno. Educazione alle conoscenze, biblioteche interattive, de-burocratizzazione della pratica scolastica, abolizione dei voti, studio della cultura contemporanea e educazione alla politica sono solo alcune delle proposte fatte dai ragazzi e discusse dagli intellettuali, nel tentativo di raccontare come la scuola dovrebbe e potrebbe essere: il motore dell'Intellighenzia del Paese.
Perché una persona arriva a delinquere? Quanto conta il contesto in cui vive? Come resistere alla detenzione o all'ergastolo? Come può riprendere la vita dopo il fine pena? Qual è, oggi, la realtà carceraria e come potrebbe essere? Alcuni esperti approfondiscono temi di grande attualità: dalla salute mentale alle misure alternative, dal sovraffollamento a una nuova idea di carcere, dalla riforma Cartabia al lavoro della Polizia penitenziaria. Luigi Pagano (ex direttore istituti penitenziari, ex provveditore regionale, ex vicecapo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) parla di struttura «anacronistica», di necessaria collaborazione tra istituzioni, di "sorveglianza dinamica"; Anna Giroletti (responsabile presso l'Asst Santi Paolo e Carlo della Struttura semplice dipartimentale del Servizio psichiatrico penitenziario di San Vittore, Opera, Bollate e Beccaria) affronta il tema della salute mentale e della formazione; Teresa Mazzotta (dirigente dell'Ufficio interdistrettuale esecuzione penale esterna Lombardia) descrive opportunità e limiti delle misure alternative. Don Marco Recalcati (cappellano incaricato di San Vittore e delegato regionale delle carceri della Lombardia) si sofferma sul ruolo dei cappellani e della Chiesa nelle carceri; infine Bruna Dighera (membro del Tavolo lecchese per la giustizia restorativa, mediatrice penale ed esperta formatrice, psicologa, psicoterapeuta) spiega la giustizia riparativa attraverso l'esperienza dell'"Innominato" e dei circles attivi a Lecco, cui partecipano autori di reato, vittime e cittadini che, in queste pagine, restituiscono la loro esperienza. Accanto a loro, Luisa Bove dà voce al racconto in prima persona di alcuni detenuti che, attraverso un lungo percorso di autoconsapevolezza e accompagnamento, hanno saputo trovare la chiave del proprio riscatto. «Per far respirare le istituzioni penitenziarie occorre una poderosa retromarcia nell'esercizio del potere assoluto e nella spoliazione dell'identità e dell'individualità dei reclusi. Occorre costruire una quotidianità in cui il detenuto sia protagonista responsabile, garantendogli l'esercizio di tutti i diritti compatibili con la riduzione della libertà.» (Lucia Castellano)
Il volume esplora il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e Dante Alighieri, due figure cardine della cultura italiana, mostrando come Pasolini abbia reinterpretato l'opera di Dante per affrontare i temi sociali, politici e culturali del suo tempo. Attraverso un'analisi interdisciplinare che spazia dalla letteratura al cinema, dalla filosofia alla semiotica, viene indagata l'influenza della Commedia sulla produzione pasoliniana, dalle prime antologie sulla poesia dialettale e popolare ai film, mettendo a fuoco il lungo e articolato percorso di ricezione ed elaborazione del modello dantesco che ha portato alla riscrittura pasoliniana, incompiuta e frammentata, del capolavoro di Dante, La Divina Mimesis. Dall'influenza di Contini e Auerbach sulla formazione del concetto pasoliniano di "realtà rappresentata" (mimesi) passando per i dibattiti ideologici sul realismo, la questione della lingua, il ruolo dell'intellettuale organico (o "mimetico") e il "nazional-popolare", vengono passate in rassegna le grandi questioni teoriche degli anni Cinquanta e Sessanta. Il libro arricchisce la comprensione del dialogo tra passato e presente nella cultura italiana e offre un contributo innovativo agli studi su Pasolini e sulla ricezione moderna di Dante evidenziando come Pasolini utilizzi l'immaginario dantesco per creare un linguaggio nuovo e sovversivo, capace di coniugare tradizione e modernità.
Se «Dio è morto», la figura di Cristo continua a vivere nell'immaginario artistico europeo. Da Max Ernst ad Alberto Savinio, da Joris-Karl Huysmans a Curzio Malaparte, gli scrittori e gli artisti eleggono, infatti, l'ecfrasi quale luogo privilegiato per una rielaborazione critica di tale figura, che conosce un momento di vitalità inedita nella modernità. Il libro affronta questo apparente paradosso che diviene lo spazio per interrogare, di volta in volta, i confini del sacro e del profano, del dicibile e del visibile, e per indagare una questione decisiva dell'arte moderna: la tensione tra aspirazione metafisica e finitudine dell'uomo.
Sono raccolte qui molte delle fondamentali lezioni che Giovanni Liotti ha tenuto nell'arco di circa vent'anni in una scuola di psicoterapia. Il necessario adattamento al testo scritto ha mantenuto sempre la ricchezza concettuale e la tensione dialogica del discorso orale, e le lezioni sono organizzate secondo un ordine tematico che copre l'intero percorso teorico di Liotti: dal rapporto tra attaccamento e intersoggettività al valore della cooperazione nella relazione terapeutica sino agli esiti del trauma dello sviluppo e ai suggerimenti per il loro trattamento. Le indicazioni sulla formulazione del caso clinico, la descrizione dell'esperienza dell'autore con i pazienti più difficili e le supervisioni agli allievi arricchiscono i testi scelti per questa antologia, ancorando la teoria alla pratica clinica in un volume che custodisce gran parte della viva eredità che il grande maestro ha lasciato ai suoi allievi.
Nella primavera dei suoi sessant'anni, John Oakes ha deciso di fermarsi. In un mondo frenetico e dominato dall'imperativo del consumo, in un'epoca segnata da crisi globali e incertezze, ha scelto di sottrarre invece che aggiungere: per sette giorni ha smesso di mangiare. Il digiuno è il racconto di questi giorni di privazione volontaria di cibo, e assieme l'esplorazione di una pratica ancestrale e eterna che non ha mai smesso di affascinare le coscienze umane. Che cosa accade quando scegliamo di non mangiare? Quando decidiamo di interrompere il ritmo quotidiano fatto di alimenti, sapori e rituali per affrontare il vuoto? Per Oakes il digiuno rappresenta una rottura in primo luogo culturale: la routine quotidiana è infatti scandita dai pasti e nutrirsi è in un certo modo quasi una norma, tanto che un atto semplice come l'astensione dal cibo può trasformarsi, per esempio nei casi di Gandhi o Bobby Sands, in una potente forma non violenta di dissenso. Negli ultimi anni il digiuno ha guadagnato popolarità anche per altre ragioni: dalla perdita di peso alla disintossicazione dalle scorie lasciate da alcol, droghe e zuccheri, fino a una migliore conoscenza di sé; ma da tempo immemore è soprattutto uno strumento di purificazione e ascesi religiosa, praticato in confessioni anche molto diverse fra loro – dal cattolicesimo al buddhismo – e quasi universalmente sul pianeta.
Pasteur è stato il padre della vaccinazione e il simbolo di una lotta vittoriosa contro le malattie infettive; il laboratorio fu per lui il mezzo per realizzare le sue ambizioni, ma anche un rifugio per dimenticare i gravi lutti subiti. La biografia va oltre l'ambito scientifico, vi è ampio spazio per la famiglia, gli amici e le relazioni, le idee filosofiche e religiose. La sua vita, sin dall'ingresso all'École normale supérieure, si è costruita intorno al lavoro, ai successi ottenuti e alla gloria conseguita con le sue scoperte.
I Vangeli ci offrono esempi straordinari di preghiera di intercessione. Questi episodi ci insegnano che l'intercessione non è solo un atto di fede, ma anche un gesto d'amore capace di trasformare le vite. Attraverso questo libro, il lettore è guidato in un percorso di guarigione interiore che abbraccia ogni aspetto della vita: il rapporto con Dio, con gli altri e con sé stesso. Superare le relazioni conflittuali, imparare l'arte dell'autoperdono, vincere la bassa autostima e la mancanza di umiltà sono passi fondamentali per una crescita spirituale autentica. Il testo propone cinque condizioni essenziali per costruire una relazione profonda con Dio e offre preziose preghiere per liberarsi dal male, guarire il proprio passato, vivere con serenità il presente e affrontare il futuro con fiducia.
Ansia, stress, paura e panico spesso affliggono l'anima e il corpo, ma la preghiera è un potente strumento di guarigione. Il libro si conclude con una raccolta di preghiere specifiche per la guarigione interiore e psicologica, offrendo un auto concreto per chi desidera ritrovare equilibrio, pace, speranza.
Confuso con il reazionario o con il liberale, il conservatore viene associato al mondo anglosassone, eppure esiste un'importante tradizione di conservatorismo italiano con una propria identità. Francesco Giubilei traccia la storia del conservatorismo italiano individuandone la genesi già nell'antica Roma e riscontrando nel cattolicesimo, nel Medioevo, nell'esperienza della Serenissima e nel contrasto alle derive giacobine della Rivoluzione francese i suoi tratti salienti. Da Catone il Censore e Cicerone a Giambattista Vico, da Vincenzo Cuoco e Giacomo Leopardi fino a Giuseppe Prezzolini arrivando a Leo Longanesi e Indro Montanelli, l'autore individua le figure ascrivibili a una tradizione di conservatorismo italiano e si sofferma sulle cause della mancanza nel Novecento di un grande partito conservatore italiano arrivando, infine, alla nascita del governo guidato da Giorgia Meloni, il primo Presidente del Consiglio a definirsi conservatore.
Alessandro Sallusti è finito in galera per un reato, l'omesso controllo, che inevitabilmente commettono tutti i direttori di giornale (i direttori degli altri giornali, però, in galera non ci vanno); ha avuto un trisavolo fedele a Francesco II, re spodestato delle Due Sicilie, e dunque considerato un brigante dai governanti sabaudi della nuova Italia unita; ha scoperto sul manuale di storia delle medie che cosa era successo al nonno durante e dopo la guerra civile; ha sperimentato lo "stato di natura", vivendo per un mese in Amazzonia tra gli Yanomami; è stato fra i protagonisti, nel novembre 1994, dello scoop sull'avviso di garanzia che avrebbe fatto cadere il primo governo Berlusconi, mentre durante l'ultimo governo Berlusconi ha partecipato, nella villa di Arcore, alle riunioni della fantomatica "Struttura Delta" che avrebbe ordito strategie e complotti; ha conosciuto molto da vicino i protagonisti della politica, dell'economia, della società degli ultimi quarant'anni. A partire dagli episodi della sua vita famigliare, personale e professionale e con lo sguardo attento ai cambiamenti che stanno stravolgendo la nostra immagine del mondo, Sallusti mostra in questo libro il punto di vista eretico di un liberal-conservatore abituato a sentirsi minoranza - spesso irrisa - nei salotti buoni della cultura dominante, e tuttavia consapevole di essere in sintonia con la maggioranza delle persone in Europa e in Occidente, come le elezioni si incaricano invariabilmente di dimostrare. Contro la cancel culture e il senso di colpa della sinistra globalista, un liberal-conservatore difende le libertà che costituiscono l'orgoglio dell'Occidente e il suo più grande apporto alla storia del mondo. Contro le pericolose utopie buoniste, il conservatorismo rappresenta la voce del buonsenso in accordo con la realtà.
"Andrebbe incoraggiata un'educazione al dolore, perché fin troppo spesso del dolore si ha un'unica idea, quella di una condanna ineliminabile." Umberto Eco percorre un affascinante itinerario - tra filosofia, poesia, arte, letteratura e spiritualità - che segue il tema del dolore dalle origini ai giorni nostri. Esperienza insopprimibile della natura umana, passione del corpo e dell'anima, il dolore non è stato vissuto nei secoli soltanto come un male da sconfiggere ma anche, ad esempio, come salvifica prova di redenzione. Il dolore ha caratterizzato ogni epoca e tradizione, ma è il suo rapporto intimo e ambivalente con la conoscenza e il pensiero a interessare la riflessione di Eco, in un libro che è un'intensa testimonianza di sensibilità, ma anche un invito forte a coltivare l'educazione alla conoscenza, formidabile antidoto alla sofferenza dell'uomo.