
Nika, studentessa, 16 anni? È caduta da un palazzo, dice il regime. Aida, 36, medico? Un amante abbandonato l'ha spinta giù dal cavalcavia, dice il regime. Reyaneh, ancora teenager al suo ingresso in prigione? Lei in effetti è stata giustiziata, dopo sette inverni, perché giudicata colpevole di aver ucciso un uomo: questa volta il regime non mente, ma nasconde che quell'uomo stava cercando di stuprarla. Sono queste, e molte altre, le storie quotidiane delle ragazze iraniane lungo le strade della «loro» Rivoluzione, che dura da oltre quarant'anni e che sogna di aver imboccato il rettilineo finale. Una generazione di giovani donne istruite che si rispecchiano nelle coetanee di Paesi più liberi, ne condividono i desideri, aspirano agli stessi diritti. Pagano col sangue il coraggio di mettere i propri corpi di traverso a un sistema che è vecchio, sessista, illiberale, determinato a spegnerne in fretta la rivolta. «Il regime ci sventra», ripetono, raccontando di abusi, accecamenti, sparizioni, finti suicidi. Ma la loro rivoluzione è fatta anche di canzoni, di colori e di arte, di solidarietà che corre tra regioni lontane e scavalca le frontiere. Fino a interrogarci: quanto saremmo capaci oggi - noi che ci sentiamo al riparo - di batterci per la libertà? La nostra, quella degli altri, quella delle nostre figlie e dei nostri figli, che consideriamo già in salvo? In una narrazione appassionata che si fa testimonianza, Barbara Stefanelli raccoglie tra le mani le storie delle ribelli iraniane e delle madri, dei fratelli, padri e compagni che ne hanno sostenuto la battaglia. Per custodire i nomi e i volti, il sacrificio e le promesse. Perché le libertà sono la fede che ci accomuna. Non c'è estraneità. Non può esserci indifferenza. Per questo deve risuonare in noi la loro chiamata a combattere. Ad «amare più forte».
Non abbiamo più adulti. Stiamo diventando vecchi ma non adulti, forse perché abbiamo dimenticato come si fa a diventarlo. E perché è importante dare la propria testimonianza in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni situazione, anche quando le cose vanno male. Abbiamo sempre meno padri, capaci di interpretare e di vivere le difficoltà o di perdonare i figli. L'eclissi della figura paterna è un prodotto della società dei consumi, dove abbiamo messo il fare al posto dell'essere, il dire al posto del fare, il guadagnare al posto del vivere. Facendo così sparire l'idea di un futuro realizzabile soprattutto per i più giovani. La paternità per Don Antonio Mazzi è un fatto storico e un fatto religioso, il padre è protagonista della seconda nascita. La prima nascita, quella materna, si ha con l'uscita dal corpo della donna. La seconda avviene nel modo più compiuto quando si alimenta della coscienza e della maturità del padre. Ma l'attenzione si concentra quasi solo sulle donne e sulle madri, spesso in modo comunque inadeguato, mentre oggi l'urgenza più grande è forse un'altra: dobbiamo recuperare la coscienza paterna. Lo spiega l'autore in queste pagine con dovizia di esempi tratti dalla vita vera e dai Vangeli, condensando la sua pedagogia sul tema in un libro di ispirazione e conforto per le famiglie e proponendo persino una sua «formula chimica» dell'educazione dei figli.
Zhuangzi e Hui Shi passeggiavano sul ponte sopra il fiume Hao. Zhuangzi osservò: «Quei pesciolini che si aggirano rilassati e senza fretta, sono pesci felici!». Al che, Hui Shi obiettò: «Tu non sei un pesce; come fai a sapere come sta un pesce?». «Quando hai detto "come fai a sapere come sta un pesce?", sapevi che lo sapevo. Lo sapevo, qui, sopra il fiume Hao.» Il dialogo che apre e dà il titolo a questo libro proviene da uno dei grandi testi dell'umanità, lo Zhuangzi, l'opera del «Maestro Zhuang», figura centrale del taoismo. La sua forza sta «nella capacità di mettere in dubbio ciò che appare ovvio, ribaltare punti di vista e aprire prospettive». Anche Keplero, per «convincere un'umanità esterrefatta che la Terra non è il centro del cosmo e gira velocemente su sé stessa», procede a un ribaltamento di prospettiva: nel suo Somnium, racconta di un islandese e della madre, portati sulla Luna dal «più mite e innocuo dei demoni», che osservano la Terra, il Sole e il cosmo da un corpo celeste in movimento; e mentre leggiamo ciò che descrivono ci rendiamo conto che anche noi, sulla Terra, stiamo osservando l'universo da un corpo in movimento... «Cambiare punto di vista, cambiare prospettiva»: è questo l'esercizio intellettuale, morale e civile che Carlo Rovelli, dopo "Ci sono luoghi al mondo dove più delle regole è importante la gentilezza", propone nel suo nuovo libro, una raccolta degli articoli scritti negli ultimi anni. È un viaggio affascinante da Saffo e Aristotele a Heidegger, dal cosmo di Brunetto Latini e Dante a quello di Galileo, tra storia della scienza e filosofia, musica e cinema, ricordi personali e battaglie ideali, pacifismo e guerra alle diseguaglianze. Contro pigrizia e ipocrisia.
Tripoli, 1967: la Guerra dei Sei Giorni innesca una spirale di violenze contro l'intera comunità ebraica della città, con cacce all'uomo e assalti casa per casa, tumulti, saccheggi, sinagoghe incendiate. Comincia un esodo straziante, con migliaia di persone costrette a fuggire precipitosamente con una valigia e venti sterline in tasca, abbandonando in Libia ogni cosa. Due di quelle persone sono Giulio e Jasmine, con il loro figlio di pochi mesi. La coppia riesce a scappare in Italia, ma Giulio deve tornare in Libia per cercare di salvare, o di vendere, almeno una parte dei beni di famiglia che là sono rimasti. È allora che viene arrestato e incarcerato senza motivo. Per i due coniugi è l'inizio di un viaggio all'inferno e ritorno, mentre lui lotta per resistere tra gli orrori del carcere e lei combatte per farlo liberare. Una storia di trame oscure in cui si incrociano agenti e spie del Mukhabarat, la polizia segreta libica, e poi ministri, ambasciatori, capitribù, avvocati, e lateralmente il Mossad. Mentre Giulio e Jasmine cercano di mantenersi fedeli a una promessa non scritta: non superare mai l'invalicabile linea rossa imposta dalla propria dignità. Dopo un silenzio durato oltre cinquant'anni, la loro storia d'amore e di coraggio rivive in queste pagine come una testimonianza sofferta e personale, ma anche come una ricostruzione vivida delle violenze e delle persecuzioni in un periodo buio, ancora tutto da scrivere, nella Libia di fine anni Sessanta. La vita si fa romanzo, un romanzo vero.
«Una notte ho sognato un demone che mangiava i libri di casa mia.» E al risveglio, questo sogno diventa per l'autore un rovello: un ipotetico demone come sceglierebbe i titoli da aggredire? E quali sarebbe necessario salvare? Comincia così un percorso di riscoperta di storie e autori che hanno accompagnato una vita, e che forse oggi possono permettere di capirla. I libri, infatti, scandiscono il tempo che ci è dato: da studenti magari ci appassioniamo a Rimbaud e ai Decadenti, immaginandoci anarchici e maledetti come loro, mentre più tardi ci lasciamo sedurre dalle teorie dei grandi filosofi e Popper diventa il nostro mito. Un periodo di disoccupazione o pausa forzata, con le sue frustrazioni, può consentirci una scorpacciata di romanzi impegnativi, come Moby Dick. E se un viaggio ci porta in America ci pare già di conoscerla, dai romanzi di mille autori, da Philip Roth a Edith Wharton. Ma la cosa più importante che fanno i classici è renderci la vita insieme più intensa e più semplice, insegnandoci senza averne l'aria lezioni importantissime: cos'è l'identità, cos'è la politica, come si forma la coscienza di un popolo - e come esplode la sua ribellione. Tutto sotto il mantello delle storie: con leggerezza, come suggeriva Calvino. Floris, che confessa di non essere «un lettore naturale», condivide con semplicità in queste pagine ciò che ha ricavato assecondando il suo bisogno di leggere, un bisogno che, magari misconosciuto, appartiene a tutti. Perché la vita è fatta della stessa materia di cui sono fatti i libri e queste pagine ce lo dimostrano: senza pretese, con un tratto scanzonato e insieme appassionato, allestiscono uno scaffale ideale a cui ognuno potrà attingere le proprie ispirazioni.
Ci sono momenti nella vita in cui si sente il bisogno di prendersi una pausa e ripercorrere con calma, senza le continue incombenze quotidiane, le tappe della nostra esistenza. Un viaggio che, anche nei momenti difficili e bui, ci ha portato a provare un sentimento di riconoscenza e gratitudine verso chi ha condiviso con noi il cammino, le prove, le epifanie. Così Chiara, alla soglia dei sessant'anni, approfittando dell'improvviso silenzio che avvolge la sua casa in collina, decide di scrivere tre lettere. La prima alla luminosa figlia adottiva, Alisha, ormai ventenne; la seconda alla diciottenne Ginevra, la problematica figlia naturale; e la terza all'amato e solido marito Davide, con il segreto intento che un giorno la farà leggere anche al piccolo Elia, arrivato in un momento di grande crisi familiare. Sono tutte, in qualche modo, lettere d'amore, declinate nei diversi linguaggi in cui si esprime questo sentimento invincibile e misterioso che ci lega indissolubilmente gli uni agli altri, aprendo nel nostro cuore porte segrete che non sapevamo di avere. Trent'anni dopo Va' dove ti porta il cuore, Susanna Tamaro ci riporta all'interno di complesse dinamiche generazionali, regalandoci pagine preziose che sovrastano il vociare confuso di questi tempi. Il vento soffia dove vuole ci cattura, ci consola e ci guarisce. Un romanzo profondo, appassionante e ricco di umorismo che è un inno alla forza dei legami familiari e all'importanza di dare un senso alla nostra vita.
«Cosa saremmo noi senza la magia dei ritratti, la magia che si scatena da quegli occhi appesi alle pareti dei grandi musei? Cosa saremmo noi senza i ritratti in punta di penna di Philippe Daverio, che raccontano i desideri, le pulsioni, il carattere, le storie di chi ha realizzato nature morte, scene, paesaggi che hanno plasmato il nostro gusto e il nostro modo d'essere in società?» La pittura di Giotto, Masaccio e Piero della Francesca. Il genio di Caravaggio e di Michelangelo. I capolavori di Leonardo, Raffaello e Tiziano. Le storie di Botticelli, Mantegna, Giorgione, Tintoretto e quelle di Vermeer, Brueghel, Goya e Rembrandt. E poi gli impressionisti e i postimpressionisti, da Monet a Van Gogh, da Cézanne a Manet a Toulouse-Lautrec. Fino ai moderni: Klimt, Schiele, Munch, Boccioni, Klee e Hopper. In tutto sessanta protagonisti che hanno segnato la storia dell'arte dalle origini a oggi e di cui Philippe Daverio rievoca in queste pagine vita e opere, segreti e caratteristiche come in un viaggio ideale alla scoperta della bellezza. Una narrazione sapiente che porta alla luce la grandezza dei talenti pittorici, ma anche gli aspetti biografici meno conosciuti. Una cavalcata d'autore con un occhio sempre attento a colori e tecniche e uno sguardo pronto a cogliere il disegno più ampio del cambiamento culturale.
«Cosa comanda di fare Gesù ai discepoli? Di curare, guarire, alzare, liberare, cacciare via i demoni: questo è il programma semplice.» Che coincide, secondo Papa Francesco con «la missione della Chiesa: la Chiesa che guarisce, che cura». Non vi è nulla di impossibile quando si è mossi dall'amore per l'altro e dal senso di responsabilità verso la comunità che ci accoglie. L'impegno per il bene comune è sempre un modo di incontrare il prossimo. Ascoltandolo senza la presunzione che sia lo specchio di noi stessi, la prosecuzione egoista del nostro io. L'icona del volontariato cristiano è la giovane Maria della Visitazione. Ascolta, riflette, decide e agisce. Racchiude in sé tutte le qualità di un volontario. «Un modello dei giovani in movimento, non immobili davanti allo specchio, a contemplare la propria immagine o intrappolati nella Rete.» Il Pontefice nei numerosi viaggi e nei lunghi mesi della pandemia ha ammirato e promosso la mobilitazione in aiuto dei più fragili quando nelle città dominava il deserto e il silenzio, ha visto le tante associazioni mobilitate per l'accoglienza a chi fugge dalle guerre. Al punto che si può oggi comporre una sua catechesi sul tema attraverso i discorsi, i messaggi e le encicliche. Quella del Papa è la vera e propria riscoperta di un fenomeno il cui valore consiste nel contributo che una scelta libera e personale può dare alla tutela della dignità umana e alla costruzione di una società più giusta e solidale. Per essere «buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti anziché alimentare odi e risentimenti». Prefazione di Ferruccio de Bortoli.
L'astronoma Ipazia, vissuta ad Alessandria nel V secolo d.C., teorizzò in modo inaudito per l'epoca che la Terra non è il centro dell'universo ma un pianeta che gira intorno al Sole. E divenne ben presto vittima dei fanatici cristiani. «Oggi» scrive Dacia Maraini «a quasi duemila anni di distanza ci sono ancora donne che soffrono come lei per la semplice ragione che hanno pensato con la propria testa, che hanno voluto studiare, indagare e opporsi al totalitarismo.» Sono donne maltrattate, insultate, minacciate, che spesso hanno denunciato la violenza domestica, ma non sono state credute. Donne sole e abbandonate. Donne che lottano per i loro diritti in tutto il mondo, dal Medio Oriente all'Occidente. Anche dove ci sembra di poter dire che la civiltà ha raggiunto la sua età più matura. In queste pagine, la scrittrice che ha dato vita nei suoi romanzi a indimenticabili protagoniste letterarie (una per tutte: Marianna Ucrìa) dà voce alle donne senza nome di ogni Paese in lotta per la dignità. Mettendo nero su bianco un vero e proprio manifesto al femminile, una denuncia appassionata che racconta le schiavitù che sopravvivono e i muri ancora da abbattere, le libertà negate e la ribellione necessaria. Un appello coinvolgente sul destino femminile contro ogni stereotipo e violenza.
È facile fare l'insegnante... a parole. Così come è facile fare lo scolaro, lo studente... sempre a parole. E allora, perché la scuola non funziona? Perché, prima ancora degli edifici fatiscenti, sta lasciando andare in rovina gli spiriti, gli slanci, la spinta motivazionale? Perché ha dimenticato di essere un'istituzione fatta di persone e non di programmi. Sono persone i bambini e i ragazzi, con le loro fatiche e potenzialità. Sono persone gli insegnanti, con le loro capacità e fragilità. Ma la scuola, per come funziona e per come sta diventando, non valorizza i primi e non gratifica i secondi. Risultato: troppi ragazzi parcheggiati tra i banchi, se non addirittura violenti, o disperati. E troppi insegnanti stanchi e in affanno, se non addirittura cattivi e tossici. Il rischio, per tutti, è di non farcela a sopportare lo stress. Ed ecco che l'abbandono scolastico è diventato una vera emergenza: quello degli studenti ma anche quello di tanti docenti che gettano la spugna e, in silenzio, si ritirano. È successo a Cristina Petit, che con sofferenza ha lasciato il suo mestiere di maestra per seguire altre strade. E che in questo acceso, accorato libro racconta quella scelta e traccia un percorso attraverso vent'anni vissuti in un luogo che è e rimane per tutti l'unica possibilità di crescita personale e civile. Petit non fa sconti: agli ignavi, ai frustrati, ai «cattivi» che inquinano le aule. E invita a tornare su un campo che abbiamo dimenticato, per troppo tempo, di coltivare: quello dell'emozione e del desiderio. Questa è la sua ultima lettera d'amore alla scuola: un'istituzione che ha ancora molto da offrire ma che ha anche molto bisogno di cambiare.