In Occidente si è discusso a lungo, e ancora si discute, sul significato sociologico e su quello storico della nascita dello Stato di Israele. Ma qual è il significato teologico che tale evento riveste per gli ebrei stessi? In che modo esso è stata inteso dalle diverse correnti religiose del Giudaismo? Quale sarà il destino di questo Stato secondo le previsioni dei moderni Sapienti d’Israele? A queste domande risponde in maniera magistrale il prof. Aviezer Ravitzky. Ripercorrendo le opinioni dei principali Rabbini già a partire dal risveglio nazionale degli inizi del XIX secolo, lo studioso conduce il lettore attraverso le opinioni più diverse e a volte contrapposte: per alcuni la fondazione dello Stato di Israele è un ostacolo alla Redenzione per altri ne rappresenta l’inizio, per alcuni il Sionismo è la peggiore delle eresie per altri è l’apripista davanti al Messia, per alcuni la Fine escatologica è svelata per altri è occultata, per alcuni siamo di fronte a «un atto satanico» per altri a «uno Stato divino».
GLI AUTORI
AVIEZER RAVITZKY è nato a Gerusalemme nel 1945, ha ottenuto il dottorato in Filosofia presso la Hebrew University di Gerusalemme nel 1978 e il post-dottorato presso la Harvard University nel 1980. Dal 1989 è professore ordinario di Filosofia alla Hebrew University e dal 1995 è preside della Facoltà di Filosofia ebraica. Ha insegnato come visiting professor in varie università americane. Ha pubblicato diversi libri e oltre cento articoli scientifici. Nel 2001 ha ottenuto il "Premio Israele" per la ricerca filosofica. È uno dei fondatori del movimento Memad e il più importante esponente della sinistra religiosa pacifista in Israele.
Fra il gennaio e il dicembre del 1917 – dunque, nell’ultima, tragica fase della Grande Guerra – un giovane sottufficiale tedesco di origine ebraica, Franz Rosenzweig (1886-1929), dalla postazione balcanica alla quale era stato destinato, intraprende un’appassionata meditazione sugli eventi bellici in corso. Egli si interroga sulle cause – remote e prossime –, sul senso profondo e sui possibili esiti di essi. Ma la riflessione si allarga ben presto audacemente per cerchi concentrici, coinvolgendo innumerevoli altre questioni, di carattere più ampiamente storico, militare, politico-diplomatico, culturale e religioso. Ne scaturisce una sorta di audace affresco della storia universale dell’umanità dall’antichità alla Grande Guerra, ricostruita a partire da una prospettiva estremamente originale. La storia umana viene compresa come un incessante riorganizzarsi e rimodellarsi degli spazi terrestri e marittimi del globo terraqueo, mirante, alla fine, alla costruzione di un'articolata e complessa unità finale.
A cura di Francesco Paolo Ciglia
Traduzione italiana di Stefania Carretti
Il Cahier Vert di Maurice de Guérin, breve e intenso diario irregolare, redatto dal luglio 1832 all’ottobre 1835, si presenta come un’imperiosa costellazione di pensieri. Introspezioni e intuizioni in trama, riflessioni sul linguaggio nella sua essenza, ma ontologica e rivelativa, animano una scrittura in cerca di una propria legittimità autonoma. La peculiarità del "diario", più che nel genere, risiede nella purezza dell’espressione e nell’immediatezza dell'annotazione fissata, perlopiù, "en plain air", anticipando la poetica impressionistica. La prosa poetica di de Guérin è comunque tributaria di un certo classicismo: non si oppone ai tentativi liberatori dei suoi contemporanei, ma integra la problematica nuova attraverso l’esperienza dell’antico. In essa si possono scoprire inattese risonanze leopardiane e intonazioni che moduleranno, un trentennio più tardi, la ricerca di Baudelaire.
Testo originale a fronte
A cura di Adriano Marchetti
Roma. 93-96 d.C. È imperatore Domiziano. Flavio Giuseppe, ebreo che ha combattuto nella Guerra giudaica, è stato fatto prigioniero, è divenuto prima interprete dell’esercito, poi amico dei Flavi; liberato, vive nella capitale sotto la protezione imperiale, dedito alla scrittura della sua vita, della storia del suo popolo, della guerra che ha visto fronteggiarsi Gerusalemme e Roma. Nel Contro Apione l'autore controbatte alle tesi anti-giudaiche che circolano nell'impero: gli Ebrei, discendenti da lebbrosi cacciati dall'Egitto, sacrileghi, ostili verso gli altri popoli, sarebbero dediti a sacrifici rituali. Flavio Giuseppe confuta queste accuse, ne dimostra l'inconsistenza e la falsità, presenta, di contro, la tradizione ebraica, la Torah data a Mosè sul monte Sinai. Scopo di Giuseppe non è il proselitismo, e non è neppure l'assimilazione come fusione con il mondo circostante. Non gli interessa che i Romani facciano proprio il giudaismo, ma che riconoscano una dignità e il diritto all'esistenza a chi lo pratica. Suoi interlocutori dunque i Gentili, ma suoi interlocutori anche i Giudei, da più parti attaccati, che hanno bisogno di un testo che fornisca loro sicurezza e orgoglio nazionale o semplicemente materiale di appoggio, risposte con cui opporsi ai detrattori. Interlocutore, infine, lo stesso Giuseppe; da più parti osteggiato per i suoi legami con coloro che hanno distrutto Gerusalemme, egli ribadisce ostinatamente la sua identità: Giudeo, di stirpe sacerdotale, conoscitore della Torah.
Testo greco a fronte
A cura di Francesca Calabi
Un amico che vede quel che non immaginava. Pietro sulla scena della via Crucis. Dove il suo Amico è preda del dolore e dello scherno, dove è senza scampo. Una via Crucis commissionata da un Vescovo a un poeta. Per il popolo che si immedesima nel cammino di Gesù al Calvario. La scena più famosa del mondo. Vista non con occhi generici. Ma con quelli dell’amico. In questa voce trova voce chi Lo ama, e chi Lo ha tradito, chi sa cosa succede e chi non ci capisce quasi niente. Da quell’Uomo, che ora subisce la sconfitta in cui si rivivono tutti gli sconfitti del mondo, Pietro si è sentito rivolgere la grande domanda: “ma tu mi ami ?”. Un poeta e un pittore danno nuovo rilievo alla scena. Una poesia semplice, ricca e musaica tocca i segreti dove il pensiero non riesce ad arrivare. E ci chiamano a guardare.
Con una meditazione del Card. Carlo Caffarra
e un saggio d'arte di Beatrice Buscaroli
14 opere di Ottavio Mazzonis
GLI AUTORI
DAVIDE RONDONI ha pubblicato alcuni volumi di poesia, tra i quali Il bar del tempo (Guanda 1999) e Non sei morto, amore, per una lettura con blues (I quaderni del battello ebbro 2001). Presso Marietti è uscito Poesia dell’uomo e di Dio. I Salmi nella versione poetica di Davide Rondoni (1998). Ha curato traduzioni e raccolte di vari poeti.
Ha fondato e diretto il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e dirige la rivista “clanDestino”. Si occupa di poesia anche su quotidiani e riviste e in trasmissioni televisive per il canale Sat2000.
Prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto (1947) conoscevamo gli esseni solo grazie alle fonti antiche. Sapevamo che essi conducevano una vita filosofica: ripudiavano i piaceri e disprezzavano la ricchezza, vivevano in ammirevole vita comunitaria, non temevano la morte e credevano nella resurrezione dei corpi. La loro giornata vedeva l’alternarsi di lavoro e preghiera, immersioni nelle acque vive e partecipazione alla seudah, l’anticipazione del banchetto messianico.
Negli esseni, questi antichi hassidim, Benamozegh vedeva i predecessori della Qabbalah e nella loro storia una fonte ricchissima di elementi atti a spiegare l’origine del cristianesimo.
Che gli esseni non potessero essere definitivamente scomparsi dalla storia, Benamozegh lo sapeva: come un fiume che scorre sotterraneo per molte miglia, per poi riprendere a scorrere alla luce del sole, così anche gli esseni sono di nuovo tra noi, nostri contemporanei.
A cura di Marco Morselli
GLI AUTORI
Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900), biblista, talmudista, cabbalista, filosofo della religione, è stato il più importante rabbino italiano dell'Ottocento. Nato da una famiglia originaria di Fez (Marocco), trascorse per intero la sua vita a Livorno, esercitando l’ufficio di rabbino. Gran parte della sua opera, scritta in ebraico, italiano e francese, è ancora inedita e forse, almeno in parte, è andata smarrita. Marietti ha già pubblicato: Israele e l’umanità (1990), Morale ebraica e morale cristiana (1997), L'origine dei dogmi cristiani (2002), e Il Noachismo (2006).
Una monografia sulla storia dei fondamenti della Chiesa cattolica
Per Marcione esistono due dèi: il creatore del mondo, rivelatosi all'uomo sin dall'inizio nelle opere della creazione e nell'Antico Testamento, e il Dio straniero che si è manifestato in suo figlio Gesù Cristo per strappare gli uomini al dominio opprimente del Creatore. Dietro questa visione teologica a prima vista assai bizzarra si nasconde un'interpretazione particolare della Bibbia: oltre dieci secoli prima di Lutero, Marcione rivendica l'indipendenza del Vangelo dalla Legge mosaica con una radicalità estrema, tanto da ritenere che l'Antico e il Nuovo Testamento siano opera di due divinità diverse.
Come ha ricordato recentemente lo stesso papa Benedetto XVI, riferendosi proprio a questo testo di Harnack, Marcione rappresenta ad un tempo la più grande minaccia, ma anche la più grande sfida lanciata alla dottrina cristiana e rappresenta ancor oggi un passaggio obbligato per il dialogo ebraico-cristiano.
A cura di Federico Dal Bo
GLI AUTORI
ADOLF VON HARNACK (1851-1930) è stato uno dei teologi tedeschi più importanti del secolo scorso. La sua fama è legata alla monumentale storia dei dogmi cristiani, ma soprattutto all'audace monografia che dedicò al più celebre eretico del cristianesimo antico: Marcione.
Il romanzo narra il correre parallelo di due esistenze (un uomo e una donna) nell’Ancona dei primi decenni del Novecento, popolata dei mezzi più avanzati di quella tecnologia sempre più dominante (auto, aerei, radio). Lui, nato cieco, e lei, intraprendente aviopittrice, finiscono col ritrovarsi, senza volerlo, insieme sotto il bombardamento della città, fatto storicamente avvenuto il 2 novembre 1943. La partecipazione all’evento provoca il misterioso, contemporaneo accadere di fenomeni opposti: lui, Elia, acquista inspiegabilmente la vista, proprio quando a lei invece verrà sottratta. Attraverso l’avvenimento che scombina la vita dei due personaggi, il romanzo si trasforma in un’ardita riflessione sulla facoltà del “vedere”, sollecitata dall’intromissione di un “terzo uomo”, un monaco ortodosso ispirato alla figura del matematico-filosofo Pavel Florenskij.
L'opera divide i lemmi in tre volumi. Tutti i lemmi hanno subito interventi rispetto alla prima edizione del 1984, sia di aggiornamento del testo, sia nella biografia, ne sono stati aggiunti circa 500.
Cos’è il linguaggio, qual è la sua origine e il suo rapporto con il mito? E ancora, che ruolo ha la lingua nell’opera di Tolkien, perché l’autore del Signore degli Anelli considera l’uomo una "luce riflessa" capace di sub-creare mondi immaginari tramite le parole? Come ci dice la Flieger in questo volume «le parole sono espressione del mito, incarnazioni di concetti mitici e di una visione mitica del mondo. La lingua ai suoi inizi non faceva alcuna distinzione tra il significato letterale di una parola e quello metaforico, come invece accade ora [...]. Qualsiasi tipo di espressione era letterale e dava direttamente voce alla percezione dei fenomeni ed alla partecipazione intuitiva e mitica ad essi da parte dell’umanità». È a partire da questa teoria della parola e del mito (originariamente proposta da un altro Inkling, Owen Barfield) che Verlyn Flieger in Schegge di luce elabora un’affascinante interpretazione dell’opera tolkieniana, che la critica considera, insieme a La via per la Terra di Mezzo di Tom Shippey (Marietti 2005) un testo imprescindibile per chiunque voglia cogliere in tutta la sua ricchezza il senso profondo del legendarium di Tolkien. La prima collana italiana dedicata agli studi critici su "Tolkien e dintorni" non poteva quindi auspicare un esordio migliore. Presentazione di Claudio Antonio Testi