
L'ontologia della libertà, di cui Pareyson ha posto ifondamenti, sollecita ulteriori sviluppi, che ne svolgano più ampiamente sia i presupposti storiografici sia le implicazioni etiche e, prima ancora, ne approfondiscano i principi. In particolare si tratta di pensare la libertà originaria come al di là dell’essere ma non senza l’essere, non senza, dunque, un principio di alterità, che pure non ne distrugga l'unità. Se l’originario è pensato come essere, si resta nell’orizzonte della necessità (magari come destinalità) smarrendo la libertà. Se invece si pensa la libertà senza l’essere, l’originario diventa mobilità inconsistente e arbitraria e la verità si dissolve in infinite forme dell’apparenza. Si tratta allora di pensare l’originario come libertà che esce dalla sua abissalità costituendosi come libertà esistente, che si vincola anzitutto al proprio altro, all’essere; e conseguentemente di pensare le libertà finite come attraversate da un’alterità che rende pensabile la loro unità solo nella forma paradossale dell’amore.
“Più di una volta mi è stato chiesto di esporre gli eventi accaduti durante gli esercizi spirituali, fatti in compagnia del Signore. Mi è stato anche suggerito di scrivere qualcosa sull’evoluzione della preghiera nel corso della vita. Forse è venuto il momento propizio”. Così Maddalena di Spello ci introduce al semplice e misterioso percorso che l’ha condotta, a partire da molto lontano, fino al quotidiano e familiare dialogo con Dio. Un libro che l’autrice offre come un servizio ai fratelli e alle sorelle, un aiuto alla preghiera attraverso il racconto umanissimo delle sue vicende personali, delle battaglie della sua libertà, fino alla scoperta dell’amore di Gesù, del silenzio, della preghiera, della purezza del cuore, del servizio ai poveri.
GLI AUTORI
Nata in Francia più di sessant'anni fa, laica, sposata con tre figli, lascia tutto - casa comodità lavoro - per trasferirsi a Spello, in Umbria, con il marito e la figlia minore. Qui apre una comunità, la Casa della Povera Gente, dove tutti sono accolti nel più schietto spirito evangelico francescano.Maddalena è continuamente richiesta da ogni parte d'Italia per parlare di Dio e di come è avvenuto il suo folgorante incontro con lui. Dopo anni e anni di ricerche e sbandamenti, è un incontro davvero clamoroso e per noi contagioso. Ascoltiamo così la voce di una donna che unisce in sé cultura, umiltà, pienezza di vita, obbedienza alla Chiesa e allo Spirito.Ricordiamo le sue precedenti pubblicazioni: Il canto dell'allodola (Gribaudi 1991), Passava beneficando (Marietti 1999).
Perché presentare nuovamente al pubblico la Didachè, che sin dalla sua scoperta (1873) e prima pubblicazione (1883) è stata oggetto di numerose traduzioni, studi e commenti? La risposta è una sola: l’esigenza di osservare il testo sotto una luce nuova. La Didachè veniva considerata come la più antica opera della Patristica Cristiana, e, giustamente, era vista come una straordinaria testimonianza della vita di una Comunità alla fine del I sec., nel particolarissimo momento della prima elaborazione di un cammino di fede attraverso cui si sarebbe operato il progressivo sviluppo di tutta la Chiesa. Abbiamo cercato qui quanto più possibile di metterne in luce i profondi legami con l’ambiente ebraico di origine, cercando di intravedere, attraverso il greco della koinè, parole ed espressioni che permettessero di risalire al contesto culturale e spirituale dell’ebraismo. Del resto siamo di fronte ad un’opera che certamente si è avvalsa di testi precedenti composti sia in ebraico che in aramaico. Lo stesso titolo dell’opera viene reso con Torah, termine ebraico corrispondente ad “insegnamento”, in greco Didachè. Quando il testo venne pubblicato gli studiosi ebbero l’impressione di essere trasportati sulla scena delle origini cristiane, all’epoca in cui i membri della Comunità ebraica messianica erano assidui nell’ascoltare la didachè degli apostoli (At 2,42) e la Comunità si apriva all’ingresso dei goyim, dei pagani che decidevano di convertirsi. Un ebreo e una cristiana rileggono e commentano quello che alcuni considerano il più antico testo cristiano, che forse precede anche le Lettere di Paolo e i Vangeli.
Un chirurgo così era difficile trovarlo. Non si arrendeva mai. Aveva gli occhi indomiti e curiosi di un bambino. Era uno che sapeva rischiare dove gli altri si fermavano. Se un malato si rivolgeva a lui per aiuto, lo prendeva a cuore e non lo abbandonava, anche quando dal punto di vista chirurgico, non c’era più nulla da fare. Ma, se esisteva anche solo una piccola possibilità di soluzione, la perseguiva, con tenacia. Enzo Piccinini era un grande chirurgo ma soprattutto era un amico vero, un padre, non solo per i suoi quatto figli, ma anche per i molti giovani che ha guidato all’incontro con il fatto cristiano. Dopo l’incidente automobilistico in cui morì nel maggio del 1999, Emilio Bonicelli fa rivivere in questo libro la figura di Enzo, di cui era profondamente amico. Il libro è scritto come una memoria viva attraverso le parole di chi lo ha conosciuto e come un dono per chi non è stato scaldato dal fuoco della sua compagnia. Enzo Piccinini è stato uno dei protagonisti più significativi del cattolicesimo contemporaneo, uno dei responsabili nazionali del Movimento di Comunione e Liberazione, che con la sua testimonianza ha aperto migliaia di cuori alla verità e alla bellezza del fatto cristiano. Di lui ha scritto Monsignor Luigi Giussani, che considerava Enzo come un figlio prediletto: “Enzo fu un uomo che, dall’intuizione avuta in dialogo con me venti anni fa, disse il suo sì a Cristo con una stupefacente dedizione, intelligente e integrale come prospettiva e rese la sua vita tutta tesa a Cristo e alla sua Chiesa. La cosa più impressionante per me è che la sua adesione a Cristo fu così totalizzante che non c’era più giorno che non cercasse in ogni modo la gloria umana di Cristo”.
Introduzione di Giancarlo Cesana
Giro d'Italia con delitto dovrebbe essere "delitti", al plurale, ma si può considerare tutto il crimine assortito come un delitto unico commesso profanando la sacralità della corsa, è un giallo classico di ingredienti e moderno di salse, rigoroso e particolare, con soluzione completa e inattesa non all'ultima pagina e neppure all'ultima riga, ma all'ultima parola. Poi c'è un epilogo brevissimo che rimanda ad un Tour de France con delitto. Protagonista è la corsa rosa, che fa cent'anni in questo 2009. Le comparse sono tantissime, dal pubblico ai corridori ai cosiddetti suiveurs (giornalisti, amici, parenti, meccanici, tecnici, organizzatori, poliziotti...). I delitti sono truci ma non trucidi. Si sentono più applausi ai ciclisti che grida di terrore, ma il racconto toglie il fiato e toglie la voglia di fare tappa per sostare nella lettura.
GLI AUTORI
Gian Paolo Ormezzano (Torino, 1935) tre figli e sei nipoti, diplomato al liceo classico Cavour. A Tuttosport dal 1953 al 1979: giovane di studio, redattore semplicissimo, caposervizio del ciclismo, direttore. Da fine 1979 inviato speciale a La Stampa e poi, dal 1991 della pensione, collaboratore fisso dello stesso giornale, con breve ritorno a Tuttosport nel 1997-98. Primatista mondiale di Giochi olimpici, cominciando dal 1960 a Squaw Valley: 23 edizioni dopo Torino 2006, record di tremenda pesantezza anagrafica e non solo. Servizi o – più fine – reportages da 28 Giri d’Italia, 12 Tour de France, tanti e forse troppi campionati mondiali ed europei di calcio, atletica, basket, nuoto… Per i Giochi invernali di Torino 2006 ha scritto Di neve e di ghiaccio, fiabe olimpiche vere raccolte in un volume edito in italiano e inglese.
L’interrogativo che regge il pensiero scritturale qui presentato è se possa esistere, nella contemporaneità, un appello utopico ad un lingua poetica che sappia accogliere l’alterità, esprimere le sue condizioni di esilio, annunciarne il desiderio di futuro. Intorno a questi nuclei di analisi, La lingua di Cleopatra tesse – è la forza stessa della traduzione interpretata dalla figura shakesperiana – legami strettissimi con il pensiero utopico di Walter Benjamin (e della Scuola di Francoforte), con la filosofia di Jacques Derrida nell’intreccio con il poststrutturalismo di Paul de Man, col pensiero postcoloniale di Gayatri C. Spivak nella sua vicinanza d’ispirazione con l’écriture feminine di Hélène Cixous. La prospettiva è quella che s’interessa così al dibattito teorico sulla traduzione, all’intertestualità, alla (dis)appropriazione autoriale, alla sperimentazione di nuove forme della comunicazione artistica, con la musica, il cinema, il reportage giornalistico.
La Commedia è culla di tradizione letteraria europea ed espressione somma del patrimonio della civiltà occidentale. Essa possiede un'inesauribile capacità di descrivere l'animo umano e di abbracciare la realtà dell'universo, grazie alla quale ha conquistato nei secoli generazioni di lettori. Nessun altro genio artistico della nostra tradizione letteraria ha saputo risvegliare quanto Dante, "poeta del mondo terreno", quella "concreta e perpetua sete" di bellezza e verità che spalanca aòòa conoscenza di noi stessi e del mondo e rende degna e appassionante l'esperienza dell'umano cercare.<br/
Atene e Gerusalemme rappresentano, fin dalla tarda antichità, le cifre emblematiche di due universi spirituali – la cultura greca e il messaggio biblico – profondamente differenti e distanti. La storia, com’è noto, li condusse ad incontrarsi, a scontrarsi e – talora loro malgrado – ad interagire in modalità riccamente articolate. Il presente volume si propone di ricostruire la comprensione che il «nuovo pensiero» di Franz Rosenzweig (1886-1929) elaborò del profilo complessivo dei due universi e di una loro possibile, feconda connessione reciproca. L’indagine si sviluppa su uno scenario tematico e problematico riccamente articolato, sullo sfondo del quale si stagliano diverse questioni di scottante attualità, come, ad esempio, quella dell’identità dell’Europa nello scenario della globalizzazione planetaria, quella del destino della religione e delle religioni nell’odierna cultura post-secolare e post-moderna, e infine quella del confronto e del dialogo fra culture profondamente differenti.
Canzoniere di luce e di dolore, questo libro di Serricchio è il dono di una voce di acclarato calore nel campo della poesia italiana. Voce piena di pudore e forza, che accoglie l'esperienza della luce - quella abbagliante del sud e quella che è per l'anima - e l'esperienza del dolore e le ridona a noi che leggiamo in modo che dove c'è l'una non manca l'altro, e viceversa. Perché il miracolo della voce di un poeta è la presenza contemporanea di luce e pena, di carcere e di sole, nel segreto delle parole e della visione da cui nascono. La parola con due lingue di Serricchio in queste pagine, specialmente in quelle dedicate alla donna amata, trovano una misura che si può definire classica ma mai inerte, anzi tutta viva di emozione e di capacità di scoperta. Voce e andamento antichi e sempre nuovi della poesia. La personalità di questo poeta e il dono della sua voce sono tra le conferme del legame che sempre corre tra stoffa della vita e destino d'arte. In questo libro ricco e bellissimo, Serricchio ci fa sentire la unicità della sua terra, dei volti, dei suoni, delle visioni tra cielo e mare, e di una lunga storia d'amore. E anche l'universale parola della solitudine di un uomo che, commosso, apre le braccia al mistero dell'esistenza.
Esistono domande che contengono in sé tutto ciò che le società occultano. Una di queste è certamente il ruolo della donna nell’Islam. Così quando Benazir Bhutto fu eletta Primo ministro del Pakistan nel 1988, nessuno in Occidente si era resoconto della frattura che questo avvenimento aveva provocato nella storia dei paesi islamici. L’inchiesta storica e sociologica di Fatima Mernissi nasce da questo avvenimento. Essa indaga quindici secoli di storia dell’Islam, dalla storia delle dinastie ai fondamenti del linguaggio politico religioso, per scoprire il ruolo spesso nascosto delle sultane. Anche le domande più scottanti e attuali sullo stato della donna in Islam non sono assenti dall’indagine. Fatima Mernissi fa parte infatti di questa umanità e vive in prima persona i problemi della condizione della donna nel mondo musulmano. Tale condizione viene riassunta mirabilmente dall’autrice attraverso il concetto di «medina democrazia»: «noi, abitanti delle “medine-democrazie”, stiamo girando, presi nel vortice tra cielo e terra, cosmonauti malgrado noi stessi, senza tuta né maschera a ossigeno,abbandonati in questa danza planetaria, la faccia scoperta e i palmi aperti. Con una differenza tutt’altro che trascurabile: che noi donne dobbiamo fare tutte queste giravolte con in più il velo».