
“In nome di cosa, Amelia e Titì – in nome di cosa erano stati disposti a sopportare non tanto la disonestà e le aperte malversazioni, certo, anche quelle, ma soprattutto le sciocchezze, le ridicolaggini, le bestialità, le battute grasse, le sconcezze dello schieramento politico cui dicevano di appartenere, proprio loro che aspiravano a un’idea aerea e gentilmente fluttuante, alla levità della farfalla che vola di fiore in fiore?”
Amelia e Titì votano centro-destra e appartengono alla nuova società della Seconda Repubblica. Edonisti, egocentrici, sono certi che ogni occasione voglia l’abito giusto. Qui si racconta di una loro giornata. Una sola. Una giornata importante.
Attraverso i buoni uffici di Augusto Iannaccione, untuoso personaggio infiltrato nei meandri della politica, Titì potrebbe accedere ai vertici della televisione di stato. Mentre fa anticamera aspettando di incontrare chi conta veramente – e l’attesa si protrae per ore e ore –, Amelia pranza con le sorelle e poi va in cerca di Sandrone, ringhioso uomo di sinistra, sciatto e sovrappeso, che l’ha scompaginata agitando valori che le sono ignoti.
Roberto Moroni mette in scena un mondo serenamente corrotto, che solidarizza nelle feste e nella promiscuità sessuale, costruisce con ostinazione il vuoto e il degrado, vende per vendere e vende tutto. In questo mondo, Amelia e Titì si muovono come spettatori e attori ideali del decennio che ha finito con l’anestetizzare ogni forma di sensibilità morale. Ma è proprio lì che il romanzo cerca incrinature, e le trova.
Capita a tutti di rimandare le cose da fare, e spesso per lungo tempo. Sia che si tratti di piccole incombenze quotidiane, come lavare i piatti o eseguire una manutenzione domestica, oppure di questioni più importanti, come consegnare in tempo un lavoro o pagare le tasse, in cui rimandare comporta persino una perdita di denaro. Eppure, procrastinare le cose da fare e non essere sempre efficienti e organizzati è un atteggiamento mentale molto diffuso, peraltro presente a ogni livello e scandito dal rintocco continuo dei sensi di colpa.
Con intelligenza e ironia Kathrin Passig e Sascha Lobo ribaltano i luoghi comuni sul tema e ci svelano come sottrarci alla pressione delle interminabili liste di cose da fare, e-mail, richieste, progetti e doveri, conservando il piacere e la gioia di fare quello che stiamo facendo.
Per tutti coloro, e sono tanti, che soffrono di “procrastinazione” è finalmente arrivato il loro libro.
“La favola del nonno, la favola della nonna, la favola dei cavalli da corsa, la favola della maestra severa, la favola delle sfilate in uniforme da Balilla, la favola del tuffo nello Stagnone, la favola delle sere a Capo Boeo o Lilibeo, la favola di mio padre e Nuzzo in bicicletta con la lettera d’amore e dell’abbuffata di ricotta, la favola di Nuzza partita sposa per l’America a Detroit. E poi c’era la mia favola preferita, e cioè la favola dei due soldati dell’Afrikakorps.”
Sicilia, o cara è il viaggio di Giuseppe Culicchia bambino, un viaggio preceduto dai racconti del padre e soprattutto dall’immaginazione che quei racconti hanno acceso. Ed ecco allora l’arrivo alla stazione di Torino, il treno che taglia di netto l’Italia, la nebbia che dirada, i paesaggi al di là del finestrino, le prime avvisaglie di odori e colori.
Quando il piccolo Giuseppe arriva in Sicilia, le fiabe prendono vita, i racconti diventano volti, città, parole. Palermo, Trapani e finalmente Marsala, dove i parenti lo accolgono con una frase che diventa formula di rito – “Ma tu Peppe sei! Peppe come tuo nonno Giuseppe Culicchia! Pippinu! Pippinu Piruzzu!”. L’orizzonte si allarga sul mare e Torino sembra appartenere a un’altra vita.
Giuseppe Culicchia mette in gioco la propria memoria e si affida allo sguardo di un bambino – innocente, curioso, pieno di meraviglia – per raccontare un viaggio che non ha ancora terminato.
Nella regione portoghese dell’Alentejo per tutto il Novecento, dalle prime occupazioni delle terre fino alla Rivoluzione dei garofani, l’economia latifondista ha segnato duramente la vita degli umili braccianti, con una lunga catena di soprusi e prevaricazioni, in un contesto di miseria e ignoranza. A questa grande Storia è intestricabilmnete legata la storia minore e marginale, ma emblematica, di una famiglia di contadini: i Mau-Tempo, le cui stesse origini sono connesse a un’antica violenza e sulla quale continuano ad abbattersi prepotenza e sfruttamento. La narrazione ne segue lungo quattro generazioni l’esistenza fatta di sacrifici e fatica, ma anche di passioni, aspirazioni, lotte, sconfitte. È una saga di vinti, l’emozionante epopea di tutta una classe sociale, scandita dal ritmo dell’oralità, dove si mescolano poetica rappresentazione del paesaggio, amara ironia nel descrivere le secolari ingiustizie e commossa partecipazione per le sorti degli eterni sfruttati.
Vi siete mai chiesti che cosa succede ai vostri cibi nel microonde? Perché la carne rossa è rossa (non dipende dal sangue)? Se le pentole a pressione sono veramente a prova di esplosione? Come cavarsela con crostacei e ostriche vive? Perché l’acqua bolle? Leggere questo libro e le ricette che lo accompagnano sarà come mettersi ai fornelli con uno scienziato al vostro fianco, pronto a spiegare divertito tutti i fenomeni chimici e fisici nascosti nei vostri gesti e nei vostri piatti. Einstein probabilmente non ne parlava al suo cuoco, ma se avesse dovuto spiegargli la scienza che sta dietro ai cibi e alla loro preparazione avrebbe fatto così.
A vent’anni dal Vangelo secondo Gesù Cristo, José Saramago torna a occuparsi esplicitamente di religione con una prova narrativa impeccabile per stile e ironia. Se in passato il premio Nobel portoghese ci aveva dato la sua versione del Nuovo Testamento, ora si cimenta con l’Antico. E per farlo, sceglie il personaggio più negativo, la personificazione biblica del male, colui che uccide suo fratello: Caino. Capovolgendo la prospettiva tradizionale, Saramago ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Al contrario, il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza, l’offerta di Caino, provocando così l’assassinio di Abele.
Cacciato e condannato a una vita errabonda, il destino di Caino è quello di un picaro che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell’umanità. Ora da protagonista, ora da semplice spettatore, questo simpatico avventuriero un po’ mascalzone attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall’Eden, le avventure con l’insaziabile Lilith,il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele, la distruzione di Sodoma, l’episodio del vitello d’oro, le prove inflitte al povero Giobbe, e infine la vicenda dell’arca di Noè (alla fine della quale, con un colpo da maestro, l’autore cambia radicalmente il corso della storia umana).
Riscrittura ironica e personalissima della Bibbia, Caino è un’eccezionale invenzione letteraria e una potente allegoria che mette in scena l’assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini. L’opera maggiore di uno scrittore nel pieno della sua maturità, forse mai così libero, lucido e vivace.
In questo libro Massimo Piattelli Palmarini, biofisico e scienziato cognitivo, e Jerry Fodor, filosofo del linguaggio e cognitivista, sostengono che il principio darwiniano di selezione naturale e di progressivo adattamento all’ambiente non è verificabile. Anzi, con grande probabilità, è sbagliato. Lo dimostrano i dati più recenti della ricerca genetica, embriologica e biomolecolare. E lo dimostra l’esame stringente della logica interna della teoria darwiniana. Sulla scia di Stephen J. Gould e Richard Lewontin, i primi evoluzionisti a mettere in seria discussione il principio di selezione naturale, Piattelli e Fodor processano Darwin e i suoi seguaci più ortodossi. Oggi, sostengono, possiamo affermare con certezza che i viventi evolvono. Quali siano però i meccanismi che innescano il cambiamento è questione controversa e non ancora del tutto chiara.
Atei, materialisti, non sospetti di derive creazioniste, i due autori credono che non esistano nella scienza discussioni “inopportune”. Al contrario, proprio nel nome della scienza occorre discutere con chiarezza e onestà i presupposti, i riscontri e le aporie di tutte le teorie scientifiche. Darwin e il darwinismo sono stati a lungo ritenuti fondamentali per comprendere la natura del vivente, ma non sono un feticcio che non possa essere messo sotto osservazione critica.
In breve
"Immaginavo che le mie parole sarebbero giunte alle ragazze italiane, era a loro che volevo arrivare. sentivo sulla mia pelle l’umiliazione di essere accucciata sotto un tavolo. sentivo nella mia carne il sopruso della telecamera che frugava il nostro corpo. soltanto attraverso la comprensione profonda, e di conseguenza l’assunzione totale della vergogna e del dolore per come eravamo rappresentate, sarebbe stato possibile scrivere un testo per stimolare domande, per educare e finalmente cambiare." Lorella Zanardo. In Italia, il corpo delle donne è al centro di un attacco senza precedenti. Ma c’è chi dice no!
Il libro
Nel maggio del 2009 Lorella Zanardo ha messo in rete un documentario (www.ilcorpodelledonne.com), realizzato con Cesare Cantù e Marco Malfi Chindemi, che si proponeva di innalzare il livello di consapevolezza sull’immagine delle donne nella tv italiana. Oggetto e titolo: Il Corpo delle Donne. È stato l’inizio di un cambiamento e di una grande spinta per far riguadagnare centralità alle donne e misurare la loro incidenza sul tessuto sociale e culturale del nostro paese. L’autrice racconta qui la genesi del documentario, le reazioni che ha suscitato, l’interesse inaspettato da parte delle giovani generazioni, la necessità di uscire dagli stereotipi per giungere a una nuova definizione del femminile. Inoltre, mette a fuoco nuovi strumenti di lettura dell’immagine televisiva e dei messaggi che questa veicola. E con il capitolo Nuovi occhi per la tv passa dalla denuncia alla proposta di strumenti che consentono di guardare la tv con consapevolezza. “Spegnere la tv oggi non serve,” dice Lorella Zanardo, “il vero atto innovativo è guardarla. Insieme a chi normalmente la guarda.”
Lo sciamano "occidentale" racconta un altro tassello della sua vita vissuta intensamente. Jodorowsky parte dall'incontro con il maestro giapponese Ejo Takata, che lo inizia alla meditazione, al buddhismo zen e ai misteriosi koan - enigmi, domande all'apparenza assurde che non accettano risposte guidate dalla logica, indizi che conducono alla strada verso l'illuminazione. Un percorso lungo e drammatico, appassionante e irto di ostacoli, che ha una e una sola ricompensa: la vera conoscenza di se stessi. E le maghe? Le maghe sono le donne che hanno aiutato Jodorowsky lungo il suo percorso - donne forti, uniche, vitali, donne che gli hanno insegnato a liberarsi dalle sovrastrutture e dai condizionamenti di un'infanzia e un'adolescenza prive di amore, donne che gli hanno mostrato come spezzare la corazza emozionale e aprire il cuore e ampliare la propria visione della vita, donne come la scrittrice e pittrice surrealista Leonora Carrington, o dona Magdalena, che gli ha svelato l'arte del massaggio iniziatico, o la Tigressa, formidabile attrice messicana, o Reyna D'Assia, figlia dell'intellettuale esoterico e occultista Gurdjieff. Sono esperienze vitalissime, talvolta violente, qualche volta surreali, ma sempre e comunque istruttive. Jodorowsky continua a illuminare.
"Foravìa", ovvero "fuori mano", "deviazione", "lontano', "strano". Tutto ciò che scarta dalla quotidianità e che trasforma le eccezioni in sorprese. Per tre volte il narratore si trova a "deviare". Per andare a un appuntamento sulle colline fuori città, sbaglia strada e passa una singolarissima notte in macchina. Si trova in casa una creatura spaventosa e se ne fa carico, instaurando con lei una curiosa relazione. Sul corso incontra Elisabeth, che sta male, ha bisogno di aiuto - e la città notturna si svela in una peregrinazione fra ospedali e case, un mondo che esiste appena poco più in là, con tutta la sua urgenza e il suo fascino.

