Dice Rabbi Jochanan: Quando il Santo –sia benedetto– siederà in giudizio con i giusti e con gli empi, giudicherà i giusti e li condurrà in paradiso; giudicherà gli empi e li condannerà all’inferno. Allora gli empi diranno: Non ci ha giudicati giustamente. Egli assolve chi vuole e condanna chi vuole. Il Santo –sia benedetto– risponderà: È perché non volevo rendere noti i vostri peccati. Allora ne fa l’elenco ad alta voce ed essi scendono all’inferno.
Dice Rabbi Pinchas: Chi è così determinato nel peccare non può neppure pentirsi e non riceverà mai il perdono. A costoro dice il Santo –sia benedetto–: Siete voi che accendete il fuoco dell’inferno, che siete “mantice per il carbone e legna per il fuoco” (Pr 26,21)! Per questo io continuo a giudicarvi.
Rabbi Huna, in nome di Rabbi Shim‘on, dice: “Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si ribellano contro di me; infatti i loro vermi non muoiono e il loro fuoco non si spegne” (Is 66,24). Qui non si dice che “si sono ribellati”, ma che “si ribellano”, perché continuano ancora a peccare.
Provocato dalle infiltrazioni anglofone dei black friday e cyber monday nelle più importanti ricorrenze della nostra secolare tradizione religiose quest’anno, più che mai, ho sentito il bisogno di mettere mano a una sana “provocazione scritta”, per aiutare (e aiutarmi) a riflettere sul senso della vita, alla luce di un – almeno apparentemente – grave affievolimento della dimensione spirituale nella società contemporanea.
Adriano Colafrancesco, classe 1950, laureato in psicologia, con parabola professionale dalla gestione delle risorse umane alla consulenza aziendale nel marketing e nella comunicazione, oggi felicemente in pensione.
Papa Francesco ha deciso di consacrare la III Domenica del Tempo Ordinario alla riflessione sulla Parola di Dio. Il Concilio Ecumenico Vaticano II aveva già esortato tutti i cristiani a nutrirsi quotidianamente della Parola e a pregare con essa.
La Costituzione dogmatica Dei Verbum, il documento fondamentale nel quale la Chiesa ha espresso la sua visione sulla Parola di Dio, rimane valida anche cinquant’anni dopo la sua promulgazione.
La società è cambiata radicalmente in questi ultimi anni. «A problemi nuovi, soluzioni nuove», ripete la gente. Invece, sant’Ambrogio afferma: «Cristo e la Scrittura divina sono il rimedio a ogni disgusto e il solo rifugio nelle tentazioni».
Quando la parola di Dio raggiunge l’uomo, questi ne viene trasfigurato: Dio ritorna a camminare sulle strade dell’umanità e la terra diventa il giardino di delizie. «Quando si legge la divina Scrittura, Dio torna a passeggiare nel Paradiso terrestre», afferma lo stesso sant’Ambrogio.
Con questo libro si prova a illustrare due simboli cristologici importanti, che ci chiariscono il senso di tanti altri simboli e usanze nella nostra vita cristiana e liturgica. Il primo simbolo è il «vestirsi di Cristo», mentre il secondo è il considerare «Cristo come sposo». Ambedue i simboli hanno radici bibliche e sono stati sviluppati dai padri della Chiesa in maniera interessante, dando sempre al simbolo una dimensione ontologica ed escatologica.
Per la Chiesa, il Cantico è stato un testo importantissimo per i misteri dell’iniziazione cristiana: Battesimo ed Eucaristia. Ciò diviene più chiaro se si considera che il Cantico nella tradizione liturgica giudaica era letto durante il tempo di Pasqua. La Chiesa primitiva battezzava i catecumeni durante la Veglia Pasquale i quali, dopo il Battesimo, ricevevano per la prima volta l’Eucaristia. La Chiesa utilizzava il Cantico durante il tempo di Pasqua, continuando così la prassi giudaica.
Solo tenendo presente questo fatto si può capire perché, per esempio, Didimo il Cieco scrive dicendo che «nella piscina battesimale, Colui che ha creato la nostra anima, la prende per sposa», o perché Cirillo di Gerusalemme dice che «Cristo ha donato ai figli della camera nuziale la gioia del suo Corpo e del suo Sangue».
Non ci dovrebbe sorprendere allora considerare la Chiesa il nuovo paradiso, il nuovo luogo dell’alleanza con Dio, o anche la stanza nuziale dove lo sposo si unisce alla sua sposa.
R. Berekiah disse in nome di R. Levi: Il futuro redentore sarà come il primo redentore (Mosè). Il primo redentore si rivelò, ritornò e fu nascosto ad essi. Per quanto tempo rimase nascosto? Per tre mesi, come è scritto: «…quando incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli» (Es 5,20). Allo stesso modo, il futuro (ultimo) redentore sarà rivelato a loro, e quindi sarà nascosto da loro. E per quanto tempo sarà nascosto? R. Tanhuma, in nome dei nostri maestri, disse: Quarantacinque giorni, come è scritto: «Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l’abominio devastante, passeranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetterà con pazienza e giungerà a milletrecentotrentacinque giorni» (Dn 12,11-12). Cosa sono questi giorni in più? R. Yishaq b. Kesarta disse a nome di R. Yonah: Questi sono i quarantacinque giorni durante i quali Israele raschierà il muschio e lo mangerà, come è scritto: «…raccogliendo erbe amare accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo» (Gb 30,4). Dove li condurrà? Dalla terra di Israele al deserto di Giuda, come è scritto: «Ti farò ancora abitare sotto le tende, come ai giorni dell’incontro nel deserto» (Os 12,10). Chi crede in lui vivrà, ma chi non crede in lui andrà alle nazioni del mondo (pagane) ed esse lo metteranno a morte.
R. Meir diceva: «Chi si occupa dello studio della Legge per se stessa, consegue molte cose; non solo: è degno del mondo intero. È chiamato amico e amato; egli ama Dio, ama le creature, rallegra Dio, piace ai suoi simili. La Legge lo riempie di umiltà e di timor di Dio, lo rende capace di essere giusto, pio, onesto, fedele; lo allontana dal peccato e lo avvicina alle buone azioni. Chi si occupa della Legge ne ha consiglio, sapienza, senno e fermezza, come è scritto: “Mio è il consiglio e il buon senso, mia è l’intelligenza e la forza”. Essa gli dona la regalità, il dominio e la profondità nel giudizio; a lui si rivelano i segreti della Legge. È simile a una fonte che s’ingrossa e a un fiume che non si esaurisce. Egli diviene umile, longanime e perdona le offese. Essa lo ingrandisce e lo eleva su tutte le opere».
Ebrei e Cristiani sono alla ricerca della Sapienza. Pirqê Abot non è un trattato teologico nel senso stretto del termine. Abbiamo detto che si occupa principalmente di massime etiche, anche se è bene ricordare che nessuna distinzione netta tra teologia ed etica era possibile alla mente rabbinica. La Torah, nel suo senso più ampio di «insegnamento divino», è il principale concetto teologico in Abot.
Tre bambini, Caterina, Andrea e Giacomo (Giuseppe è troppo piccolo perché ha appena un anno), chiedono a don Michi di raccontare le storie della Bibbia. Hanno imparato a gustarle in casa, nelle celebrazioni delle Lodi della domenica in cui papà e mamma – per anni lontani dalla Chiesa – trasmettono ai loro figli la fede che stanno riscoprendo nel Cammino Neocatecumenale.
Le storie riguardano figure bibliche molto semplici (Adamo, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe…) e sempre, ogni anno, prima di Pasqua, la storia dell’Esodo.
È questa la storia mirabile che è venuta a cercare gli autori del libro. È venuta a chiederci: dove siete? Qual’è il vostro Egitto Qual’è la vostra schiavitù oggi? Poiché quella storia, compiuta in Gesù Cristo, viene a cercare tutti; preparata da Dio prima ancora che tutto fosse, prima ancora della creazione del mondo. Questo libro nasce quindi da un’esperienza concreta di sofferenza e di liberazione. Immaginate tre bambini bianchi che non conoscono nessuno, né conoscono la lingua, vedono povertà, fame, violenza, ubriachezza, ingiustizia. La sera restano soli nella missione con una vecchietta nera nera, che parla una lingua che non capiscono.
Hanno anche un po’ di paura per i rumori che non sanno interpretare.
Sera dopo sera aspettano che i genitori tornino dalla catechesi raccontando, nei disegni, la storia che hanno sentito da Michi. Nasce così un libro che è per i bambini e i loro genitori; fatto di racconti e di disegni, che diventano insieme icona, berachà, ringraziamento, lode e benedizione per il grande amore di Dio.
Michi COSTA È stato itinerante in Sud Africa e in Olanda, è stato il primo rettore del Seminario Diocesano Missionario “Redemptoris Mater“ della diocesi di Haarlem-Amsterdam in Olanda, poi parroco in Naarden (Olanda). Ora è padre spirituale del seminario. È autore di vari testi di catechesi biblica, tra gli altri:
Angeli i racconti del tuo angelo; Chi schiaccerà la testa del nemico? Giuditta; Le cinque madri; Come ai giorni di Noè; Fammi udire la tua voce; Gerusalemme ricostruita; Il nipote di zio Paolo; Noi non siamo scappati!; L’ora della spada; Perché vuoi scappare?; Quando tuo figlio ti interrogherà; L’uomo di Babilonia; Voglio andare a Gerusalemme.
Il volume contiene la versione italiana del libro di Rut tradotto dalle principali edizioni antiche: il testo ebraico (Testo Masoretico), la traduzione siriaca (Pešiṭtā), la parafrasi aramaica (Targum), la versione greca (LXX) e la versione latina di Girolamo (Vulgata). Lo scopo è quello di rendere semplice ed accessibile, per quanto possibile, il libro biblico notando quanto le traduzioni siano più o meno letterali e affidabili rispetto al supposto originale ebraico. Insieme alle versioni antiche sono state proposte anche le traduzioni della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) 1974 e 2008 per mostrare le diverse scelte fatte all’atto della loro traduzione.
Massimo PAZZINI è nato a Verucchio nel 1955. È licenziato in Teologia dogmatica (STAB di Bologna 1982) e in Teologia biblica (SBF di Gerusalemme 1985). Ha conseguito il BA in Lingua ebraica e Lingue semitiche antiche all’Università Ebraica di Gerusalemme (1990) e la laurea in Lingue e civiltà orientali all’Istituto Universitario Orientale di Napoli (1998). Insegna ebraico, aramaico e siriaco allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, Facoltà di Scienze bibliche e Archeologia, dal 1991. È stato professore invitato di siriaco e di ebraico all’Ècole Biblique di Gerusalemme.
Padre Felice Mazzocchi nasce a Milano il 7 dicembre 1934 e muore a Scandicci (FI) il lunedì 10 settembre 2001. Entra fin da ragazzo, dietro esempio dello zio carmelitano, nel collegio dei Carmelitani Scalzi, dove nell’anno 1965 viene odinato presbitero entrando nell’ordine come padre Enodio, destinato al convento di Capannori (LU). Nell’anno 1967 insieme a padre Giuliano inizia a visitare per conto della congregazione carmelitana le parrocchie della Toscana per formare gruppi giovanili di ascolto della Parola di Dio e di aiuto a conoscere la propria vocazione. È nell’ottobre di quell’anno che la Provvidenza Divina lo porterà alla Parrocchia di S. Maria a Scandicci, dove con alcuni giovani di età compresa dai 18 ai 20 anni formerà un gruppo, che comincerà ad incontrarsi regolarmente ad Arcetri e una volta al mese con altri gruppi della Toscana, in località diverse fino a che non fu data in uso la canonica della Parrocchia di Acone, vicino a Pontassieve (FI), chiusa per la morte del sacerdote.
Fu questa esperienza con i giovani di Scandicci, che nel luglio 1970 lo porta a incontrare per la prima volta Kiko Argüello, e a iniziare nella Parrocchia di S. Maria a Scandicci il suo percorso neocatecumenale. Fin dai primi mesi di vita della sua comunità neocatecumenale padre Felice manifestò un grande zelo per l’evangelizzazione, e si unì alle equipes d’evangelizzazione prima locali, poi internazionali. Insieme a Kiko Argüello fu partecipe degli inizi del Neocatecumenato a Parigi, poi andò a Montréal in Canada, in Madagascar e nelle Seychelles, e infine in Austria.