
Strano destino quello di Margherita Sarfatti, giornalista, scrittrice e primo critico d'arte donna in Europa. Ha fondato il gruppo del Novecento, ha progettato e allestito mostre in patria e all'estero, ha frequentato gli intellettuali all'avanguardia del suo tempo, per oltre vent' anni ha influenzato in modo profondo la cultura e l' arte italiane. Eppure, per una sorta di damnatio memoriae, la maggior parte del pubblico la conosce solo come "l'amante del duce". La sua figura è rimasta a lungo "appiattita" su quella di Mussolini. In realtà rivestì un ruolo da protagonista, soprattutto in campo artistico, ma anche in politica e nel forgiare l'ideologia del fascismo. Colta, elegante, raffinata, Margherita nasce a Venezia nel 1880 da una ricca famiglia ebrea, i Grassini. Fin da giovane frequenta Antonio Fogazzaro e Guglielmo Marconi, conosce la regina Elena e il patriarca Sarto, futuro papa Pio X. Intelligente, inquieta e curiosa, è decisa a occupare un posto in prima fila nella vita, in un tempo in cui le donne potevano dedicarsi tutt'al più alla filantropia. Il suo salotto di Milano, un vero laboratorio del pensiero artistico del tempo, è frequentato da futuristi come Marinetti e Carrà, Russolo e Boccioni - con cui intreccia una storia d' amore -, i pittori di Novecento (Sironi, Funi, Bucci), letterati e poeti come d' Annunzio e Ada Negri, e da un giovanotto trasandato ma ambizioso di nome Benito Mussolini...
A lungo l'umanità si è considerata perfetta, attribuendo le proprie eventuali défaillances all'alienazione portata dalla tecnica o all'azione di entità arcane e malvage come il Capitale e l'Europa. Ma sarebbe bastato un esame di coscienza per capire che il problema era un altro: l'imbecillità, dentro e fuori di noi. L'imbecillità è una cosa seria, a cui sinora non si è dato che uno sguardo distratto, come fosse una cosa per pochi e, soprattutto, per altri. Non è così, e, appena ce ne accorgiamo, i conti tornano, nell'economia, nella società e nella storia. Parte da qui l'irresistibile riflessione del filosofo su questa imbarazzante caratteristica dell'umano. Ce n'è per chiunque: per i titani del pensiero, per i giganti indiscussi della letteratura, per i protagonisti della storia universale. L'umano, insomma, è essenzialmente (e non accidentalmente) un imbecille. Ed è di qui, solo di qui, dal sentirci tutti lambiti dalla grande ala dell'imbecillità, che ha origine il progresso, la lunga avanzata dell'umanità verso il bene - ossia, la sua fuga senza fine dall'imbecillità.
Il passaggio dal vecchio al nuovo secolo ha visto le promesse di liberazione del postmoderno trasformarsi nel populismo mediatico. E ciò che lega le teorie dei postmoderni alle pratiche dei populisti è il principio secondo cui non c’è un reale “là fuori”, ma solo un gioco di interpretazioni e manipolazioni che fanno sparire di scena il mondo vero. La posta in gioco non è solo la verità, ma anche la giustizia. Negli ultimi anni della sua riflessione Jacques Derrida (1930-2004) era solito ripetere che la giustizia è l’indecostruibile, intendendo con questo che tutto lo smontare, lo smascherare, il decostruire, appunto, era animato da un intento di giustizia. E al tempo stesso intendeva che tutta l’attività di smontaggio non poteva spingersi sino a toccare la giustizia, come nel cinismo che dice che dietro alla richiesta di giustizia ci sono altri argomenti, meno puliti e confessabili. La tesi di fondo di questo libro, che propone una ripresa autonoma e originale dell’eredità derridiana, consiste nel fornire una versione realista della decostruzione. Proprio perché c’è un mondo solido e impermeabile alle nostre manipolazioni e interpretazioni, ci possono essere verità e giustizia, e l’avvenire della decostruzione sta nella ricostruzione. Perché non si capisce cos’altro se non la realtà si possa offrire come alternativa filosofica e politica in un mondo ammalato di favole.
Un fatto è certo. Il panopticon esiste, ed è il web: un panopticon singolare, cieco, e con al posto di controllo non un essere umano ma una memoria infinita, e con un sapere che è essenzialmente burocratico. Tutto questo urta frontalmente con quanto ci era stato detto all'apparire del web, e cioè che i nuovi media avrebbero portato emancipazione, e tendenzialmente una riduzione del lavoro. Per quello che abbiamo visto sin qui, il web non è emancipazione ma mobilitazione. Non si limita a fornire ai suoi utenti nuove possibilità informative ed espressive; diviene lo strumento di trasmissione di responsabilità e ordini finalizzati al compimento di azioni. Trasformando ogni contatto in una richiesta che esige una risposta individuale, il web è un grande apparato su cui non tramonta mai il sole, in cui si lavora senza neppure sapere di stare lavorando. La risposta fondamentale che vuole il web è quella suggerita dallo smartphone quando si digita la s: "Sto arrivando!".
Come nei romanzi di Thomas Mann, spesso le cose gravi si annunciano attraverso la farsa. E in effetti farsesca è stata in moltissimi aspetti la riforma dell'università voluta dalla sinistra e attuata dalla destra con perfetto spirito bipartisan. Una riforma che ha abbassato drasticamente la qualità e in cui un vago populismo - dare l'università a tutti - si mescolava alla convenienza di aprire insegnamenti inutili e assurdi per accrescere il proprio potere. Il colpo è stato portato come se si ignorasse che cosa è la cultura, per inseguire una professionalizzazione che non poteva esserci e infatti non c'è stata. Questo Ferraris lo vedeva in tempi non sospetti, già nell'edizione del 2001 di questo volume, riproposto ora in una nuova edizione, integrata da una seconda parte, "Fuoco amico". Ciò che otto anni fa poteva sembrare una satira si è rivelato una realtà con cui bisogna fare i conti, se si amano la cultura e l'università e soprattutto se non si vuole che si avveri la sentenza di Platone, secondo cui la democrazia è l'antefatto della tirannide.
In filosofia il dialogo dovrebbe costituire una modalità privilegiata di indagine razionale, costringe i due interlocutori a fare i conti con obiezioni e critiche cui si è altrimenti tentati di sfuggire. Dia-logos, argomento contro argomento: nessuna diplomazia, il confronto razionale è semmai controversia, scontro, polemica (polemos, cioè guerra!). Questo fra Paolo Flores d'Arcais e Maurizio Ferraris è durato dieci anni, e affronta tutti i temi cruciali della filosofia, dal ruolo della scienza alla possibilità di fondare un'etica, dal rischio del nichilismo al rapporto tra ideologie e scienze umane, dalla "esplosione" della biologia darwiniana alla rivoluzione del web. Un confronto serrato, fatto di dieci lettere/saggi, che costringe il lettore a sottoporre a critica convinzioni consolidate, e diventare partecipe della controversia.
Quanto più la tecnologia e l'umanesimo sapranno interagire, tanto più l'umanità solcherà positivamente la strada del progresso. È questa l'idea che ispira questo libro, frutto della collaborazione tra un filosofo e un tecnologo. Entrambi, infatti, promuovono un giudizio positivo sulla tecnologia perché, se è vero, seguendo l’etimo greco di pharmakon, che è insieme un veleno e un rimedio, è innegabile che la capacità tecnologica appartiene all’umanità sin dalle sue origini. E risiede in essa la capacità di conservare e moltiplicare il valore dei suoi beni materiali e culturali a beneficio delle generazioni future.
Il volume è composto da tre parti strutturalmente ben differenziate che riguardano, rispettivamente, il biografico-intellettuale, le principali opere e il pensiero di fabbro. La seconda parte, quella più lunga, prospetta una presentazione lineare delle opere che può servire da segnavia tematico per uno studio delle medesime; la terza, invece, più sintetica, presenta in maniera più articolata i punti più rilevanti e caratteristici del pensiero fabriano, sulla base della panoramica fornita dalla parte precedente.
Chiude il libro l'articolo "Libertà e persona in S. Tommaso", nel quale Fabro si confronta con Fichte e soprattutto con Heidegger per il recupero dell'Io come primo principio esistenziale.
Perché fare filosofia con i bambini? Per sentire risposte che non sappiamo più trovare? Per ridare forza alla professione di insegnante, sommersa e provata da riforme che ne minano il senso e ne cancellano la passione? Per tutte queste cose insieme, risponde Giuseppe Ferrara, filosofo che da anni si impegna a parlare di filosofia con i bambini. In questo libro racconta la sua straordinaria esperienza nelle scuole elementari di Napoli, in cui ha cercato di restituire alla filosofia una funzione, un compito e una posizione sociale da troppo tempo anestetizzata nelle mura accademiche o ridotta a un sapere specialistico di chi parla e discute senza farsi capire e senza capirsi. Con i bambini, la filosofia può tornare a vivere quella meraviglia da cui è nata più di duemila anni fa.
Educatori si nasce o si diventa? Non è una domanda facile a cui rispondere, di certo - scrive Ferraroli - un educatore può avere per natura delle doti favorevoli alla relazione e all'ascolto, ma per poter esercitare questa professione con dignità e competenza è necessario compiere un percorso di maturazione personale in cui la conoscenza dell'altro nelle dinamiche relazionali e nei meccanismi legati alla crescita e alla relazione vanno prima studiati e poi rielaborati in modo da non trovarsi nella posizione dell'educatore-salvatore che finisce per perdersi insieme al ragazzo che vorrebbe aiutare. Questo volume, rivolto a chi - a vario titolo - svolge un ruolo educativo, affronta le tematiche più importanti legate a questo compito: professione o missione?; Chi sono i ragazzi "oggi"?; Le fatiche dell'educatore; Come gestire l'affettività nel rapporto educativo? Una lettura da cui, soprattutto i più giovani che intraprendono l'azione educativa con entusiasmo e con passione, potranno trarre un aiuto prezioso.
Un libro che parla di fondamentali educativi con la potenza di una sinfonia: Lorenzo Ferraroli mette tutta la sua esperienza in queste pagine, che tratteggiano chi sono i ragazzi di oggi e chi possiamo (chi dovremmo) essere noi genitori per loro: adulti che testimoniano la pienezza e la gioia della vita; padri e madri che si mettono in ascolto, che praticano la pazienza e non l'ansia, che allenano alla grinta, che seminano la speranza, che orientano nelle scelte difficili e coltivano nelle nuove generazioni la voglia di infinito. «Un libro che dovremmo (tutti) leggere e meditare: genitori e insegnanti, psicologi e psicoterapeuti, sacerdoti e anche giovani che vogliano conoscere un educatore capace di immedesimarsi nei loro problemi e nelle loro inquietudini dell'anima, nella loro fragilità e nelle loro attese, nelle loro illusioni e nelle loro speranze, nei loro sogni, e capace di comprenderne i significati con l'intelligenza del cuore, e non con la sola lama della ragione.» (Dalla Prefazione di Eugenio Borgna)
Ragazzi e ragazze, tra i 10 e i 14 anni, descritti e “spiegati” nel loro percorso verso l’identità personale: le loro relazioni familiari, la loro religiosità, il loro comportamento negli spazi extrafamiliari tra amici ed educatori. Gli Autori, tutti salesiani, sono esperti di pedagogia e di psicologia e da anni si occupano con successo di educazione dei preadolescenti. Ferrero è stato direttore editoriale dell’Editrice Elledici.