
Sono esistite civiltà che non hanno avuto la ruota, ma nessuna può sopravvivere senza storie. Le storie infatti sono l'unico mezzo che abbiamo per stemperare la ferocia dell'uomo, per tollerare l'orrore. La narrazione ascoltare il cantastorie, leggere un romanzo, vedere un film, raccontare una fiaba - modifica i nostri neurotrasmettitori, e diventa il più potente mezzo di condivisione e quindi di comunicazione che possa esistere. Nascosta nella narrazione fantastica c'è la reale magia dell'uomo e ci sono secoli e secoli di dolore, perché, quando qualcosa è troppo atroce per poterlo affrontare, lo nascondiamo lì, dove, protetto dall'ambientazione irreale e dal lieto fine, diventa finalmente sostenibile. È nelle fiabe, è nei racconti con gli elfi, i nani, le streghe, i maghi e gli orchi che è contenuta la spiegazione della follia europea, del nostro omicidio-suicidio: dopo aver sterminato il popolo ebraico, l'Europa si innamora del proprio nemico storico, si inventa una possibilità di convivenza e spalanca le porte all'invasione islamica. Ma per fortuna nel fantasy c'è la risposta a tutto questo. Gli orchi saranno salvati, perché anche loro sono fratelli. La libertà e la giustizia prevarranno, perché ci sono Gandalf e Harry Potter a battersi, e vinceranno.
Quale futuro per le democrazie contemporanee? Ci troviamo certamente in un momento di svolta, non privo di incognite, alle prese con le derive dei populismi, le involuzioni prodotte dai sovranismi e i rischi crescenti di manipolazione dell'informazione. Il volume, attraverso la voce di esperti autorevoli e specificatamente qualificati, intende offrire un contributo alla riflessione sulle sfide epocali che investono il nostro vivere comune e sulle trasformazioni della cultura e delle prassi democratiche, nella prospettiva di una politica "educata" e di una formazione alla cittadinanza responsabile.
Cosa è stato il lavoro? e cosa sarà? Dopo avere ricostruito le diverse interpretazioni teoriche di questo fenomeno - dalla Genesi alla visione cattolica, buddista, islamica, protestante, liberista e socialista - Domenico De Masi ne passa in rassegna le trasformazioni concrete: dalle forme schiavistiche alle grandi fabbriche della rivoluzione industriale, fino al XXI secolo segnato dall'ingegneria genetica con cui vinceremo molte malattie, dall'intelligenza artificiale con cui sostituiremo molto lavoro intellettuale, dalle nanotecnologie con cui gli oggetti si relazioneranno tra loro e con noi, alle stampanti 3D con cui costruiremo in casa molti oggetti. Se finora i trattati e le storie del lavoro hanno riservato gran parte del loro interesse all'operaio e alla fabbrica, De Masi dedica pari attenzione alla fatica fisica, al lavoro intellettuale e alle attività creative, rompendo la separazione netta tra lavoro e non lavoro per analizzare anche le situazioni sempre più frequenti in cui gli uomini e le donne ibridano il loro lavoro con altre forme di vita. Come è noto De Masi ha contribuito a elaborare e diffondere il paradigma postindustriale, fondato sull'idea che, a partire dalla seconda metà del Novecento, l'azione congiunta del progresso tecnologico, dello sviluppo organizzativo, della globalizzazione, dei mass-media e della scolarizzazione diffusa abbia prodotto un tipo nuovo di società centrata sulla produzione di informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Approdando al concetto di "ozio creativo", sintesi di lavoro, gioco e studio, De Masi apre una via inedita per comprendere come cambierà il lavoro nel nostro futuro.
Nel 1817, durante un soggiorno a Roma, Stendhal annotò: «Mai uno sforzo, mai un po' d'energia: niente che vada di fretta». Due secoli dopo è la volta di Andy Warhol: «Roma è un esempio di quello che succede quando i monumenti di una città durano troppo a lungo». Ma cosa potremo dirne nel prossimo futuro? Grazie a una ricerca condotta con il metodo Delphi da Domenico De Masi, disponiamo ora di uno scenario della Roma 2030 e delle sue tre anime: quella di metropoli, quella di capitale della Repubblica e quella di città-mondo. Allo studio hanno contribuito dodici grandi conoscitori del sistema urbano, esperti di altrettante discipline. Il destino di Roma, intrecciato con quello dell'Italia e del mondo, dipende dalla soluzione dei problemi amministrativi e, prima ancora, da una visione alta, coerente con ilgenius loci di questa città unica. Il premio Nobel Theodor Mommsen amava dire: «A Roma non si sta senza avere propositi cosmopoliti». E cosmopoliti vuol dire molto piú che globali.
Se si parla sempre più spesso di crisi dell'Occidente, se ormai l'intero pianeta avverte un disagio che i profeti di sventura prevedono irreversibile, forse non è la realtà a essere in crisi, forse è in crisi il nostro modo di interpretarla, sono in crisi i nostri modelli esplicativi. Siccome le categorie mentali che abbiamo ereditato dall'epoca industriale non sono più capaci di spiegarci il presente, siamo indotti a diffidare del futuro, oscillando tra disorientamento e paura. Attendiamo il vento favorevole ma non sappiamo dove andare. Sentiamo crescere intorno a noi e dentro di noi l'esigenza di un mondo nuovo consapevole e solidale, l'urgenza di un nuovo modello di vita capace di orientare un progresso che, privo di regole e di scopi, risulta sempre più insensato. Ma a chi tocca l'onere di elaborare questo nuovo modello? Ne esiste già un embrione da qualche parte? In queste pagine l'autore parte dalle domande più urgenti del nostro tempo per avviare un'analisi a tutto campo dei modelli di vita elaborati dall'uomo nel corso dei secoli, dei sistemi sociali, culturali, religiosi creati per rispondere alle sfide dell'esistenza. Possono ancora esserci utili per affrontare il tempo che ci attende? Solo a partire da una seria rivisitazione critica, che ci orienti sul percorso che l'intelligenza collettiva ha compiuto per giungere fino a oggi, si potranno trarre indicazioni per il percorso da intraprendere.
Come si producono le idee quando sono opera non di un singolo individuo ma di un gruppo creativo? Per rispondere a questa domanda, il sociologo Domenico De Masi ha coordinato un'indagine sui movimenti artistici e letterari e sulle équipes di scienziati che tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento hanno fissato i parametri dei nostri riferimenti culturali: dalla Casa Thonet al Bauhaus, dall'Istituto Pasteur di Parigi al gruppo di fisici di via Panisperna a Roma al Progetto Manhattan di Los Alamos. Osservare questi straordinari episodi di ideazione collettiva significa porre le basi per capire il funzionamento della nostra società e per rendere sempre più efficace la nostra organizzazione del lavoro.
Bellezza, genio, lavoro, disordine, valore. Ma anche luoghi dell'anima come Napoli e Roma. Sono solo alcune delle parole che Domenico De Masi, il padre dell'ozio creativo, usa per sfidarci, per dimostrare che quelli che per noi sono concetti scontati in realtà non lo sono affatto. Dietro c'è un mondo: talvolta una storia antica, quando questi vocaboli avevano significati e valenze diversi, come diverse erano le loro implicazioni sulla vita degli uomini e sul loro universo mentale; altre volte, invece, si tratta di neologismi che spiegano più di mille discorsi la nostra condizione di postmoderni. Questa collezione di sintesi su concetti che ci stanno molto a cuore quali la felicità, l'arte, il rapporto problematico con il tempo e con il lavoro, il progresso scientifico e la conoscenza, parlano con profondità e immediatezza degli snodi più importanti della nostra cultura. E lo fanno con ricchezza e felicità narrativa, spingendoci a riflettere e a prendere le distanze da quello che supponiamo di sapere, a uscire dal binari di convinzioni e stili di vita che ci rendono infelici. Soprattutto, suggerendoci una nuova idea di libertà. Questo libro è molto più della somma delle sue parti: è la fotografia ispirata e dolceamara del nostro presente alla luce del cammino fatto finora. Che lancia la sfida di riempire di nuovi contenuti queste stesse parole, in uno sforzo di creatività collettiva.
2999: alla vigilia del capodanno che segna il passaggio al quarto millennio, il pianeta Terra pare essere il più gettonato come meta dei viaggi intergalattici. Recenti scavi archeologici hanno infatti riportato alla luce reperti che raccontano la vita dei terrestri all'inizio del millennio. Una civiltà oziosa, dedita all'introspezione, all'amicizia, all'amore, al gioco, alla bellezza e alla convivialità scopre così che i suoi antenati erano strani esseri interessati soltanto alla lotta per il potere, al denaro e al possesso di beni materiali. Quegli antenati siamo noi. Domenico De Masi adotta questa prospettiva fantascientifica per provocare il nostro sguardo. Allontanandosi nello spazio e nel tempo è più facile riflettere sulla direzione che vogliamo imprimere al nostro futuro. Con la forza delle sue analisi e la felice sintesi delle sue formule, l'autore ci racconta come siamo cambiati in questi ultimi anni pur essendo rimasti fedeli a stili di vita ormai superati, per dimostrare che esiste una prospettiva che ci può guidare fuori dallo smarrimento attuale. In poche parole, "Una semplice rivoluzione". Nuove rotte sono possibili, a condizione però di dotarsi dei giusti strumenti per navigare. La società postindustriale in cui siamo immersi è appena agli albori, è in fase ancora di assestamento, ma la sua apparente complessità non ci deve condannare alla rassegnata accettazione delle sue distorsioni.
Ormai non esiste famiglia dove non ci sia un tiglio, un parente o un amico che non sia disoccupato. Se ne parla come di un appestato, abbassando la voce per non farsi sentire dagli estranei, e comunque sospettando che, sotto sotto, si tratti di un fannullone o di uno scapestrato. Con la disoccupazione giovanile stabile oltre il 40 per cento, l'Italia è oggi un Paese con milioni dì questi fannulloni e scapestrati. Tutte le soluzioni sperimentate finora, compresi i voucher e il jobs act, celano l'intento di ampliare a dismisura un esercito di riserva professionalizzato e docile, disponibile a entrare e uscire dal mondo del lavoro secondo le fluttuazioni capricciose del mercato. Invece bisognerebbe avere il coraggio di affrontare il problema in tutta la sua gravità: la disoccupazione non solo non diminuirà, ma è destinata a crescere. Basta guardarsi intorno: ieri le macchine sostituivano l'uomo alla catena di montaggio, domani software sempre più sofisticati lavoreranno al posto di medici, dirigenti e notai. Insomma, il progresso tecnologico ci procurerà sempre più beni e servizi senza impiegare lavoro umano. E la soluzione non è ostacolarne la marcia trionfale, ma trovare criteri radicalmente nuovi per ridistribuire in modo equo la ricchezza. Per questo i disoccupati e tutti coloro che temono di poterlo diventare, se vogliono salvarsi, devono adottare una precisa strategia di riscatto. Perché pretendere un comportamento e un'etica ritagliati sul lavoro quando il lavoro viene negato? Perché non trasformare i disoccupati in un'avanguardia di quel mondo libero dal lavoro e sperimentare le occasioni preziose offerte da quella libertà? Ciò che oggi si prospetta non è conquistare, lottando con le unghie e con i denti, un posto di ultima fila nel mercato del lavoro industriale, ma sedere nella cabina di regia della società postindustriale. La soluzione è un nuovo modello di sviluppo e di convivenza, che possa condurci verso approdi sempre meno infelici.
Per gli antichi romani il termine otium non significava "dolce far niente", bensì un periodo libero dagli impegni politici e civili nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa. Secondo Domenico De Masi, nella società postindustriale è proprio questo ozio "creativo" ad assumere il ruolo del protagonista, sia nel lavoro che nel tempo libero. Oggi che la maggior parte della fatica manuale e di routine è eseguita dalle macchine, ci è richiesto sempre più di essere creativi e fantasiosi. Superate le rigide distinzioni tra lavoro e vita personale, razionalità ed emozione, marciamo verso un futuro in cui, grazie alla tecnologia, potremo riappropriarci del nostro spazio domestico restando in contatto con il resto del mondo.
Dall'unità d'Italia a oggi, l'inefficienza della nostra pubblica amministrazione è passata indenne attraverso un'infinità di scrupolose rilevazioni, coraggiose denunzie, volenterose riforme. Al fallimento di tali riforme può aver contribuito il fatto che i giuristi hanno proceduto da soli al disegno della macchina burocratica, laddove sarebbe stato necessario un approccio multidisciplinare. Eppure, lo sviluppo della società postindustriale impone servizi pubblici sempre più sofisticati, e per assicurare tali servizi si deve saper progettare con dovuto anticipo una pubblica amministrazione capace di erogarli. E per progettare occorre prevedere. Nasce da queste constatazioni la ricerca condotta da Domenico De Masi, focalizzata sul lavoro dei dipendenti pubblici: oltre tre milioni di persone tra operai, impiegati, funzionari e dirigenti cui spesso si imputa l'inadeguatezza della macchina statale, un apparato indispensabile che rappresenta anche il principale datore di lavoro del nostro Paese. "Lo Stato necessario" unisce una lettura storica del fenomeno burocratico e l'analisi sociologica di tale fenomeno inteso come «iperogetto» alla previsione dello scenario evolutivo più probabile, proiettato nel prossimo decennio. Coadiuvato da undici tra i massimi esperti in materia, De Masi indaga le variabili centrali che determinano l'evoluzione organizzativa della pubblica amministrazione: il rapporto tra domanda e offerta, la reazione ai trend demografici, l'impatto del progresso tecnologico, la gestione delle risorse umane, la conflittualità, il ruolo dei corpi intermedi come i sindacati, il bilanciamento tra lavoro e vita privata. Una ricerca preziosa che va a colmare una lacuna profonda nel panorama sociologico non solo italiano, offrendo ai tecnici, agli studiosi, ai cittadini comuni e soprattutto ai dipendenti pubblici un ritratto dell'amministrazione statale severo ma non privo di speranza.