Gregory Vlastos ha avuto il merito di inquadrare in una prospettiva autenticamente ermeneutica gli studi su Socrate, affrancando il suo pensiero, così determinante per la storia della filosofia occidentale, dalle fuorvianti deformazioni di carattere teorico e dalle esagerazioni scettiche di una filologia ipercritica. Socrate non ha mai smesso di vivere e di parlare nei Dialoghi giovanili di Platone, in cui è possibile rintracciare la sua peculiare dottrina, scandita e supportata da un metodo altrettanto specifico, l’elenchos. Gli Studi socratici di Vlastos restituiscono i punti nevralgici del pensiero e della personalità di Socrate, a partire dal suo metodo di ricerca elenctico, analizzato nei presupposti logici e dialettici, fino al suo controverso disconoscimento della conoscenza, di cui viene offerta un’interpretazione che non esiteremo a dire conclusiva. Evocando infine la possibile fede politica che avrebbe animato il figlio di Sofronisco nel tempestoso V secolo ateniese, queste raffinate analisi trovano un’eco suggestiva quanto attuale nell’epilogo Socrate e il Vietnam, che ricorda i limiti così umani dell’imponente figura del filosofo greco, come anche la silenziosa grandezza dello studioso Vlastos, che al pensiero di Socrate dedicò gran parte della sua attività di ricerca.
La carriera accademica di Gregory Vlastos (1907-1991), iniziata in Canada, si è svolta in alcune tra le più prestigiose università degli Stati Uniti da Cornell a Princeton. Tra le sue opere ricordiamo: “Plato’s Protagoras (New York, 1956)”; “The Philosophy of Socrates. A Collection of Critical Essays” (Garden City, 1971); “Platonic Studies” (Princeton, 19812); “Socrates: Ironist and Moral Philosopher” (Cambridge-Ithaca, 1991).
La Chiesa cattolica guida un sesto dell’umanità, grazie a un ordinamento collaudato da duemila anni di storia che trova il suo segno più caratteristico nelle ‘chiavi del regno’ affidate da Cristo a Pietro. È l’unico esempio di governo globale operante nella nostra età, che pure è chiamata a vincere le sfide della globalizzazione. Ha relazioni diplomatiche con 187 Paesi ed è presente nelle maggiori organizzazioni internazionali. Ha rinnovato le sue leggi, al fine di adeguarle agli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il Codice della Chiesa latina del 1983 ha 60 edizioni bilingui ed è tradotto in 17 lingue tra cui il cinese, il vietnamita, il giapponese, l’indonese, il coreano. È una realtà dunque imponente e capillare; eppure se ne parla poco tra i non addetti ai lavori.
Anche a loro è rivolto questo volume, pur prevalentemente indirizzato agli studenti e ai canonisti. Esso si articola in due sezioni: la prima approfondisce quattro specifiche tematiche (la Chiesa e il diritto; la struttura costituzionale della Chiesa; i principi generali del matrimonio canonico; la Chiesa e il mondo), che non sono le uniche ma tra le più indicative del governo della Chiesa, fornendone i principi di base giuridici e storici.
La sezione seconda contiene cinque Lezioni magistrali, pronunciate nel corso dell’anno accademico 2001-2002 da altrettanti Cardinali o Arcivescovi, responsabili di vertice di significativi Dicasteri o Consigli della Curia romana. Esse consentono di apprezzare la tradizione di scienza e di prudenza con la quale i più diretti collaboratori del Romano Pontefice guidano settori istituzionali di primaria importanza: dal governo dei Vescovi, alle terre di missione, all’amministrazione della giustizia, alle relazioni internazionali, alla preparazione e controllo delle leggi.
Ombretta Fumagalli Carulli, coniugata con due figli, si è laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 1966. Dal 1975 è titolare di cattedra universitaria (gruppo di discipline: Diritto canonico e Diritto ecclesiastico) alla Facoltà di Giurisprudenza, prima a Ferrara e poi alla Cattolica, dove insegna tuttora. Dal 1981 eletta nelle istituzioni dello Stato italiano: Consiglio Superiore della Magistratura (1981-1986); Camera dei deputati (1987-1996); Senato della Repubblica (1996-2001). Dal 1993 al 2001 è stata componente del Governo italiano: Sottosegretario alle Poste e comunicazioni, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per la Protezione civile, Sottosegretario all’Interno, Sottosegretario alla Sanità. Dal 1999 è presidente dell’Intergruppo internazionale «Parlamentari per il Giubileo». Visiting professor in diverse Università straniere e membro di società scientifiche e di comitati di riviste, è autrice di saggi, volumi, voci in Enciclopedie nelle seguenti discipline: diritto canonico, diritto ecclesiastico, storia della Chiesa, ordinamento giudiziario, procedura penale, diritto costituzionale, diritto di famiglia, diritto processuale civile, dottrina sociale della Chiesa.
Sul finire dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento si sviluppò in Germania un intenso dibattito intorno ai rapporti tra pensiero ed esperienza che, a partire dalla teoria dei due mondi di Lotze, coinvolse la corrente psicologista, il neokantismo, Dilthey, Lask e la fenomenologia. Attraverso le analisi husserliane, Heidegger poté abbozzare un programma di superamento delle contraddizioni contenute in tale discussione, in particolare riflettendo sulle condizioni di possibilità dell’intenzionalità, che riconducevano a un contesto finito costituito dall’apertura di un mondo. Si sviluppa così una prospettiva teoretica che riconduce il giudizio e il significato al mondo, inteso come totalità governata da regole di coerenza. In questo modo, i pensieri cessano di essere fatti coscienziali, poiché vengono resi possibili da un certo contesto di esperienza, la quale, tuttavia, non si contrappone al linguaggio in generale, ma solo all’uso che del linguaggio viene fatto nel giudizio. Di conseguenza, l’esperienza da cui procede il pensiero è costituita dagli enunciati d’azione, che si radicano nella vita del mondo. Heidegger delinea dunque una prospettiva che da un lato considera i significati qualcosa di ‘oggettivo’, poiché essi non sono relativi ai soggetti, e dall’altro evita di ritenerli ‘intemporali’, dato che i mondi all’interno dei quali essi possono apparire si danno temporalmente. Dal punto di vista della questione della verità, si avanza così l’ipotesi che l’impostazione heideggeriana, pur mantenendosi distante e critica verso una concezione soggettivista della verità, indichi tuttavia una posizione fondamentalmente antirealista.
Vincenzo Costa (San Cono, CT, 1964) insegna Storia della filosofia contemporanea presso la sede piacentina dell’Università Cattolica. Si è occupato della filosofia tedesca a cavallo tra Ottocento e Novecento, della filosofia francese contemporanea e della fenomenologia, alla cui analisi ha contribuito con numerosi saggi. Ha tradotto le “Lezioni sulla sintesi passiva di Husserl” (Milano 1992) e curato “Il problema della genesi nella filosofia di Husserl di J. Derida” (Milano 1992), il “Libro dello spazio” (Milano 1996) e le “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologia” (Torino 2002) di Husserl. Ha pubblicato “La generazione della forma” (Milano 1996), “L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl” (Vita e Pensiero, Milano 1999) e (con P. Spinicci e E. Franzini) “La fenomenologia” (Torino 2002).
Gli ambiti di applicazione delle biotecnologie sono oramai così ampi – dall’agricoltura alle scienze alimentari, dalla zootecnia alla veterinaria, dalla medicina alla farmacologia – che si può parlare di una vera e propria ‘rivoluzione biotecnologica’. Ogni nuovo traguardo raggiunto, o la previsione di possibilità future, pone in modo inevitabile interrogativi di senso e di limite, a cui la sola tecnica non è in grado, però, di dare risposta. È dunque compito dell’antropologia, e dell’etica che ne consegue, indicare se quanto è stato operato sinora, si sta operando e si continuerà a operare nel campo delle biotecnologie sia sempre eticamente accettabile. Un’antropologia e un’etica che, facendo riferimento all’Uo-mo, alla sua dignità e ai suoi diritti, a partire dal momento della fecondazione, al suo primato nel cosmo e alla sua responsabilità verso gli altri esseri, viventi e non, consentano il ritorno a una scienza, a una tecnologia, a una medicina da e per l’Uomo. L’attenzione sia al dato tecnico sia alla dimensione antropologica ed etica, così come al dibattito biogiuridico, è il filo conduttore di questo volume. Muovendo dall’analisi del rapporto tra l’uomo e la tecnica, e tra la libertà e la responsabilità nella ricerca biomedica, si prendono successivamente in esame gli aspetti scientifici, le problematiche sociali, le istanze bioetiche e gli interventi normativi in materia di biotecnologie vegetali, animali e umane. Quindi, tra gli ambiti di ricerca su cui oggi convergono le maggiori aspettative in termini di vita e salute dell’uomo, vengono illustrati in modo particolare la produzione e l’utilizzo delle cellule staminali, gli xenotrapianti, la farmacogenetica e la farmacogenomica.
Maria Luisa Di Pietro è professore associato di Bioetica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia «A. Gemelli» dell’Università Cattolica di Roma e professore straordinario di Etica della vita e della salute presso l’Istituto Internazionale di Teologia Pasto-rale Sanitaria «Camillianum» di Roma. È membro del Comitato Nazionale per la Bioetica e del Comitato per la valutazione etica delle sperimentazioni animali dell’Università Cattolica di Roma. È autrice, coautrice o curatrice di volumi riguardanti temi di bioetica e di educazione della sessualità e della salute.
Mons. Elio Sgreccia è stato professore ordinario di Bioetica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia «A. Gemelli» dell’Università Cattolica di Roma e primo direttore dell’Istituto di Bioetica. È direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica e membro di numerose commissioni e comitati di bioetica, nazionali e internazionali, tra i quali il Comitato Nazionale per la Bioetica. Vescovo titolare di Zama Minore, è stato nominato vice-presidente della Pontificia Accademia per la Vita. È membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia, del Pontificio Consiglio per la Salute e condirettore di «Medicina e Morale», rivista di bioetica e deontologia medica. È autore, coautore e curatore di numerose pubblicazioni riguardanti la bioetica, la pastorale sanitaria e la famiglia.
Talvolta la liturgia cattolica non suscita grande coinvolgimento in chi vi partecipa. Questo accade perché non si presta particolare attenzione al fatto che la celebrazione deve essere diversa rispetto ai luoghi e ai tempi della quotidianità. In questo senso occorre riscoprire il senso dei contesti materiali ove si realizza la liturgia: spazi diversi rispetto a quelli della vita ordinaria, spazi consoni alla celebrazione del mistero, capaci di ospitare il sacro. Il libro ci introduce in un mondo che diamo per scontato, ma che non lo è affatto, e consente di riscoprire il significato di una dimensione essenziale della liturgia.
Il pensiero della seconda metà del Novecento, quando non ha imboccato la via che conduce all’affossamento della vocazione ontologica della filosofia e del tema della trascendenza, ha cercato vie nuove, che mettessero a frutto, e magari radicalizzassero, la critica heideggeriana alla metafisica ontica. In questa direzione va l’idea di una metafisica del desiderio, che indica una direzione di ricerca assai promettente per almeno due ragioni: in primo luogo perché individua un luogo privilegiato di accesso alla trascendenza, e in secondo luogo perché induce a rivisitare e a valorizzare momenti della storia della filosofia, nei quali la tematica del desiderio ha, in modo più o meno sotterraneo, agito significativamente, e dai quali si possono trarre suggerimenti per nuovi svolgimenti della metafisica.
A questo intento cercano di rispondere da molteplici punti di vista – che vanno da quello più strettamente teoretico a quello biblico, da quello psicoanalitico a quello storiografico – i saggi contenuti in questo volume. Essi rendono ragione, al di là anche dell’efficacia delle soluzioni proposte, del significato e dell’importanza della dimensione affettiva per la filosofia; dimensione tutt’altro che estranea alla tradizione filosofica, per quanto spesso nascosta o ignorata. La sua ripresa può oggi contribuire a rinnovare la problematica metafisica, allo stesso modo in cui, a volte in forme convergenti, contribuiscono a rinnovarla approcci inediti o fin qui poco frequentati, quali quelli del dono o della libertà.
Hanno collaborato al presente volume:
Giuseppe Barzaghi O.P., Santino Cavaciuti, Claudio Ciancio, Angelo Crescini, Flavio Cuniberto, Gerardo Cunico, Guido Cusinato, Giovanni Ferretti, Mauro Fornaro, Roberto Mancini, Angelo Marchesi, Giuseppe Riconda, Armando Rigobello, John M. Rist, Franco Riva, Piero Stefani, Federico Vercellone, Carmelo Vigna.
Il volume ripercorre alcuni aspetti peculiari della tradizione platonica della tarda antichità, sia pagana sia cristiana. Nella prima parte viene esaminato il sistema filosofico di Plotino, mentre nella seconda parte viene illustrato il ruolo svolto da questo filosofo e, più in generale, dalla filosofia neoplatonica, nell'elaborazione e nella chiarificazione di questioni fondamentali per la teologia cristiana.
A distanza di quattordici anni dalla prima pubblicazione in edizione originale, “Il realismo morale e i fondamenti dell’etica” è già divenuto un classico della metaetica e dell’etica normativa analitica. Il testo, che rappresenta la versione più organica e logicamente cogente della prospettiva sostenuta dal cosiddetto ‘realismo morale americano’, sviluppa una teoria esternalistica della motivazione morale, un’epistemologia morale coerentistica, un’ontologia morale di tipo realistico e naturalistico, un’etica normativa improntata a una forma oggettiva di utilitarismo.
Queste tesi vengono argomentate alla luce delle competenze che l’autore possiede nell’ambito di discipline quali l’epistemologia, la filosofia del linguaggio, l’ontologia, la filosofia della mente, la storia della filosofia. Tale poderoso insieme di conoscenze di sfondo rende la lettura del testo coinvolgente e attuale, per la capacità di cogliere in un unico sguardo temi e problemi che solo astrattamente appaiono suddivisi in ambiti disciplinari diversi. L’attualità del volume è testimoniata anche dal ruolo centrale che in esso gioca il tema del naturalismo. Le argomentazioni di Brink a favore di un naturalismo non riduzionistico offrono, per la loro chiarezza e il loro rigore, un contributo importante al dibattito sul naturalismo filosofico, rivolto tanto a coloro che simpatizzano con il naturalismo, quanto a coloro che vi resistono.
David O. Brink è docente alla facoltà di Filosofia dell’Università di San Diego, CA e ha conseguito il dottorato in Filosofia nel 1985 presso la Cornell University. I suoi interessi di ricerca si rivolgono all’etica, in particolare alla metaetica e ai fondamenti della morale, alla filosofia della politica e al diritto. Tra le pubblicazioni più recenti si segnalano: "Common Sense and First Principles in Sidgwick’s Methods", «Social Philosophy & Policy», 11 (1994); "Realism, Naturalism and Moral Semantics", «Social Philosophy & Policy», 18 (2001); "Some Forms and Limits of Consequentialism", in "The Oxford Handbook of Ethical Theory", a cura di D. Copp, Clarendon Press, Oxford 2003.
Inserito nell’ampio scenario degli studi sulle audiences, questo volume offre una chiave interpretativa della varietà di gusti, motivazioni e ‘letture’ di quel vasto pubblico italiano che quotidianamente si raccoglie di fronte alla televisione. La centralità attribuita all’appartenenza generazionale dei telespettatori e, quindi, all’esperienza di ambienti mediali che mutano nel tempo costituisce il filo rosso che attraversa e collega una serie di ricerche svolte nel triennio 1999-2001 dall’Osservatorio sulla Comunicazione dell’Università Cattolica su commissione della Struttura Scenari della Direzione Marketing RTI (Mediaset), condotte secondo una prospettiva capace di integrare approcci differenti: lo studio socio-storico dell’industria culturale, l’indagine qualitativa sul consumo, l’analisi semiotica dei testi. I risultati, frutto di un lavoro di confronto e interpretazione dei dati raccolti nel tempo, restituiscono i profili di quattro identità generazionali a cui è possibile ricondurre l’attuale pubblico televisivo, ciascuna caratterizzata da memorie mediali, aspettative e strutture di decodifica narrativa proprie. Tutto ciò costituisce il bagaglio esperienziale con cui ci si relaziona al medium televisivo e si costruiscono i significati di quanto si fruisce.
Piermarco Aroldi è ricercatore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e vicedirettore dell’Osservatorio sulla Comunicazione presso la stessa Università. Ha svolto attività di ricerca sui temi dell’industria culturale e delle comunicazioni di massa per la Fondazione Agnelli, l’Istituto Gemelli - Musatti, la Rai, la Camera di Commercio di Milano. Su questi temi ha pubblicato, tra l’altro, “La fabbrica di Pinocchio. Le avventure di un burattino nell’industria culturale” (con Fausto Colombo e Barbara Gasparini, 1994), “La meridiana elettronica. Tempo sociale e tempo televisivo” (1999).
Fausto Colombo insegna Teoria e tecnica dei media e Linguaggi e strumenti della comunicazione presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano ed è direttore dell’Osservatorio sulla Comunicazione. Tra le sue ultime pubblicazioni: “Le nuove tecnologie della comunicazione” (con Gianfranco Bettetini, 1993), “Dizionario della pubblicità” (con Alberto Abruzzese, 1994), “La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni Novanta” (1998), “Il piccolo libro del telefono. Una vita al cellulare” (2001), “Il prodotto culturale. Teorie, tecniche, case histories” (a cura di, con Ruggero Eugeni, 2001).
Nella società dell’informazione le agenzie culturali si moltiplicano e ci investono con messaggi di ogni genere; i mass media sono veicoli di saperi di consumo più efficaci e accattivanti di quanto possano ormai rappresentare, soprattutto per i giovani, i tradizionali mezzi di trasmissione della cultura, ossia la scuola e il rapporto tra le generazioni. Ma si tratta davvero di trasmissione della cultura oppure di semplice comunicazione di contenuti? Là dove, infatti, la comunicazione comporta lo scambio di un messaggio, la trasmissione chiama in causa dinamiche più complesse, implica un processo di rielaborazione e di riappropriazione dei contenuti appresi e non un semplice accumulo di informazioni. Per questo, afferma Mathiot, si ‘comunica’ un messaggio, ma si ‘trasmette’ la vita. In tal senso vanno rivalutate le conoscenze ‘grezze’ trasmesse dalla famiglia e dalla saggezza popolare, ad esempio quelle relative alle previsioni del tempo oppure alle abilità culinarie. È urgente, allora, interrogarsi sul vero senso del trasmettere che non è riproduzione pedissequa di una tradizione o rottura con il passato. La trasmissione è separazione e continuità, distruzione e sopravvivenza: un movimento che punta a costituire l’autonomia di colui che ne è coinvolto, che lo invita ad acquisire una distanza critica da ciò che apprende; che, infine, è proteso verso il nuovo senza tradire la fonte da cui scaturisce.
Pascal Mathiot, docente di lettere alle scuole superiori, è autore di saggi su Molière, Montaigne e Buzzati.