Un protagonista della prima repubblica, democristiano di lungo corso, ripercorre con sgomento e preoccupazione, ma anche con humour e intelligenza pungente, le vicende politiche ed economiche degli ultimi vent'anni, in Italia e all'estero. Senza negare errori e senza rinunciare alla doverosa autocritica, Pomicino deplora lo scadimento e il dilettantismo del legislatore e dei governi, a cominciare dai tecnici dell'economia che presidiano ininterrottamente il potente e unificato ministero dell'Economia e delle Finanze.
Il debito pubblico, in genere descritto come un'eredità del passato, è in realtà triplicato dal 1991 e ha battuto ogni record nel giugno 2015 raggiungendo i 2200 miliardi di euro. Smantellata per via giudiziaria la prima repubblica, la politica ha rinunciato alle idee, ha annacquato e ridotto al silenzio le proprie culture di riferimento, e ha smembrato il sistema di partecipazioni e investimenti pubblici, svenduti alle multinazionali e ai fondi di investimento. Le famiglie industriali italiane riunite nei "salotti buoni" hanno assecondato la spoliazione delle imprese e dei grandi settori produttivi, traendo ottime plusvalenze dalle loro cessioni. Contemporaneamente è cresciuto il mostruoso capitalismo finanziario, un inarrestabile contagio internazionale che divora l'economia reale e prepara il disastro economico e sociale su scala planetaria, con impoverimento di massa, bassa crescita, ricchezza concentrata e disuguaglianze crescenti.
L'avvento di un antico democristiano come Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica e di un post democristiano come lo scout Matteo Renzi al governo avrebbero potuto essere di ottimo auspicio per rilanciare il primato della politica nel nostro paese. Ma le speranze sono presto sfumate: l'Italia in cui viviamo si sta rivelando una Repubblica delle Giovani Marmotte.
L'analisi sui comportamenti e le scelte di Renzi e dei post-democristiani è severa, la loro inadeguatezza sul piano istituzionale e internazionale è palese: proprio quando le culture politiche oggi largamente disperse sarebbero utilissime all'Italia e all'Occidente, per comprendere e affrontare i giganteschi squilibri economici, le migrazioni bibliche e i conflitti che infiammano il Medio Oriente e il continente africano.
La sentenza della Corte costituzionale 10 giugno 2014, n. 162 ha dichiarato incostituzionale la legge n. 40/2004 nella parte che vietava la fecondazione eterologa.
La Fondazione Veronesi, attraverso una riflessione che coinvolge aspetti scientifici e giuridici, analizza la portata di tale decisione e ridisegna i confini della libertà di autodeterminazione, enucleando importanti principi e linee guida relativi alle tematiche che riflettono la salvaguardia della persona umana nelle sue diverse manifestazioni.
Questo volume rappresenta un aggiornamento accurato e razionalizzato della controversa legislatura italiana che si riferisce alla procreazione e in particolare alla procreazione medicalmente assistita, in tutte le sue espressioni, con un approfondimento specifico della procreazione eterologa.
STRUTTURA
Prefazione
Introduzione
Capitolo Primo: La procreazione medicalmente assistita
Capitolo Secondo: La procreazione medicalmente assistita eterologa
Capitolo Terzo: La fecondazione eterologa in Europa: un’analisi comparata
Capitolo Quarto: La disciplina della procreazione medicalmente assistita nell’ordinamento giuridico italiano
Capitolo Quinto: La fecondazione eterologa nel quadro legislativo e giurisprudenziale italiano
Osservazioni conclusive: a dieci anni dal referendum abrogativo arriva la ”rivincita”
Brevi spunti de jure condendo
Quando, il 15 ottobre del 1917, la bellissima spia Margaretha Zelle, conosciuta in tutta Europa come la ballerina orientale Mata Hari, cade sotto i colpi del plotone di esecuzione francese, la notizia riecheggia ovunque, dall’Egitto a New York. La sua spettacolare esistenza ha infatti incrociato quella di molte personalità del mondo politico e culturale: Gabriele d’Annunzio e Colette, Lawrence d’Arabia e Claude Debussy, Ernest Hemingway e Filippo Tommaso Marinetti; ma anche ufficiali dell’esercito, ambasciatori e capi di stato. In molti si sono lasciati sedurre da Mata Hari, in molti l’hanno amata o invidiata; tutti ne hanno conservato un’impressione vivida, un ricordo preciso. A partire da testimonianze e documenti del tempo, lo scrittore Giuseppe Scaraffia ripercorre il filo che unisce queste vite e racconta i giorni del processo, della condanna e della fucilazione di Mata Hari: un affresco romanzesco in cui vicende personali e grandi eventi della storia del Novecento si intrecciano. Il ritratto di un’epoca e di una delle sue protagoniste femminili più affascinanti.
Un giorno il tiranno di Siracusa convocò il poeta Simonide e gli domandò che cosa fosse un dio. Simonide richiese un giorno di tempo per pensarci. Trascorsi ormai diversi giorni, il tiranno pretese una risposta, ma il poeta ammise: "Più tempo passo a riflettere sulla questione, e più oscura mi sembra". Gli dèi di Simonide li conosciamo bene anche noi: il saggio Zeus e la gelosa Era, Ares il violento e la sensuale Afrodite, il dispettoso Ermes, la casta Artemide e tutte le altre divinità che dall'Olimpo incombevano sugli uomini. Eppure, la questione che era oscura per il poeta greco non è più semplice per noi: chi sono, davvero, gli dèi olimpici? Perché sono sopravvissuti a quel mondo che li venerava nei templi e cantava nei poemi? La giovane studiosa Barbara Graziosi parte da qui per una ricognizione storica, antropologica e culturale, che dall'antica Grecia, dove la religione e i suoi riti fecero da spina dorsale alla nascente democrazia, arriva fino a noi. Seguire le trasformazioni degli Olimpici nelle varie civiltà ed epoche che hanno attraversato significa leggere in trasparenza la storia del lascito culturale del mondo greco, che anche dopo la dissoluzione della potenza di Atene ha continuato a circolare e a ibridarsi con le culture di altri popoli sia verso Oriente (l'Egitto alessandrino ma anche i paesi arabi e l'Estremo Oriente) sia verso Occidente... Con e-book scaricabile fino al 31/12/2015.
Scritte nel IV secolo a.C., "Retorica e poetica" - le opere che Aristotele ha dedicato all'argomentazione persuasiva e ai criteri sottesi alla produzione poetica - sono due dei trattati filosofici che hanno influenzato maggiormente la cultura occidentale. Tradizionalmente esclusi dall'"Organon" - l'insieme degli scritti logici di Aristotele - ma considerati come sue importanti appendici già da molti commentatori antichi e medioevali (da Al-Ghazali a Tommaso d'Aquino, passando per Alberto Magno e Ruggero Bacone), i due testi sono stati oggetto di rinnovata attenzione negli ultimi decenni, nel momento in cui le più acute intuizioni di Aristotele sono state, di volta in volta, applicate all'analisi della comunicazione di massa, alla retorica politica, alla teoria del romanzo, oltre che allo studio di gran parte dei nuovi linguaggi artistici e comunicativi, come quelli adottati dal cinema e dai media. Centrale, in entrambe le opere, è l'analisi delle passioni: ira e paura, audacia e benevolenza, vergogna e compassione sono fondamentali sia in quella "scienza del verosimile" teorizzata - attraverso i concetti di "mimesi" e "catarsi" - nei più noti passaggi della "Poetica", sia nell'"arte della persuasione" insegnata dalla "Retorica".
Il 10 dicembre del 1936 Edoardo VIII rinuncia al trono d'Inghilterra per amore dell'americana Wallis Simpson. Il nuovo sovrano è suo fratello "Bertie", Giorgio VI, padre di Elisabetta e Margaret. In quei giorni la piccola Margaret, che ha solo sei anni, chiede alla sorella maggiore: "Questo significa che poi diventerai regina anche tu?". "Suppongo di sì", risponde Elisabetta, improvvisamente molto seria. E Margaret commenta, candida: "Povera te". Quasi ottant'anni dopo, il 9 settembre 2015, la regina Elisabetta II ha superato il record del regno di Vittoria, durato 63 anni e 217 giorni, divenendo il sovrano che ha regnato più a lungo nella storia della Gran Bretagna. Vittorio Sabadin racconta la straordinaria vita di Elisabetta: la lunga storia d'amore con Filippo di Grecia, dal loro primo incontro, a bordo dello yacht reale, quando lui era soltanto un giovane allievo ufficiale della Marina e lei aveva appena tredici anni, sino ai festeggiamenti per le loro nozze di diamante (unici reali nella storia inglese a raggiungere il traguardo); il complesso rapporto con il figlio Carlo e con "la principessa del popolo", Diana; le relazioni, non sempre facili, con i capi di Stato stranieri e con i premier inglesi - memorabili i contrasti con Margaret Thatcher e Tony Blair. Una biografia curiosa e documentata, che intreccia i grandi eventi storici e gli aneddoti più intimi e personali, restituendo un ritratto spesso sorprendente della Regina.
Nome: Caterina. Cognome: de' Medici. Nazionalità: italiana. Parentela: nipote di Lorenzo il Magnifico. Stato civile: vedova. Professione: regina di Francia. Segni particolari: veste sempre di nero, adora i gioielli, i carciofi, gli oroscopi e certi golosissimi dolcetti antenati dei nostri macarons. Indagata dagli storici per una lunga serie di crimini: corruzione, stregoneria, avvelenamento, strage. Attivamente ricercata da romanzieri e registi per fiction storiche a base di sangue e sesso. Latitante, soprattutto nella memoria degli italiani, che di lei non sanno praticamente nulla. Ha lasciato le sue impronte ovunque: nella cucina, nella moda, nell'arte, nella cultura. I gelati, le forchette, perfino le mutande e la moderna profumeria sono invenzioni che dobbiamo a lei. Eppure in quasi cinque secoli nessuno è ancora riuscito a catturarla: Caterina de' Medici riesce a sfuggire a ogni facile incasellamento e non si lascia imprigionare negli stereotipi. Ma i misteri di una grande protagonista del Rinascimento italiano ed europeo, nelle sue presunte efferatezze e raffinatezze estreme, hanno le ore contate. Due storici curiosi si sono messi sulle sue tracce e hanno ricostruito le peripezie di Caterina nel contesto di un secolo straordinario e terribile, il Cinquecento. E con questa biografia, tanto dotta quanto divertente, la consegnano al giudizio dei contemporanei.
Alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini.
Miliardi di foto postate e condivise sui social network, di macchine analogiche e digitali sempre più sofisticate ma anche sempre più superate da tablet e smartphone. Miliardi di immagini da cui nei prossimi anni saremo invasi, perché mai come oggi la fotografia accompagna ogni momento delle giornate di noi tutti: fotografi più o meno consapevoli, che, con il semplice gesto di estrarre dalla tasca il telefonino, abbiamo imparato a consegnare vite intere, ricordi e bellezza, a flussi di immagini archiviate (e spesso dimenticate) in una memoria esterna artificiale. Immagini che crediamo eterne ma che sono, in realtà, molto più effimere e destinate all'oblio delle vecchie diapositive. Scatti che possiamo sì moltiplicare all'infinito ma che si riescono a visualizzare al meglio solo nelle ridottissime dimensioni della cornice di uno smartphone. Selfie che dimostrano fino a che punto la nuova fotografia dell'era digitale stia diventando sempre più specchio, e non finestra sul mondo. Perdendo per sempre la sua magia. Ma che ne sarà della verità e della potenza della fotografia? Che ne sarà della sua particolarissima magia, che rivela e spiega, che denuncia e mette a nudo? Se lo chiede Roberto Cotroneo in questo saggio sulla fotografia e la sua storia che è al contempo un personalissimo memoir, in grado di evocare sulla pagina la magia stessa delle immagini fotografiche.
Migliaia di vite "senza sponda": sono quelle dei migranti che cercano rifugio nel nostro Paese, in fuga da bombardamenti e carestie, da cambi di regime, guerre intestine e povertà, che si tratti della Nigeria di Boko Haram, della Libia in preda all'instabilità politica, dell'Egitto sconvolto dalle conseguenze dolorose della sua "primavera" mancata o della Siria ora in balia dell'Isis. Migliaia di esistenze travolte dalle onde del mare o spezzate dalla fatica del deserto: profughi in viaggio per raggiungere una parte del mondo che sognavano migliore, una sponda dove credevano di essere accolti. Ma così non accade. In un'Italia dalla memoria troppo corta, che volentieri dimentica il suo stesso passato di migrazione, è facile identificare nei profughi dei nuovi barbari, colpevoli di invadere le nostre coste per impoverirle, se non per depredarle. Una reazione diversa è possibile, però, proprio ricordando le nostre radici: imparando ad accogliere umanamente chi cerca rifugio sulle sponde italiane, per non cadere in quella che papa Francesco a Lampedusa ha chiamato "globalizzazione dell'indifferenza". È ciò che propone lo scrittore e studioso Marco Aime in questo pamphlet, agile e provocatorio, che getta una luce nuova sui casi più tragici della nostra attualità grazie agli strumenti dell'antropologia.