
Con strumenti diversi (la lectio evangelica, la letteratura cristiana e femminile, lo yoga, l'arte), l'autrice ridisegna i contorni di una possibile sequela di Gesù fatta di stabilità e movimento. L'esortazione evangelica a "rimanere" viene coniugata con la sfida a camminare senza avere "dove posare il capo". Gesù è il punto fisso dell'attenzione del discepolo, ma il punto fisso da seguire, nel rischio di lasciarsi portare su sentieri ignoti. In termini yogici, infine, Gesù viene accostato alla forma dell'asana, tra immobilità e sottile movimento. Ed è qui che l'autrice rintraccia la possibilità, anche per noi, della trasformazione, perché rimanendo in lui, facendo di lui la nostra asana, possiamo prendere la sua forma e divenire, come lui, permanentemente protesi, direzionati, "verso il seno del Padre".
Il quaderno si propone di indagare la polivalenza di un gesto quotidianamente compiuto in maniera irriflessa, mediante contributi che ne mettano in luce senso e determinazioni. Rispetto al vedere vi è, o si suppone ci sia, un coinvolgimento più profondo tra soggetti che “si toccano”, e ciò vale per entrambi gli estremi, dalla carezza delicata al contatto violento. In generale ad essere in gioco è il tema della distanza e del confine nella relazione con l’altro, di cui il toccare è espressione emblematica, nella necessaria distinzione tra un toccare che “cosifica” l’altro in una relazione di potere e subordinazione, e un toccare che stabilisce una relazione nel rispetto della “giusta distanza”, mai definita o definibile a priori, ma diveniente nello strutturarsi stesso della relazione personale.
Il quaderno si propone di sviluppare il rapporto tra le dimensioni del mangiare e del pensare. Si vive alimentando anima e corpo; e una molteplicità di metafore e modi di dire indica come le due dimensioni siano tra loro collegate (ad esempio, fame di conoscenza o di informazioni, sete di sapere, divorare un libro, fare indigestione di dati, avere la nausea di leggere o di scrivere, non essere mai sazi di racconti, masticare una lingua straniera, digerire-assimilare-metabolizzare alcuni concetti, bersi una storia, paragoni gustosi, parole dolci o amare, risposte acide, riflessioni insipide, storielle appetitose o particolari piccanti). Dall’agri-coltura al campo della cultura si tratta di preparare le condizioni, seminare, far crescere e raccogliere i prodotti di cui vive l’uomo. I frutti del lavoro e del pensiero devono essere ulteriormente elaborati per essere poi offerti in pasto ai lettori. Cucinare è come scrivere e mangiare è come leggere. La cucina e il pensiero raffinato, corretto, seguono delle ricette, perché ogni passaggio deve essere compiuto in un modo preciso e non ogni accostamento è opportuno. Gli abbinamenti tra cibi sono come nessi sintattici e grammaticali. Mentre l’animale si alimenta, l’uomo mangia e pensa il cibo che mangia. La preparazione del cibo è espressione di chi cucina, è come un discorso. E il pasto è qualcosa di più della somma delle portate. È un’arte.
Oggi l'identità è un problema; Giorgio Gaber l'avrebbe messa fra le cose di destra, come il bagno nella vasca, o di sinistra, come la doccia? Certo può essere un momento di carica emotiva violenta, in reazione alla perdita di certezze, che è dissoluzione delle strutture culturali. Ma non esiste una cultura "chiusa"; storicamente ogni cultura si incontra con altre; in più viviamo in una società aperta, fatta di vari gruppi, ciascuno dei quali produce identità, senza bisogno di radicalizzazioni. I movimenti "autoctoni" fanno dell'identità una bandiera da usare dalla parte del manico. A di là di battute nostrane, parlare di identità significa mettere in discussione molti paradossi del nostro tempo, dal
versante individuale della coscienza, alla rimozione di quello sociale della cultura, attraverso una vera e propria "apocalissi culturale". Così il termine di identità è diventato un "tabù" perché evoca distruzione e violenza; noi facciamo finta di non sapere "chi siamo" e ignoriamo "da dove veniamo", mentre qualcuno profetizza "dove andiamo", alla ricerca di una improbabile, totale palingenesi. Papà Freud avrebbe trovato abbondante materia di studio. Il problema resta la "domanda di senso" fondamentale sull'uomo e il suo destino; è questo il discrimine dell'identità, attraverso cui ciascuno entra in una "visione del mondo", che fonda un "sistema di valori", dove il campo dell'identità si apre e, con esso, l'istanza morale. Ovviamente non si tratta di una questione individuale e ciò rappresenta un altro momento di crisi per la modernità. L'identità personale continua ad avere senso solo all'interno di una comunità che dà senso, riconoscendo il singolo e mettendo in gioco la sua capacità e responsabilità. Il fenomeno oggi va sotto il nome di "intercultura": ogni cultura è già in sé "interculturale", sempre aperta al confronto con la realtà storica che la circonda e all'ibridazione con altre letture del mondo.
La natura dell'uomo, che crede nella risurrezione di Cristo, viene trasmutata dall'azione fecondatrice di Dio. Le tendenze inquinate del suo essere sono lentamente abolite; le aridità mentali, fecondate; le ferite, contratte nel duro combattimento dell'esistenza, guarite; le durezze emotive, disciolte dal nuovo alito di amore; la rigidezza implacabile della ragione, disgelata dalla luce calda dello Spirito; il deviamento dei sensi, attratti dal fascino dell'esteriore, corretto dall'intima luce. Allora la vita è bellezza, gioia e libertà, allegrezza di ogni ora e sicurezza del sempre, e il tempo e lo spazio non hanno più alcun significato.
Oggi si viaggia molto, annullando però l'esperienza della "strada" nella velocità. Anche perciò ci è parso utile riflettere su tale dimensione, che si allaccia a quella della "via". Percorrere una via implica una strada, un sentiero, una pista, una traccia da seguire, sulle rocce o sul mare o nel bosco o in un deserto o nella neve. A sua volta, l'aprire una via crea una forma di strada. Né la strada è un provvisorio passaggio da una casa o località all'altra, per ritrovare la "stanzialità", che sarebbe la "norma". È invece condizione di possibilità del vivere umano. Il mondo è umanizzato non meno dalle strade che dalle case: infatti le guerre distruggono prima di tutto le strade e i ponti. Guai se non "abitassimo" anche le strade, e se non vivessimo anche le case come tende mobili e crocicchi di incontro. La strada ha suggerito molte metafore (farsi strada, trovare la propria strada, essere su una cattiva strada, ecc.) ed è all'origine del termine "metodo". Non basta essere arrivati a un certo punto. Va precisato il metodo, la strada seguita, così che anche altri ci possano poi arrivare, e noi stessi ci possiamo arrivare di nuovo. Strada dice un aspetto essenziale della nostra ragione e della organizzazione ragionevole dell'esperienza. "Via" ci rinvia all'etica, quando si parli di "retta via". Se il moralismo impone rigide prescrizioni, il rigore morale chiede di seguire con rettitudine la via individuata in coscienza come giusta, anche se non rettilinea: vie tortuose, anche interrotte (gli Holzwege, di cui parla Heidegger), possono condurre a scoprire nel bosco radure, a raggiungere luoghi inesplorati dell'esperienza umana. Ci auguriamo che il presente quaderno, nella varietà degli aspetti considerati, possa offrire ai lettori luci sui loro personali percorsi.

