Questo il vero nodo del profetismo turoldiano: non il lamento, la deprecazione, non la divinazione, il bisogno piuttosto di chiamare la storia in giudizio. Che sei?, dove vai?, perché sei così?, sei una deriva che va avanti casualmente, o mossa da forze "ulteriori", non umane? Sei o no qualcosa su cui si può incidere? Sei un insieme di responsabilità in cui tutti siamo colpevoli nello stesso tempo, o in cui siamo forse innocenti perché già plagiati da altrui colpe? Questo è l'incalzare delle domande che si ricava seguendo l'ininterrotto processo turoldiano alla storia, secondo un disegno di massima evidenza appunto biblicoprofetistica. In tale senso la parola, essendosi ulteriormente espansa, può e deve entrare in contatto con i temi dell'attualità: incalzare la cronaca, arroventare i personaggi mentre sempre più rovente si fa l'io, assumersi infine la responsabilità di porsi anche come utopia.
Presentando la raccolta poetica di Turoldo Il grande male - edito da Mondadori nel 1987 - Carlo Bo scriveva: «Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». E Turoldo fino all'estremo ha continuato a cantarla, la sua fede, e ne è testimonianza anche questo Mie notti con Qohelet, un'appassionata meditazione, densa di umanità e di pura contemplazione, ispirata ai tre libri della Bibbia: il Qohelet o Ecclesiaste, il Cantico dei cantici e Giobbe. Nella "postfazione" alla presente raccolta l'amico e ora cardinale Ravasi scrive: «Il silenzio cui ci conduce Turoldo è quello, denso e colmo, del "mistero", perfezione di tutte le parole, anzi, la Parola».
Per un anno, dal 1971 al 1972, padre David ha tenuto una rubrica sul settimanale Sette giorni in Italia e nel mondo, diretto da Ruggero Orfei. La rubrica, intitolata "Gridi e preghiere" presentava al lettore dei testi poetici, talvolta accompagnati da prose esplicative che conferivano un significato più preciso e intenzionale alle liriche. Quella di Turoldo può essere definita poesia civile, che si fa carico delle questioni del suo tempo e propone profonde istanze di rinnovamento radicale della vita civile e spirituale.
La traduzione dei Salmi di David Maria Turoldo è ormai entrata a far parte dei classici della poesia. A trent'anni dalla sua morte si è pensato di riproporre, rivisitandola, una delle opere a lui più care, completamente rinnovata nei commenti del cardinale Gianfranco Ravasi. Affidiamo ai lettori questo frutto della consonanza teologica, esegetica e poetica di Turoldo e Ravasi, un testo di straordinaria fragranza spirituale ma anche umana, religiosa ed esistenziale e, quindi, un'opera aperta a tutti, credenti e non, a «re potenti e popoli tutti e giudici d'ogni paese, a giovani con le fanciulle, ai pargoli insieme agli anziani» (Salmo 148,11-12). «Gianfranco... io scrivo soprattutto per gli amici...; per gli amici antichi, quelli della resistenza per l'"Uomo": presenze che sempre evoco nelle mie dediche, al fine di continuare appunto a "resistere"», così scriveva Turoldo nella Premessa al volume, quasi un manifesto della sua poetica. Con un saggio inedito dedicato alla poesia di Turoldo.
Padre David Maria Turoldo apparteneva all'Ordine dei cosiddetti Serviti, i Servi di Maria. Recitare il Rosario facendosi accompagnare dalle sue riflessioni e provocazioni non è, dunque, soltanto una memoria della sua capacità di ricondurre sempre il Vangelo alla storia, alla vita concreta, ma anche il riprendere un filo mariano mai interrotto e, forse, per quel che lo riguarda, a volte lasciato comodamente nell'oblio. Così, le meditazioni che accompagnano in questo volumetto i misteri del Rosario ci spingono a fare i conti con la nostra storia: la preghiera si fa carne e i silenzi si accompagnano a quelli di molti, donne e uomini, che non hanno voce. Quello di padre David è un Rosario meditato con gli ultimi del mondo; un Rosario "politico", oseremmo dire, nel senso più alto a cui l'incarnazione ci spinge: quello di coniugare preghiera e impegno per la città.
"Quale omaggio alla Madre in occasione della presente raccolta, vorrei rifarmi, a modo di prefazione, al brano di un documento pontificio dove Paolo VI ci rimanda alla Vergine non solo come via veritatis, ma anche come via pulchritudinis: via da seguire se si vuole raggiungere la beatitudine promessa. Una beatitudine che non può essere tale se, appunto, è solo verità. La verità da sola può fare anche male. La verità la possiedono anche i dannati. Ma la bellezza!... Infatti Dostoevskij dice che sarà la bellezza a salvare il mondo. E io, senza sconvolgere nessun ordine, ma solo per dire quanto più mi preme, precisamente vorrei qui proclamare, avanti a ogni altra urgenza, la via della bellezza." (David M. Turoldo)
Non c’è festa tanto manomessa e profanata quanto il Natale, ed è la prima festa del cristianesimo: evento che dovrebbe essere il più significativo per la stessa umanità. Ritorniamo a scoprire il valore e la bellezza del dono e della gratuità. Dipende da noi reagire alla situazione del paese; da noi deve riesplodere la coscienza. Allora non solo avremo scoperto nuovamente la nostra dignità, ma di essa potremo fare una bandiera, e così, salvando precisamente il Natale, avremo salvato noi stessi.
Larga parte dei testi riportati in questo volume datano del travagliato decennio "migrante" di padre David, a partire dal trasferimento obbligato a Firenze, nello storico "archicenobio" dei Servi alla ss. Annunziata. La raccolta è suddivisa in tre sezioni individuate da parole-chiave esprimenti motivazioni e interessi coltivati con passione da Turoldo, quali appunto l'attenzione alla liturgia, all'urgenza di una riforma di essa, anche estetica, dei linguaggi; la forza trainante delle ricorrenze che offrono spessore d'ispirazione e bellezza al "migrare dei giorni". La terza sezione infine sosta in maniera contemplativa sulla Vergine santa Maria, la "via della bellezza", riferimento molto amato da Turoldo, dato anche il suo legame con la prima tradizione dell'Ordine dei Servi di Maria, di cui era frate.
Le tre parole “mistero, presenza, segno” che originano il contenuto di queste pagine hanno il sapore conciliare, non solo per la contemporaneità di alcune con quello storico evento, ma soprattutto perché ci offrono una panoramica eloquente del pensiero e del sentire turoldiano a riguardo della chiesa. Sono infatti espressione di idee intuite profeticamente e frequentate con passione e speranza da Turoldo insieme ai tanti che le hanno soffertamente e coraggiosamente anticipate.
I testi qui raccolti, riproposti per la lettura sotto l’espressivo titolo «mia chiesa» intendono dare testimonianza dell’appassionato amore che padre David ha nutrito per la chiesa, il cui mistero ispirava i suoi interventi, il desiderio che ne auspicava una presenza storica più rispondente alla sua natura e la speranza che splendesse come segno visibile di unità, di pace e di giustizia.
Il titolo “Canti ultimi” suggerisce proprio con l’inversione dell’aggettivo una sorta di messaggio escatologico, l’attesa dei “Novissimi”, lo svelamento degli estremi misteri, dall’ignoto di un Dio qui colto nell’inedita rappresentazione della sua sofferenza per un Male scaturito, suo malgrado, dalla sua stessa Volontà che paradossalmente non può scongiurarlo.