
Dio è forse un Assoluto che resta silente, al di là di ogni parola terrena? Oppure ha rivolto la sua parola all'umanità?
Se è vera la prima ipotesi, tutti i sentieri sono aperti per tendere verso l'Indicibile. E tutte le forme di meditazione dell'umanità fatalmente si assomigliano, in fondo. Se invece è corretta la seconda ipotesi, «allora entriamo nello spazio biblico, nello spazio delle tre religioni monoteiste; e la meditazione può avere significato solo come riflessione e appropriazione sempre più profonda della parola che Dio ha pronunciato su se stesso, su di noi e sul mondo».
Attingendo ad una profonda esperienza spirituale durata tutta una vita, un gigante della teologia del Novecento come Hans Urs von Balthasar sviluppa qui le sue riflessioni sulla specificità della meditazione cristiana. E lo fa in maniera straordinariamente ricca, intensa e precisa.
La Bibbia come prosa narrativa: l’analisi di Robert Alter, divenuta un classico, ha definitivamente ampliato la nostra concezione della Scrittura come racconto artistico, come opera letteraria.
Descrizione
La Bibbia è un grande libro di fede, certo. Ma, insieme, è un grande libro della biblioteca dell’umanità. Si può e si deve accostare la Bibbia non solo nella sua dimensione religiosa e teologica, ma anche nella sue dimensione narrativa e letteraria. È quest’ultima la specificità dell’approccio inaugurato da Robert Alter, che legge la Bibbia in un’ottica inedita: quella, appunto, della critica letteraria.
Il suo libro introduce a gustare le storie bibliche nel loro tessuto narrativo e letterario, come autentiche opere artistiche. E, così facendo, aiuta a penetrare più a fondo nel loro messaggio religioso.
I procedimenti usati dagli autori biblici mentre raccontano (o mentre tacciono, con reticenza, su certi aspetti) richiedono da parte dei lettori di oggi nuove modalità di attenzione.
In questo fondamentale lavoro, allora, Alter illustra come gli scrittori biblici usassero convenzionalmente determinati stili, dispositivi letterari, tecniche espositive, per raccontare una delle storie più rivoluzionarie di tutti i tempi: la rivelazione del Dio unico. Quegli scrittori hanno rimodellato così non solo la storia, ma anche la stessa arte della narrazione.
Questo testo lancia provocatoriamente una sfida che nasce da un ribaltamento di prospettiva. Se si vuole andare alla ricerca di un senso possibile del fenomeno della mobilità umana, è troppo poco limitarsi a sapere se coloro che si spostano hanno un futuro nel Paese d'arrivo. Al contrario, si potrebbe provare a chiedersi se queste persone danno un futuro e dischiudono prospettive alle società in cui giungono. Questo capovolgimento è la chiave di volta che il cosiddetto "pensiero generativo" vuole offrire al dibattito sulle migrazioni. L'attualissimo lavoro di Emanuele Iula, più che voler essere esaustivo, punta sulla profondità del rapporto che si genera tra i dati raccolti dalle varie statistiche in circolazione e alcune interpretazioni di autori che si sono sforzati di andare oltre i dati, per cogliere un senso diverso e implicito al migrare. Per questa ragione, una delle direttrici seguite è stato il costante tentativo di dialogo con saperi e discipline diverse: filosofia, sociologia, antropologia e, non ultima, la teologia biblica. L'intento può apparire ambizioso. Forse lo è davvero. Ma consente di contribuire al dibattito più ampio. «E se scoprissimo che i fenomeni migratori, anziché una reazione a un qualche disagio, sono in realtà la risposta a una domanda ben più profonda?» (Emanuele Iula).
"Partire è un po' morire", ci diciamo a volte. Ma partire da dove, per andare dove? E che cosa s'intende con "morire un po'"? Come può il verbo morire - che designa un avvenimento ogni volta unico, definitivo, assolutamente non quantificabile - adattarsi a un avverbio di quantità? Il verbo morire è come il verbo amare: aggiungervi un avverbio di modo o di quantità equivale a modularne il significato in maniera radicale. Amare un po', amare molto, amare appassionatamente, amare alla follia... oppure non amare per niente, è un gioco serio, estremamente delicato. Vi si rischia il cuore, la gioia, la propria speranza più viva. Insomma: non si scherza né con l'amore né con la morte. Sfogliare il verbo morire come i petali di una margherita significa mettere a nudo il proprio intimo, misurare a grandi passi le geografie accidentate dello spirito umano. In questo libro, sfoderando una scrittura affascinante e ispirata, Sylvie Germain "bracca" la dinamica della ricerca spirituale percorrendo il tema dei passi che si compiono per andare: il movimento è trasformazione, slancio, metamorfosi. E sosta su quello strapparci-a-noi-stessi che la morte compie continuamente, fin dal nostro primo giorno di vita. Per insegnarci ad andare oltre. Non un testo sulla morte, ma un libro brillante, a tratti piacevolmente erudito, sul partire alla ricerca di Dio.
Viviamo in una realtà frantumata, frastagliata. Il pluralismo è il volto visibile della globalizzazione, e a questo destino non sfugge nemmeno il mondo religioso. Ora, c'è chi reagisce denunciando il supermercato delle credenze e lamentando il bricolage religioso. E c'è chi si chiede che senso dare a questo fenomeno rispetto alla fede del Dio unico che interviene nella storia per salvare tutti gli esseri umani. Alla cacofonica di Babele, Rémi Chéno risponde con la sinfonia di Pentecoste: insegna ad accogliere teologicamente la diversità che non abolisce le differenze (e la verità!), ma le trasfigura in cangianti riflessi policromi. Lo fa inseguendo, con umiltà e rispetto, le orme di Colui per mezzo del quale tutto esiste. Ecco allora un libro talvolta scomodo, spesso sorprendente, sempre rivelatore: una guida intelligente per integrare nella fede cristiana lo "scandaloso" pluralismo religioso dei nostri giorni. «Il mio approccio, che definirei postliberale, opta per un esercizio umile della ragione nel confronto con le ricchezze dell'altro, senza peraltro cadere negli estremi dell'esclusivismo o del pluralismo» (Rémi Chéno).
Il lavoro di Dario Cornati ha per oggetto l'unità di metafisica e amore. Si presenta come viaggio nella cultura antica e moderna, medievale e romantica: un lungo viaggio alla ricerca della sapienza d'amore. Come ogni viaggio, non potendo toccare tutte le terre bagnate dal lógos, ne privilegia alcune (Platone, Agostino, Bonaventura di Bagnoregio, Spinoza, Blondel, Balthasar, fra le altre), in grado restituire la parola, altrimenti tanto spensierata e maltrattata di agápe. Ne restituisce lo splendore della verità e lo spessore della giustizia, andando controcorrente rispetto alle mode contemporanee dei neo-razionalismi e dei fideismi del credere. Al termine di questa audace navigazione, ciò che spunta all'orizzonte è il contesto, reso di nuovo abitabile, di una città dell'uomo, edificata dall'éthos laborioso dell'amore che ne rigenera la speranza. Certo, riacciuffare persino nelle filosofie di Cartesio, di Spinoza, di Kant, di Hegel una riflessione sull'essere amabile e il rendersi amabile dell'umana creatura pare un'impresa; come lo è, del resto, l'impegno condiviso a plasmare la realtà nell'ordine ritrovato dei nostri affetti più sacri. In entrambi i casi, tuttavia, si tratta di mettere in campo non soltanto l'aspirazione della ragione e lo slancio del sentire, bensì - in aggiunta - un'etica della dedizione e del sacrificio, della resistenza ostinata e della resa fiduciosa. Una passione per il "corpo a corpo" del vivere, insomma, che il cristianesimo, rimesso finalmente in strada, sembra oggi riscoprire. «Di senso non si parla più oggi. Si parla di benessere, di sicurezza, di futuro, di pace, ma del senso spirituale del mondo che abitiamo si tace. Qui, invece, per tutta risposta, noi faremo spazio pensosamente a quell'assoluto che è l'amore» (Dario Cornati).
Qual è il posto concreto dello Spirito nella nostra vita? Dove ci è dato di sperimentare quella realtà che ci sostiene e ci libera, e che chiamiamo Spirito santo? Che significato ha per noi essere cresimati e confermati? Cosa vuol dire ricevere il battesimo dello Spirito?
Per rispondere, Rahner non si nasconde dietro i luoghi comuni. Scruta dov’è che lo Spirito ci dona vitalità, sprigionando forza e promettendo futuro. Ed esamina quali sono le esperienze che oggi, in modo forse discreto e anonimo, portano testimonianza allo Spirito.
Con delicatezza e discrezione, Rahner invita allora a scorgere la presenza dello Spirito di Dio in tanti piccoli-grandi segnali: negli sforzi che si compiono, o quando ci si assume disinteressatamente delle responsabilità, o ancora nelle vittorie che si conseguono; ma altresì nell’esperienza delle cadute o della “morte quotidiana”, nelle speranze più intime che si coltivano, nello sguardo globale sulla vita che ne intuisce la positività pur senza poterla dimostrare...
Questo libro vuole essere un'introduzione alla vita spirituale, a una vita radicata in Dio. Rispondendo alle sfide odierne della frenesia, della nostalgia insoddisfatta e della ricerca di senso, propone un'esistenza pacata, riflessiva e autocritica, animata dallo Spirito di Dio e orientata a Gesù Cristo secondo le Scritture - e nondimeno un'esistenza reale, che si svolge nel mondo contemporaneo, nella quotidianità, nella società plurale. L'autore, già direttore spirituale del Seminario di Lucerna, individua con lucidità a tale scopo gli ostacoli da superare, enuclea i presupposti concreti e gli atteggiamenti fondamentali (vigilanza e ascolto, disponibilità a imparare, un ritmo adatto e una base solida su cui costruire...). Presenta poi percorsi pratici (prevedendo opportunità di meditazione, di preghiera, di ritiri ed esercizi spirituali...) e getta lo sguardo sul patrimonio spirituale delle grandi religioni non cristiane. Al termine del percorso, Leimgruber riprende infine alcune orazioni tradizionali, tratte dalla liturgia e da autori cristiani, corredandole di brevi e intensi commenti. «Questa piccola introduzione, frutto dell'esperienza personale e della pratica dell'accompagnamento spirituale, mette a disposizione una "cassetta degli attrezzi" per percepire il soffio dello Spirito in un mondo secolare» (Stephan Leimgruber)
Con Dio intratteniamo spesso dei rapporti contrattuali. Quando, nella vita, ci capita qualcosa che "non era nel contratto", fatalmente perdiamo ogni fiducia in questo Dio del dare-e-avere cui avevamo affidato tutto perché, da Supremo Garante, ci proteggesse magicamente da tutto. Allora ci abbandoniamo al lamento: perdiamo la voglia di vivere spensierati, perché ci sentiamo minacciati da ogni parte. Intrecciando finemente racconto personale, meditazione teologica e rilettura spirituale del libro di Giobbe, Marion Muller-Colard fa balenare una fede intesa come audacia. Rileggendo la propria esperienza al capezzale del figlio, incita ad andare - oltre i sistemi rassicuranti - alla ricerca di una grazia incarnata nell'esistente. Perché Dio ha un altro volto. È l'Incommensurabile. È esigente. Con noi circoscrive il caos a favore della vita, ma non ci dispensa dalla vulnerabilità. Dio cerca chi lo ama per nulla, non per contratto. «Quel Dio "gonfiato" a cui Giobbe ed io avevamo affidato la nostra vita, nell'entusiasmo di una giovinezza colma di promesse, si era come "sgonfiato". E, con Giobbe, dovevo tenere in mano per molto tempo la pelle morta di quel Dio, come un indizio sulla via di un altro Dio» (Marion Muller-Colard).
Nell'attuale temperie culturale fatichiamo a comprendere la fede cristiana nella risurrezione. Che cosa intendiamo esattamente quando, per esempio, del nostro destino ultimo diciamo che è quello di risorgere dai morti? André Paul svolge, da storico, da biblista e da teologo, uno scavo accurato sulle origini e gli sviluppi di questa nozione. Sin dalla notte dei tempi, l'essere umano, alla ricerca del senso ultimo della sua sorte mortale, si è figurato un oltrevita, un aldilà. E non ha mancato di attribuire una immortalità a quella parte si sé che percepiva come incorruttibile: l'"anima". In una fase successiva la sua riflessione ha avuto accesso al concetto di risurrezione - non più dell'anima, ma del corpo -, che diventerà un elemento assiale del sistema cristiano. Oggi questa credenza si confronta con nuove fantasticherie di immortalità (come l'utopia transumanista): mentre vorremmo pianificare un'umanità "aumentata", in fondo noi non facciamo altro che perpetuare una ribellione verso il corpo e i suoi limiti. Quello stesso corpo che la risurrezione vuole però "trasfigurato", e in una forma così ardita che soltanto la fede davvero visionaria è in grado di prospettare. Un saggio chiarificatore che scommette sull'aldilà promesso in Cristo, tanto quanto sulla portata universale (e umanizzante!) del corpo risorto, delineando un messaggio teologico pregiato e più attuale di quanto non si pensi.