
«Che libri leggi? Che film hai visto? Che musica ascolti? Quali oggetti acquisti, e di quali senti di non poter fare a meno? Cosa mangi, e che rapporti hai con la medicina, con la scienza? Quali vestiti indossi? E che mi dici della politica? Credi in Dio? Ti soddisfa il mondo così com'è, o vorresti cambiarlo? E hai fiducia che possa essere cambiato?». Un padre nato negli anni Cinquanta tempesta la figlia venticinquenne con domande pressanti, talvolta invadenti, ma sempre animato dalla voglia incontenibile di conoscere i suoi interessi, le sue scelte di vita, i suoi dolori e le sue speranze e, attraverso di lei, quelli della generazione dei cosiddetti «millennials», dai quali sente di essere diviso da una voragine psicologica e culturale. Le risposte che riceve lo lasciano dubbioso, a volte incredulo, recalcitrante e persino adirato, ma non spengono il suo desiderio di capire come va il mondo di adesso, quale direzione ha preso, con quale linguaggio parla, con quali immagini si emoziona. E così, per farsene un'idea più chiara, si ritrova a rubare brandelli di conversazione, a scavare nei ricordi, a spiare gergo, gesti e gusti, a scrutare comportamenti e rituali collettivi (la figlia in compagnia degli amici) che spesso precludono ogni genere di dialogo. Alla fine scoprirà che le tante, drastiche differenze (l'abbandono completo dei giornali, la sacralità della «natura» contrapposta alla scienza e alla tecnica, il diverso valore attribuito alla medicina, la preferenza accordata all'erboristeria rispetto alla farmacia, il ruolo centrale assunto dalla qualità del cibo e dalla cura del corpo, il culto del vintage), al pari delle insospettabili affinità (l'amore per i libri, ancora intatto nonostante certe statistiche, o la passione per la musica, per il cinema e per i musei, sia pure virtuali), descrivono una realtà in cui tutto muta a una velocità forsennata. Eppure qualcosa resta, anche se non sempre sappiamo riconoscerlo fino in fondo. Nel suo spiritoso e autoironico racconto di cose vissute, che ruota attorno a un sapiente intreccio di sfera personale e sfera pubblica, Pierluigi Battista è un padre che non sale in cattedra, ma si sforza di ascoltare i pensieri e le ragioni della figlia Marta, senza però mai mancare di far sentire la sua voce quando vede che alcuni valori essenziali di ieri rischiano di andare perduti nel grande cambiamento che sta rivoluzionando il mondo.
Lo spettro della fine degli studi classici si aggira fra noi da molto tempo. Ovunque, in Occidente, ci si dispera per il declino della fortuna del greco e del latino nelle scuole, per la chiusura delle facoltà di lettere antiche. Si vorrebbe addirittura che l'Unesco dichiarasse le lingue classiche «patrimonio dell'umanità», quasi fossero delle rovine preziose o una specie in via di estinzione. In questa decadenza, però, vi è qualcosa di paradossale: infatti, se da un lato i classici sono in declino «per definizione» (lo sono, cioè, da sempre), dall'altro sul loro destino il dibattito fra gli specialisti sembra non conoscere requie. E, soprattutto, sembra non lasciare alcuna speranza. Questo probabilmente perché continuiamo a guardare al mondo antico con rimpianto e nostalgia, o perché non riusciamo a liberarci dal timore di non poter preservare ciò che amiamo. Forse è la paura di veder svanire il fondamento della cultura occidentale. La nostra identità. Fare i conti con i classici ci invita a guardare alla cultura e alla storia greca e latina con occhi diversi. E a sottrarci al luogo comune secondo cui il dialogo con gli autori antichi sia un «dialogo con i morti». Innanzitutto perché studiare i classici significa confrontarsi non soltanto con la letteratura, la poesia, la filosofia, il teatro del mondo greco-romano, ma anche con tutti coloro che nel corso dei secoli li hanno affrontati, citati o ricreati. E poi perché in questo dialogo i veri interlocutori siamo noi. Noi che come ventriloqui diamo voce a ciò che gli antichi hanno ancora da dire, proiettiamo su di loro angosce e desideri, non smettiamo di interrogarli sui grandi temi-concetti-parole che da oltre duemila anni definiscono il nostro orizzonte culturale. E misuriamo senza posa la distanza che ci separa dal loro universo. Al quale, nonostante tutto, rimaniamo inevitabilmente legati. Perché la tradizione greca e latina non è qualcosa da imparare a memoria e declamare, ma è qualcosa con cui interagire e battagliare. Qualcosa che invita al confronto, all'avventura e alla sfida, nel tentativo di ritrovare quella connessione creativa capace di liberare tutta l'energia e la tensione di cui i classici sono ancora intrisi.
Il Duomo di Milano, simbolo della città e una delle cattedrali più maestose della Cristianità, con il suo tripudio di guglie che si slanciano verso il cielo, ha una storia lunga e affascinante che prese avvio nel lontano 1386, epoca in cui Milano era dominata dai Visconti. Nessun autore contemporaneo ne descrive un preciso «atto di nascita», ma numerosi documenti riportano la demolizione della vecchia chiesa di Santa Maria Maggiore e l'avvio dei lavori per la cattedrale: «del popolo» per alcuni - che attribuiscono l'iniziativa della nuova costruzione esclusivamente ai cittadini e al vescovo, per i quali erigere una chiesa monumentale, tale da mettere in ombra tutte le altre grandi chiese della regione, avrebbe dimostrato la centralità e la perdurante potenza della metropoli ambrosiana -, di Gian Galeazzo Visconti per altri, che testimoniano come egli non tardò a manifestare il proprio interesse e a dare il proprio importante appoggio, cercando di condizionare a suo favore l'attività del cantiere. La storia del Duomo è anche dunque la storia dei rapporti di potere che impastarono le sue fondamenta, e dei diversi protagonisti che animarono la vita dell'epoca: l'arcivescovo, i papi, una cittadinanza fiera che mal sopportava il proprio signore, le maestranze d'Oltralpe. Paolo Grillo, con uno stile godibile e una notevole ricchezza documentale, ci racconta in queste pagine i primi decenni di esistenza del Duomo, dagli scavi delle fondamenta - che si spinsero a grande profondità, fino a raggiungere i sei metri dal suolo -, alla ricerca dei marmi con la scelta del marmo di Candoglia, all'impresa dei Navigli, lungo i quali particolari barconi chiamati «plati» trasportavano le pesanti lastre di marmo dal Lago Maggiore al centro della città, dove venne predisposto un porto di scarico di cui oggi rimane traccia solo nella toponomastica. Studiare gli archivi della Fabbrica del Duomo, fondata solennemente il 16 ottobre 1387, significa però anche conoscere nel dettaglio aspetti di vita quotidiana delle maestranze, il succedersi degli architetti e il dibattito sulle diverse idee costruttive in un'epoca che vedeva le architetture svilupparsi in altezza in quello che verrà definito «stile gotico», e scoprire atti di generosità di persone sconosciute, che diedero il loro fondamentale contributo alla riuscita di un'opera che avrebbe cambiato per sempre il volto della città. Sullo sfondo, i grandi temi dei traffici commerciali, degli scambi tra la città e le campagne e il dramma della peste, in un quadro generale che delinea il passaggio dal Medioevo alla modernità.
«Ho sempre pensato che preparare un dolce fosse un gesto d'amore verso se stessi, ma soprattutto verso gli altri. Si rende felice qualcuno con pochi e semplici ingredienti, gli si dona un po' del proprio tempo, indipendentemente dal risultato o dal grado di esperienza. E regalare piccoli istanti di felicità è stato uno dei miei obiettivi fin da quando ho aperto il blog Ho Voglia di Dolce cinque anni fa. In questo libro c'è parte del mio mondo: ogni dolce racconta una storia, emozioni ed esperienze vissute... dai biscotti che mio nonno mi comprava da piccola, e che preparo quando ho bisogno di rilassarmi, alle colazioni amorevoli con cornetti e graffe della mia mamma. Ci sono i pomeriggi passati a preparare dolci per mia sorella e altri trascorsi con la nonna a sfogliare libri di cucina. Ci sono giorni intensi di studio e notti insonni di lavoro con mio marito Luca per dare vita a quello che oggi è un grande progetto, il mio, il nostro... e un po' anche il vostro. Ci sono i luoghi del cuore, i profumi della mia terra, i tanti viaggi che mi hanno arricchito l'anima e la cultura culinaria. Ci sono l'affetto e il supporto di tutte le persone a me più care e di quelle che hanno creduto in me. Ma ci siete anche voi, che mi scegliete ogni giorno, che mi spronate a dare il meglio e mi permettete di entrare nelle vostre case anche solo con un dolce, contribuendo a un piccolo momento di felicità. E adesso... mani in pasta, golosi! Pronti a seguirmi in questo dolcissimo viaggio?» (Valentina)
"Le leggi italiane sono imbevute di cultura cattolica. Dall'interruzione volontaria di gravidanza alla fecondazione assistita, al fine-vita, i dogmi confessionali hanno influenzato e continuano a influenzare le norme che dovrebbero regolare in modo laico il patto sociale fra le persone. Ciò che rende tutto ancora più assurdo è che la Bibbia non dice in proposito quello che comunemente si pensa." In questo libro scritto a quattro mani, Mauro Biglino e Lorena Forni elencano e analizzano alcune delle leggi italiane che contengono il "peccato originale" della confessionalità. Si tratta principalmente delle leggi che afferiscono alla sfera etica, condizionate dalla dottrina della Chiesa cattolica. Anzitutto, sostengono gli autori, uno Stato laico dovrebbe promulgare leggi laiche, evitando di imporre dogmi confessionali a chi non è interessato o respinge una dimensione di fede nella propria esistenza di libero cittadino, o a chi professa una diversa confessione religiosa. Ma ciò che gli autori rivelano e mettono in evidenza è che a leggere i testi sacri alla luce di una traduzione rigorosa e letterale, quegli stessi passaggi che sono stati usati dai legislatori per scrivere leggi sotto l'egida della morale cristiana, non ci si trova nulla di quelle prescrizioni e quegli indirizzi morali, che risultano piuttosto il frutto di personali interpretazioni. In "La Bibbia non l'ha mai detto", il complesso lavoro di scrittura dei due autori è ben sincronizzato: mentre la professoressa Lorena Forni passa al setaccio le leggi maggiormente influenzate dal cattolicesimo, Mauro Biglino propone la traduzione dei passi biblici "normativi" dimostrando, come è sua abitudine di profondo studioso, che le traduzioni diffuse nel mondo contemporaneo sono lontanissime dal vero senso letterale e sono, al contrario, una palese interpretazione dei teologi. Un libro che riscrive le fonti da cui discendono molti degli assunti morali che guidano la nostra società attraverso le leggi in vigore, e che si candida a diventare un autorevole e dirompente manifesto della laicità.
Un tempo il coraggio - nella sua accezione di ardimento fisico - era solo opera dell'umano, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma di mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po' come accade ora con la tecnologia: fino a trent'anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi. Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un'interfaccia umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi. E le umane virtù vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d'animo che vi è intrinsecamente connaturata stanno diventando sempre più un'astrazione virtuale, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola, giovani accecati dal presente e vecchi incartapecoriti nel ricordo. Per fronteggiare «la più grande urgenza sociale odierna», Paolo Crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei «nativi digitali» che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica un «ipotetico inventario» di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell'esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare...). Un inventario concepito come un'associazione di idee, un 'brain-storming', un esercizio utile per stimolare adulti e non ancora adulti a ritrovare la forza della sfacciataggine e la capacità di resistenza che la vita ogni giorno ci chiede. Ma in queste pagine Crepet parla soprattutto di un'altra e più ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, se non vogliamo che siano altri a inventarlo per noi; quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni; quella che tutti devono scovare in se stessi per iniziare un rinascimento ideale ed etico. Perché, alla fine, il coraggio è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro.
Testo complesso e radicale, Essere e tempo (1927) non è solo il libro cui si deve principalmente la fama di Martin Heidegger, maestro dell'esistenzialismo, ma è soprattutto una delle opere più importanti della filosofia del Novecento: si propone infatti una reimpostazione di tutta la ricerca filosofica, dalla nascita stessa della filosofia fino al tempo presente. Poiché la domanda sull'essere è tipica dell'uomo e solo l'uomo se la pone, si tratta per Heidegger di analizzare in primo luogo l'"esserci" dell'uomo, con l'effetto di approdare a una riconcettualizzazione dell'intero lessico ereditato dalla tradizione filosofica, da Platone a Hegel.
«A un certo punto Marta mi prese la mano e mi confessò: "Nulla mi fa più felice che aiutare il prossimo, Christian. Credo che sia doveroso far qualcosa in più per sostenere chi ha bisogno. Mi sta girando nella testa un'idea: un viaggio itinerante in Italia per raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie rare. Sarebbe anche un modo per farle conoscere alla gente". La sua mano mi trasmetteva un'incredibile energia, i suoi occhi erano colmi d'amore, l'amore per il prossimo.» Christian Cappello e Marta Lazzarin sono una giovane coppia all'apice della felicità: insieme hanno girato il mondo, insieme hanno creato un coinvolgente lavoro nella new economy e costruito la loro casa. E ora aspettano il loro primogenito di cui hanno già deciso il nome: Leonardo. Tutto procede per il meglio, ma all'improvviso Marta muore in modo fulminante. E con lei se ne va anche il bambino che porta in grembo. Dopo settimane di sorda disperazione, Christian si ritrova a camminare lungo un sentiero, come in trance, per diverse ore. Quando rientra in sè, sente di essere preda di un'insolita euforia fisica e di una nuova consapevolezza: il progetto che Marta gli aveva accennato a Natale - aiutare le persone colpite dalle malattie rare - sarà anche quello della sua rinascita. Christian fonda quindi la onlus Marta4kids e si mette in cammino. Impiegherà quasi un anno per visitare di persona i ventisette centri di ricerca sulla fibrosi cistica sparsi in tutto il territorio italiano. Camminerà a costo zero, raccogliendo soldi per la onlus e ospitalità per sé. Incontrerà migliaia di persone, malati di ogni tipo, familiari, medici, giornalisti, sindaci e semplici curiosi. A tutti racconterà che il senso della vita, anche quando è la vita stessa ad apparire ingrata e ingiusta, è l'amore per gli altri: l'ultima, semplice lezione di Marta. Questo libro è il diario di una avventura vera, partita da Bassano il 2 aprile 2016 e continuata per oltre quattromila chilometri di eccezionale solidarietà.
Ha mille nomi e mille volti, ma nessuno l'ha mai visto veramente in faccia. È ovunque, ma in pochi se ne accorgono. È spietato, ma affascinante. È pericoloso, ma inevitabile. Seduce e conquista. Contro di lui o si vince o si perde. Non lascia scampo. Anche nell'epoca degli smartphone e della globalizzazione il diavolo esiste. Lotta, sussurra e vive in mezzo a noi. La Chiesa lo chiama per nome e contro di lui ha giurato battaglia. Una battaglia senza tregua, all'ultimo sangue, che si combatte ogni giorno sulla pelle degli indemoniati. Una battaglia che David Murgia ci racconta da queste pagine, in un viaggio oltre le nuove frontiere dello spiritismo, verso mondi bui e paralleli, confortato da testimonianze e documenti che svelano luci e ombre dell'esistenza del Nemico e della forza della Grazia.
L'approccio della scuola senza zaino è una rivoluzione pedagogica e didattica che mette al centro il bambino, la sua indipendenza e autonomia, e lo aiuta a sviluppare la sua creatività e la sua responsabilità nello studio come nella vita. Ideato quindici anni fa da Marco Orsi, questo metodo si ispira anche agli ideali di Maria Montessori ed è in linea con le ricerche più recenti sulle pratiche didattiche efficaci. Si è fatto strada nella scuola pubblica coinvolgendo, istituto dopo istituto, 328 scuole in tutta Italia. Propone per esempio il rispetto come alternativa al sistema dei premi e delle punizioni, che induce i bambini ad "accontentare" le aspettative dell'adulto anziché seguire le proprie autentiche disposizioni interiori. Oppure i compiti di realtà, attività in grado di avvicinare gli studenti fin da piccoli a situazioni da grandi e comunque utili alla vita sociale. Questo libro si rivolge non solo agli insegnanti ma anche ai genitori, per suggerire un nuovo approccio alla gestione della vita scolastica dei propri figli, dai voti ai compiti a casa. E aiutarli, grazie a esempi concreti e consigli e attività pratiche, ad accompagnare i bambini in un percorso che li renda davvero grandi. "Educare alla responsabilità è aiutare le nuove generazioni a prendere via via in mano il proprio destino, la propria vita, sapendola orientare verso un orizzonte particolare, unico, che diventa risposta originale alle caratteristiche che ciascuno possiede. E prendere in mano la propria vita significa dispiegare al meglio talenti e potenzialità, avere l'ambizione di dare corpo ai sogni percorrendo strade inedite, senza lasciarci abbacinare da itinerari consueti, magari facili e rassicuranti, anche perché poco impegnativi, ma incapaci di rispondere a quel bisogno di originalità che ognuno di noi si porta dentro".