
"Un giorno del 1999, in un improvviso istante di presenza, mi sono accorto che dietro di me restava ben poco di ciò che credevo di essere stato fino ad allora. Ho quindi iniziato a cercare, a osservare, a studiare, a pormi domande. È stato in quell'istante che il mio cuore si è aperto a un'emozione nuova... Sono queste microscopiche pillole di consapevolezza che vorrei ora condividere con te." Esperto di marketing, comunicazione e innovazione, ma anche marito innamorato e padre felice di cinque figli, Oscar di Montigny affida a queste pagine una serie di riflessioni maturate in anni di esperienze sia personali sia professionali, di incontri significativi con personalità fra le quali Tara Gandhi, il Dalai Lama, Lech Walesa, Gorbacëv, Patch Adams, fino ad arrivare a fissare i principi di quella che è stata da lui definita "Economia 0.0": fare del bene e farlo bene, fare della propria vita un dono e fare di questo dono qualcosa di significativo per l'insieme. Un'economia sostenibile che esprima la capacità di esistere insieme, nella relazione col tutto e non soltanto come parte a sé stante. Un'economia basata sul capitale creativo culturale, fondata su trasparenza, gratitudine e responsabilità. E soprattutto sull'Amore, che lui ha definito "l'atto economico per eccellenza".
Dopo aver contribuito con i suoi due memoir a diffondere una nuova cultura sull'inclusione sociale delle persone neurodiverse, Gianluca Nicoletti compie ora un inaspettato salto avanti. Visto che tra le poche certezze che la scienza ha sull'autismo c'è quella della componente ereditaria, Nicoletti si sottopone a una serie di test neurologici per stabilire se anche lui è autistico e in quale percentuale, e la risposta è positiva. "Figlio di suo figlio", Nicoletti ammette che è merito di Tommy se oggi lui ha la cognizione di quanto sia limitata una società abbarbicata sulle proprie certezze e incapace di tollerare "cervelli ribelli". E analizza la recente paura collettiva basata sulla superstizione che i vaccini facciano diventare autistici, mostrandoci come in realtà temiamo ciò che è diverso perché è destabilizzante. Il mondo futuro, però, tra relazioni mediate dalla tecnologia e abbattimento di strutture affettive tradizionali e rassicuranti, sembra destinato a essere proprio a misura di autistico ad alto funzionamento.
«Degli anni speciali dell'infanzia, quando trascorrevo le estati sul lago o in campagna, conservo ancora l'immagine dei faggi secolari piantati dal bisnonno e il profumo dei prati falciati. Lì ho imparato a distinguere un rododendro da un'azalea, come si pota una siepe, come si semina nel semenzaio, quando è tempo di riparare i vasi nella serra, come si rastrella la ghiaia. Lì ho vissuto i primi momenti di libertà totale.» Animato da questo amore precoce e mai tradito per la natura, l'architetto paesaggista Marco Bay ha scelto di dedicare la propria vita alla creazione di giardini, arricchendo piazze e cortili, case di campagna e palazzi di varie regioni italiane con gli innumerevoli cromatismi del mondo vegetale. Anziché sulla carta, infatti, Bay preferisce disegnare sulla terra, affrontando la grande sfida di tracciare segni che, in perfetta sintonia con il panorama, contribuiscano a completarlo e valorizzarlo, suscitando emozioni forti e rigeneranti in chi godrà della sua vista. L'apparente semplicità e naturalezza dei suoi sorprendenti progetti - fra i più noti, l'Hangar Bicocca e le aiuole di palme in piazza Duomo a Milano - è in realtà il frutto di un'incessante ricerca illuminata da alcune idee guida: imparare a «vedere» il paesaggio che ci circonda, capire la natura del terreno e interpretare i bisogni di ogni pianta affinché possa crescere sana e robusta anche in un habitat fortemente antropizzato. Disegnare con gli alberi racconta la meravigliosa «fatica» di immaginare e costruire spazi verdi in luoghi dove il verde è trascurato, oltraggiato, bandito, e insegna a giocare con piante e fiori, e a scegliere e combinare, nell'infinita varietà delle loro forme, sfumature e trasparenze, quelli più adatti a esprimere la propria personale idea di armonia. Dalla magia del momento in cui l'idea progettuale viene concepita fino alla messa a dimora delle piante scelte con cura nei vivai, passando per lo studio scenografico del giusto contrappunto di luci e ombre, queste pagine, impreziosite da disegni dell'autore, testimoniano di un processo creativo del tutto particolare: la genesi di opere d'arte viventi, destinate a cambiare e a rinnovarsi - come gli esseri umani - giorno dopo giorno e stagione dopo stagione.
Autorevoli studi scientifici hanno da tempo appurato che nell'insorgenza di numerose malattie neurodegenerative, come la demenza precoce o senile, il ruolo della genetica è assai meno significativo di quanto si pensasse: per la grande maggioranza della popolazione, infatti, molto più rilevanti come fattori di rischio sono svariate patologie e lo stile di vita, comprese quindi le abitudini alimentari. Ma se il benefico effetto di una corretta alimentazione sullo stato di salute psicofisica generale è ormai un dato acquisito, ancora poco noti sono i suoi specifici influssi sull'attività cerebrale. Per colmare tale lacuna, la neuroscienziata e nutrizionista Lisa Mosconi ha elaborato i risultati delle più recenti ricerche nel campo della prevenzione dell'Alzheimer, giungendo a sfatare molti luoghi comuni sui cibi che fanno bene (o male) al cervello e a proporre un percorso alimentare innovativo che, oltre a migliorare le performance cognitive, riduce il rischio di cardiopatie, diabete e disfunzioni metaboliche. In un linguaggio semplice ed empatico, l'autrice espone le tre «mosse» vincenti per massimizzare l'energia cerebrale e ritardare il più possibile il deterioramento delle facoltà cognitive: 1) capire di quali nutrienti necessitano le cellule cerebrali, 2) scoprire quali cibi ne contengano la maggiore quantità e 3) osservare alcune raccomandazioni elementari. E se anche in questa dieta ad hoc per il cervello sono presenti ovviamente divieti e limitazioni, non mancano le piacevoli sorprese, come l'opportunità di esplorare nuove combinazioni di sapori grazie a una serie di ricette che spiegano come cucinare piatti gustosi e leggeri, o il ricchissimo test, articolato in 80 domande, che consente a ogni lettore di verificare quanto il proprio stile alimentare sia lontano da quello ideale e prendere i dovuti provvedimenti. Perché, una volta resi consapevoli da queste pagine dell'importanza della posta in gioco - potenziare le capacità mentali nel lungo periodo, minimizzare i vuoti di memoria, prevenire il declino cognitivo, ridurre il rischio di Alzheimer -, le rinunce a tavola non verranno vissute come dolorosi sacrifici, ma come uno dei modi più concreti e adulti di volersi bene.
È un'ipertrofia dei diritti ciò che spiegai, il declino italiano: questa la diagnosi di Alessandro Barbano, direttore del «Mattino». Si tratta di un virus che ha infiltrato il discorso pubblico e da decenni blocca ogni tentativo della politica e della società di riscattarsi. Certo, in passato i diritti individuali sono stati il carburante che ha alimentato la nascita, la crescita e l'affermarsi delle democrazie a scapito di assolutismi e di totalitarismi. Ma quando quei diritti sono diventati princìpi guida delle società, è emerso anche il loro lato oscuro, favorito oggi dallo sviluppo di innovazioni tecniche che aprono inedite prospettive. Proprio la visione di queste nuove possibilità amplia lo spazio delle aspirazioni del singolo e dei gruppi, facendo perdere di vista il limite etico insito nel concetto stesso di libertà. È ciò che si definisce «dirittismo», malattia che esibisce un sintomo ormai sotto gli occhi di tutti: la crisi della delega, ossia la rinuncia a qualsiasi mediazione tra gli interessi di uno o di pochi e quelli di tutto il corpo sociale. È accaduto nel campo politico, dove il dirittismo si è tradotto in aperta diffidenza nella classe dirigente e nel diffuso astensionismo; nel campo del sapere, dove manca il criterio della meritocrazia; e nella sanità, dove vale per tutti l'esempio del movimento contro i vaccini. E, altrettanto grave, è accaduto nel campo dei media, dove strumenti come Internet, Facebook, Twitter hanno scalzato la mediazione della carta stampata, stravolgendo spesso il messaggio veicolato. La combinazione di diritti e tecnica si è così tramutata in un fattore di indebolimento e disgregazione della stessa democrazia. Quello di Barbano è un viaggio nel pensiero di un Paese tradito dalla libertà, in cui nessuna élite ha più il coraggio di dire il vero e di fare i conti con minoranze organizzate sotto la bandiera dei diritti acquisiti. Dal palazzo alla piazza, dai giornali alla Rete, dalla scuola alla giustizia, il discorso pubblico non è più al servizio della democrazia. "Troppi diritti" intende raccontare come ciò sia accaduto e che cosa fare per uscire da una simile crisi epocale.
Venezia, 1755. Giacomo Casanova è tornato in città, e il precario equilibrio su cui si regge la Repubblica, ormai prossima alla decadenza, rischia di frantumarsi e degenerare nel caos. Lo scenario politico internazionale è in una fase transitoria di delicate alleanze e il disastroso esito della Seconda guerra di Morea ha svuotato le casse della Serenissima. Il doge Francesco Loredan versa in pessime condizioni di salute, e l'inquisitore Pietro Garzoni trama alle sue spalle per ottenere il consenso all'interno del Consiglio dei Dieci e influenzare così la successione al dogado. Il suo sogno proibito è arrestare il seduttore spadaccino, e per far questo gli mette alle calcagna il suo laido servitore Zago. Rubacuori galante e agile funambolo, Casanova entra in scena prendendo parte a una rissa alla Cantina do Mori, la più antica osteria della laguna, per difendere una bellissima fanciulla, Gretchen Fassnauer, apparsa a consegnargli un messaggio: la contessa Margarethe von Steinberg vorrebbe incontrarlo. La nobile austriaca intende sfidarlo a una singolare contesa: se riuscirà a sedurre la bella Francesca Erizzo, figlia di uno dei maggiorenti della città, allora lei sarà sua. Casanova accetta, forte del suo impareggiabile fascino. È l'inizio di una serie di rocambolesche avventure che lo porteranno ad affrontare in duello Alvise, il focoso spasimante di lei, uccidendolo. Il guaio più serio e inaspettato è però un altro: Casanova, per la prima volta, si innamorerà davvero. Le fosche macchinazioni dell'inquisitore avranno successo e Giacomo verrà incarcerato ai Piombi, mentre Francesca finirà murata in convento. Con il cuore spezzato, Casanova nutrirà il sospetto che l'intera vicenda sia stata architettata dalla diabolica contessa per toglierlo di mezzo. Evaso, si metterà sulle sue tracce e, fra inseguimenti, imboscate e intrighi notturni, arriverà ad affrontarla in un ultimo faccia a faccia mozzafiato: scoprirà di essere stato pedina in un gioco di spie fra Venezia e l'Impero Austriaco e infine si troverà ad accettare a sua volta un incarico della massima segretezza. Fra canali immersi nella bruma e palazzi patrizi di sfolgorante bellezza, si staglia una Venezia settecentesca mai così seducente e spietata: Matteo Strukul fonde magistralmente il feuilleton d'avventura con gli intrighi amorosi del romanzo libertino, e lo fa attraverso un appassionante intreccio di ricostruzione storica e invenzione, con un'ambientazione straordinaria, riccamente animata di personaggi dell'epoca, da Giambattista Tiepolo a Carlo Goldoni, da Federico di Prussia a Maria Teresa d'Austria, restituendoci in modo potente, originale e modernissimo lo spirito del tempo.
"Arturo si era convinto di potere una vita speciale, ma poi non muoveva passi, verso l'ignoto, per paura di una vita vera. Il risultato era una vita fasulla, come quella delle formiche inoperose." E da dieci anni che Arturo non sale su un tram. L'ultima volta che lo ha fatto era un giovane attore di belle speranze e andava a incontrare una ragazza perfetta e misteriosa, con il nome di un'isola, quella leggendaria di Platone: Atlantide. Ma il destino cancella il loro appuntamento e, da lì in poi, niente andrà come doveva andare. Oggi Arturo è un quarantenne tormentato da mille paure. Mentre attorno tutto si muove, lui resta fermo, immobile, come un divano rimasto con la plastica addosso in quelle stanze in cui non si entra per paura di sporcare. Quando sale sul tram 14, che da Porta Maggiore scandisce piano tutta la Prenestina, ha un cappellino in testa per nascondere i pensieri scomodi e nella pancia il peso rumoroso dei rimpianti. E mentre i binari scorrono lenti, in una Roma che si risveglia dall'inverno, e la gente sale e scende, ognuno con la sua storia complicata appesa al braccio come una ventiquattrore, Arturo, che nella sua vita sbagliata ha sempre aspettato troppo, fa i conti con il passato, cercando il coraggio di prenotare la sua fermata. Perché nel posto in cui sta andando c'è forse l'ultima possibilità di ricominciare daccapo, e di prendersi quel futuro bello da cui lui è sempre scappato.
Al centro di questo romanzo ci sono tre vite, tre visioni del mondo, tre modi diversi e complementari di sopravvivere alla contemporaneità. Il loro spazio è la Albecom, azienda informatica che sorge alla periferia di Marghera; l'ha fondata, ancora giovanissimo, Alberto, "trentaquattro anni, apprezzata abilità nell'assemblare mobili Ikea, una passione per la buona tavola e il culto della chiarezza". Tra i programmatori che lavorano per lui c'è Luciano, con cui Alberto condivide l'amore per internet fin dai tempi del liceo. Ma, a differenza dell'amico, Luciano si trova a suo agio dietro le quinte: schivo e paralizzato dalla propria scarsa avvenenza, si rifugia nel lavoro e nel rifocillamento dei gatti randagi di Marghera, tormentato solo, di tanto in tanto, dal desiderio di avere qualcuno da rendere felice. A completare il triangolo c'è Giorgio, il pre-sales dell'azienda, procacciatore di nuovi clienti: "percorso da un brivido di elettricità sempre", tiene nel cruscotto della macchina L'arte della guerra di Sun Tzu, che consulta come un oracolo. E così, mentre Luciano allaccia con Matilde, barista della tavola calda di fronte alla Albecom, un'amicizia presto caricata di nuove speranze e Giorgio riceve una proposta sottobanco da un vecchio collega, le giornate dei tre amici si intrecciano in un groviglio di segreti e tradimenti che si dipana tra la provincia veneta e le città di mezza Europa e che li costringerà, infine, a compiere scelte sofferte e decisive. Francesco Targhetta, già protagonista di un piccolo caso letterario con il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie, si cimenta ora nell'impresa ambiziosissima di ritrarre il nostro presente in continuo divenire, attraverso lo sguardo di un gruppo di trentacinquenni che – con un piede intrappolato nel mondo del web e uno ben piantato nei sobborghi in cemento di quello reale – cercano timidamente di costruirsi un futuro. Per mezzo di una prosa esatta e al tempo stesso intima, crepuscolare, questo romanzo si interroga su cosa stiano diventando le nostre vite, deviate e attratte ogni giorno da mille potenzialità, e su cosa potremmo diventare noi, chiamati insieme al dovere di essere felici e a quello di accelerare sempre di più la velocità del mondo.
La Grande Guerra non ha eroi. I protagonisti non sono re, imperatori, generali. Sono fanti contadini: i nostri nonni. Aldo Cazzullo racconta il conflitto '15-18 sul fronte italiano, alternando storie di uomini e di donne: le storie delle nostre famiglie. Perché la guerra è l'inizio della libertà per le donne, che dimostrano di poter fare le stesse cose degli uomini: lavorare in fabbrica, guidare i tram, laurearsi, insegnare. Le vicende di crocerossine, prostitute, portatrici, spie, inviate di guerra, persino soldatesse in incognito, incrociano quelle di alpini, arditi, prigionieri, poeti in armi, grandi personaggi e altri sconosciuti. Attraverso lettere, diari di guerra, testimonianze anche inedite, "La guerra dei nostri nonni" conduce nell'abisso del dolore. Ma sia le testimonianze di una sofferenza che oggi non riusciamo neppure a immaginare, sia le tante storie a lieto fine, come quelle raccolte dall'autore su Facebook, restituiscono la stessa idea di fondo: la Grande Guerra fu la prima sfida dell'Italia unita; e fu vinta. L'Italia poteva essere spazzata via; dimostrò di non essere più "un nome geografico", ma una nazione. Questo non toglie nulla alle gravissime responsabilità, che il libro denuncia con forza, di politici, generali, affaristi, intellettuali, a cominciare da D'Annunzio, che trascinarono il Paese nel grande massacro. Ma può aiutarci a ricordare chi erano i nostri nonni, di quale forza morale furono capaci, e quale patrimonio portiamo dentro di noi.