
Nel primo volume della trilogia che ci accompagnerà lungo cento anni di storia, "Il volo delle aquile", le vicende degli orfani Acevedo si mescolano con le avvincenti evoluzioni di un secolo, il Cinquecento, che vedrà l'affermarsi della dinastia degli Asburgo. In seguito alla scomparsa prematura di tutta la discendenza maschile della dinastia castigliano-aragonese, e in particolare dopo la morte del padre Filippo il Bello e l'infermità della madre Giovanna di Castiglia - creduta da tutti pazza -, a diciannove anni Carlo V si trova a capo "di un impero che non si era mai visto neppure ai tempi di Carlo Magno". Ed è proprio al volgere del secolo che la vita dei fratelli Acevedo cambia per sempre, quando, una notte, i genitori vengono barbaramente assassinati in casa. A prendersi cura di loro da piccoli sarà la zia Angela, cugina di Isabella di Castiglia, sovrana di Spagna e madre di Giovanna. Davanti all'ingiusta prigionia di Giovanna - imposta prima dal marito (le infedeltà del quale sono la vera causa delle crisi di nervi della donna), poi dai genitori - Manuela, nel frattempo diventata sua damigella e confidente, si convincerà che una vita tranquilla, al riparo dalla passione, sia la scelta migliore. In realtà sia lei sia i suoi fratelli, Gabriel, Octavia e Sofia, tutti destinati ad accasarsi nelle migliori corti d'Europa, scopriranno presto che all'amore non si sfugge, e proprio l'amore rappresenterà per alcuni di loro un destino tragico. Mentre i segreti di famiglia a poco a poco vengono a galla, rivelando sconcertanti verità, sui campi di battaglia soccombono eroi come il leggendario Giovanni dalle Bande Nere, e intorno ai nostri quattro testimoni d'eccezione la Storia dispiega le sue consolidate geometrie: matrimoni d'interesse celebrati al solo scopo di rinsaldare alleanze politiche, sovrani capaci di tramare alle spalle dei loro eredi, principesse costrette a sposarsi giovanissime con uomini capricciosi e rapaci.
Siamo nel maggio del 1385, a Cotignola, in Romagna. Uno dei più spietati capitani di ventura che in quegli anni circolasse in Italia sceglie di sostare con la sua truppa su un incolto terreno a pascolo, poco distante da una cascina. A rispondergli, eccitato e disorientato, è il non ancora sedicenne Giacomo Attendolo, per tutti Giacomuzzo, anzi Muzio. Fantasticando su un futuro fatto di battaglie, soldi e conquiste, il giovane contadino accetta la proposta di ingaggio. Come poteva immaginare che con quella sua decisione stava, di fatto, dando origine a una delle più celebri dinastie del Rinascimento? Sì, perché Muzio Attendolo - soprannominato «Sforza» per la sua prestanza fisica - dopo essersi messo al servizio dei Visconti e di città come Perugia e Firenze, avrà una vita avventurosa, mogli, amanti e figli, tra cui Francesco, il primogenito, che nel 1450 diventerà signore di Milano. Restando fedele alle date, ai luoghi e ai fatti storici, ma con scrittura gustosa nei dettagli e felicemente narrativa, Carlo Maria Lomartire ci racconta non solo le vicende umane e sentimentali che ruotano intorno ai principali protagonisti della famiglia Sforza ma anche un'intera epoca, piena di rivolgimenti politici e di trasformazioni sociali: sta per concludersi la guerra dei Cent'anni, i Comuni e l'età medievale lasciano spazio alle Signorie, a Roma papa Pio II lancia la crociata contro i Turchi, la pace di Lodi garantisce una tregua tra gli Stati della penisola. Intraprendente e ambizioso, amico di Cosimo de' Medici, Francesco Sforza farà di Milano una città dinamica e moderna, costruendo, sulle macerie di quello visconteo raso al suolo dai milanesi, il castello di Porta Giovia (l'attuale Castello Sforzesco) nonché il più grande ospedale pubblico d'Europa, la Ca' Granda. Al suo fianco la moglie, Bianca Maria Visconti, donna volitiva e intelligente, che avrà un ruolo tutt'altro che marginale nella gestione delle alleanze politiche del Ducato. Se è vero, come ha scritto qualcuno, che «la storia è sempre contemporanea», nelle appassionate e turbolente vicende degli Sforza, nelle spietate lotte tra fazioni, negli intrighi di corte come nelle gesta eroiche degli uomini e delle donne descritte in queste pagine, il lettore potrà ritrovare non poche delle caratteristiche, delle grandezze e delle miserie, dei pregi e dei difetti dell'Italia di oggi: allora come adesso magnifica e cinica, geniale e crudele.
Riuscire a stare al passo con l'evoluzione delle tecnologie digitali sembra essere diventata una corsa contro il tempo. Molte idee che solo quindici anni fa sembravano fantascienza sono ormai una realtà: le macchine eseguono mansioni complesse in tempi sempre più rapidi, flotte di droni sono impiegate per le consegne a domicilio, e le automobili a guida autonoma stanno per fare il loro ingresso sul mercato. Le ricerche sull'intelligenza artificiale lavorano alla messa a punto di software in grado di sfuggire al controllo umano, e la realizzazione di una «superintelligenza» completamente autonoma non è lontana, tanto che sono in molti a essersi pronunciati sugli eventuali rischi legati all'utilizzo di dispositivi dotati di una qualche forma di consapevolezza, una delle qualità più sofisticate ed esclusive della mente umana. Da sempre interessato all'impatto della tecnologia digitale sulla società e sulla vita di tutti noi, Philip Larrey, docente di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, ha avuto la possibilità di conversare con alcuni dei protagonisti della «quarta rivoluzione industriale» per approfondire il ricco e controverso dibattito sull'era digitale. Big data, privacy, sicurezza, etica e lavoro sono solo alcune delle questioni affrontate dai quindici intervistati, tra cui figurano Eric Schmidt, amministratore delegato di Alphabet, Carlo D'Asaro Biondo, presidente delle relazioni di Google per l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa, e Maurice Lévy, direttore di Publicis Groupe. I filosofi, ingegneri, giornalisti, pubblicitari e piloti presenti in questo libro offrono considerazioni complesse e articolate, provocatorie, a tratti inconciliabili, ottimistiche o sfiduciate sulla tecnologia digitale e i suoi utilizzi. Il filo rosso che unisce i singoli interventi sembra però suggerirci che la direzione verso cui scegliamo di procedere dipende esclusivamente dalla nostra volontà. Più che offrirci delle risposte, dunque, "Dove inizia il futuro" ci consegna gli strumenti per porre le giuste domande a un mondo in costante cambiamento e riuscire a comprendere l'epoca in cui viviamo.
Qualunque cosa sia la felicità, è accanto a te o, per essere ancora più precisi, dentro di te. Tu però non lo sai: non la riconosci e per di più la immagini distante e difficile da raggiungere. E così rinunci, lasci perdere, ti adagi, ti adegui e poco alla volta la vita perde colore, sapore e odore. La strada per la felicità è in realtà molto più breve e semplice di quello che comunemente crediamo. A farcela sembrare lunga e difficile sono i pregiudizi e i luoghi comuni su noi stessi e sulla vita, pregiudizi che assorbiamo dall'esterno e che accettiamo passivamente. Fin da quando eravamo piccoli ce ne hanno propinati di tutti i tipi. Questo libro raccoglie i più diffusi - che sono nel contempo i più pericolosi e i più difficili da estirpare - e li analizza brevemente affinché ciascuno possa capire quanto certe presunte verità granitiche siano in realtà inconsistenti, e come terribili spauracchi che ci hanno tenuto in scacco per anni si rivelino, a un veloce esame, mostri di fumo, da spazzare via con un semplice soffio. E fornisce consigli pratici per aiutare ciascuno a muoversi in autonomia verso il benessere. Ecco allora che le cose si possono chiamare con il loro vero nome, che il dolore ha un senso, che ogni giorno può portare i suoi frutti, che le soluzioni vengono a galla, i problemi trovano la giusta collocazione, i talenti emergono, la spontaneità prende il posto del calcolo, i rapporti si animano, i sentimenti si liberano dalla patina uniforme e triste dei conformismi. E il cuore può battere al suo ritmo.
Se, come dicono i mistici ebraici, il silenzio è la voce con la quale Dio parla all'uomo, la grande letteratura è la voce con la quale l'uomo parla a se stesso, in un linguaggio che esprime con infallibile evidenza l'infinita, contraddittoria e oscura trama di pensieri e sentimenti, sogni e passioni, che da sempre agitano l'animo umano. Nella sua penetrante rivisitazione di pagine e figure memorabili della letteratura universale, Pietro Citati ne offre esempi eloquenti. L'urgenza della fede in un «Principio Supremo», radice comune delle tre religioni monoteiste, e l'amore per il Gesù dei Vangeli, raccontato e vissuto da Francesco, Angela da Foligno, sant'Ignazio e, quattro secoli dopo, da don Milani. Il «lavoro di commentatore dell'universo» di Montaigne e la cupa malinconia dietro le quinte delle commedie di Molière. La «furia di infinito» di Chateaubriand, attratto dalle magiche voci e dal sacro orrore delle foreste americane, e l'«esorbitante» pulsione visionaria di Balzac, incarnata nel personaggio del forzato Vautrin che da genio del male e dell'inganno si trasforma imprevedibilmente nel fautore del bene comune e di un'utopistica harmonia mundi. I tormenti di Charlotte Brontë, che solo nell'ombra della propria infelicità trova la giusta luce per narrare nel suo ultimo libro la storia di due persone felici, e la nevrastenia di Dostoevskij, schiavo della penna e inesorabilmente attratto dalla vertigine della roulette, forse perché sola metafora possibile di quel grande gioco d'azzardo che è per lui la letteratura. Ancora, il fascino per il mistero del dolore che portò Cechov nell'isola di Sachalin, il luogo delle «più intollerabili sofferenze», e la depressione che come un incubo irruppe nella vita di Tolstoj, confluendo nelle "Memorie di un pazzo". L'ossessione di Stevenson per il Male Assoluto, impersonato dal diabolico signore di Ballantrae, e la fatale prossimità di Conrad «al limite estremo» - come il capitano Whalley del racconto omonimo -, in cui si è già con «un passo dentro la morte». O l'incontenibile euforia di Virginia Woolf a passeggio per le vie di Londra, l'amata città-teatro di cui era estasiata spettatrice e in cui perdeva se stessa, abolendo «il suo io immenso e vertiginoso». E, fra gli italiani, la «divertita, insaziabile, disperata» curiosità che Calvino provava per se stesso, e il male invisibile sepolto nell'anima di Gadda, quella «fascia di tenebra» che ricopre tutte le cose visibili e invisibili, velando persino le apparizioni più dolci della natura. Assumendo spesso un punto di osservazione apparentemente marginale, Citati sa cogliere l'essenza di ogni creazione letteraria e artistica, che è, come scrive Scott Fitzgerald, un «nuotare sott'acqua e trattenere il fiato», e che da sempre convive con l'abisso, lo intuisce o ne viene perdutamente folgorata, in un ambiguo intreccio con la biografia del proprio artefice. Un'esperienza dell'assoluto e del silenzio che si capovolge nel miracolo stupefacente della parola.
Questa è la storia di un ragazzo che non ha mai avuto la sua età. Non ha neanche un nome, e per comodità lo chiameremo Zero. In realtà non ha mai avuto nulla. Perché la sua è una vita tutta in sottrazione, che ha sempre tolto e ha dato poco. Zero non ha cittadinanza, non ha madre, non ha soldi, e non si concede neanche il lusso di pensare al futuro. Zero ha dovuto capire in fretta che certe cose non si possono chiedere ai genitori, che ciò che è giusto non è patrimonio di tutti. Perché la vita non ha nessun obbligo di darti quello che credi di meritare e non lo ha nemmeno chi ti ha messo al mondo. Gli anni di Zero, dai sette ai diciotto, i capitoli che scandiscono il romanzo, sono duri, sono anni che hanno il sapore della povertà e della periferia. Ma sono anche anni passati ad attraversare strade in bici, con il cellulare attaccato a una cassa per permettere agli altri di sentire la musica. In piedi sui pedali, a ridere in mezzo alla via. Pomeriggi a giocare a pallone, a sperimentare il sesso e a bruciarsi per amore. Sono anni passati in quartiere consapevoli però che l'unico modo per salvarsi e garantirsi un futuro è andare via perché se nuoti nel fango, alla fine ti sporchi. Ma quello che c'è fuori fa paura. Ci sono gli sguardi indiscreti sui bus, le persone che tengono più stretta la borsa quando ci si avvicina, le ragazze che aumentano il passo e cambiano strada quando ti incontrano. C'è un Paese che non ti riconosce, gente che non si ricorda che essere italiani non è un merito ma un diritto. Fuori c'è la frase che ti ripeteva sempre la mamma e che ti rimbomba in testa "i bianchi nei neri ci vedono sempre qualcosa di cattivo". Ma di Zero ce n'è uno, nessuno e centomila e con Non ho mai avuto la mia età Distefano ci regala uno spaccato dell'esistenza di tutti quegli Zeri che con la vita si sono sempre presi a pugni in faccia, consapevole che ce la devi fare sempre anche quando non ce la fai più.
L'ombra dell'Impero si stende sempre più fitta sulla galassia, e altrettanto fitte si diffondono le voci di un terribile piano per ridurre interi pianeti all'obbedienza. I ribelli vengono a sapere che laggiù, nello spazio profondo dominato dall'Impero, si sta completando la costruzione di una macchina di distruzione dall'inimmaginabile potere: un'arma troppo terrificante anche solo da immaginare, una minaccia forse troppo grande da combattere. L'unica speranza per le centinaia di mondi ormai alla mercé dell'Impero è affidata a un manipolo di personaggi tanto improbabili quanto coraggiosi: Jyn Erso, una giovane donna piena di risorse in cerca di vendetta; Cassian Andor, comandante ribelle ormai stanco di battaglie; Bodhi Rook, disertore dell'esercito imperiale; Chirrut Îmwe, un monaco guerriero cieco, e il suo compagno dalla mira infallibile, Baze Malbus; infine K-2SO, un androide della Sicurezza imperiale riprogrammato dall'Alleanza Ribelle. A loro spetta il compito di rubare i piani di quell'arma micidiale: un intero, mostruoso pianeta pronto a spianare la strada al trionfo dell'Impero con la devastazione totale. E a meritarsi il nome con cui è conosciuto: la Morte Nera. Basato sulla storia originale di John Knoll e Gary Whitta e sulla sceneggiatura di Chris Weitz e Tony Gilroy.
La guerra sta lacerando la galassia: per decenni la Repubblica e i Separatisti si sono combattuti, sviluppando armi sempre più potenti nel tentativo di vincere il conflitto. Membro del progetto ultrasegreto del cancelliere Palpatine chiamato Morte Nera, Orson Krennic è intenzionato a trovare una superarma in grado di assicurare alla sua fazione la vittoria. La chiave del successo può essere negli studi di un suo vecchio amico, lo scienziato Galen Erso, e nelle sue indagini nel campo dell'arricchimento energetico. Krennic non è il solo a interessarsi all'attività di Erso: i Separatisti infatti tentano di rapire lui, la moglie Lyra e la loro bambina Jyn, ma sarà proprio Krennic a salvarlo, mettendogli inoltre a disposizione infinite risorse per continuare le ricerche. Galen crede che Krennic lo finanzi per fini umanitari, ma il vero scopo è un altro: rendere finalmente reale il sogno della Morte Nera. Stretti nella morsa del loro benefattore, gli Erso dovranno riuscire a liberarsi dalla rete di inganni ordita da Krennic per salvare se stessi e l'intera galassia.
Con il consueto linguaggio suggestivo e illuminante, che libro dopo libro ci guida a liberare il nostro nucleo più profondo per attivare le nostre capacità innate e guarire la nostra vita, Raffaele Morelli ci inizia alla pratica di salute più antica che ci sia: il digiuno.
"Non possiamo pensare di stare bene se ci dimentichiamo delle nostre radici, immerse nel buio della materia, nell'invisibile. Eppure trascorriamo la maggior parte della nostra esistenza prigionieri dell'esterno, identificati con i nostri problemi, i nostri pensieri, i nostri progetti, i nostri ricordi, il nostro modo di guardare il mondo e le nostre teorie sulla vita e su noi stessi. Ma allora, come possiamo fare per incontrare la nostra essenza originaria? La risposta a questa domanda è stata la stessa per tutte le tradizioni antiche: attraverso il digiuno."
Con il consueto linguaggio suggestivo e illuminante, che libro dopo libro ci guida a liberare il nostro nucleo più profondo per attivare le nostre capacità innate e guarire la nostra vita, Raffaele Morelli ci inizia alla pratica di salute più antica che ci sia: il digiuno. Oggi anche la medicina si è accorta delle straordinarie proprietà terapeutiche del digiuno in termini di depurazione dell'organismo e di prevenzione delle malattie. Così quest'antica pratica, che ha fatto parte dei riti di tutte le tradizioni, sta via via tornando in uso. Il potere curativo del digiuno – scritto insieme al figlio Michael Morelli che da anni studia il digiuno e i suoi benefici effetti – è un prezioso manuale che ci invita a liberarci dalle zavorre mentali e fisiche che appesantiscono la nostra anima e il nostro corpo, e ci insegna come farlo nel modo più semplice che ci sia: saltando qualche pasto. Un sacrificio presto compensato da un nuovo senso di benessere e di vitalità, segno che il nostro corpo si sta liberando dalle tossine e dai grassi accumulati, e la nostra anima dal peso soffocante del mondo esterno. Il digiuno potrà limitarsi a una sera alla settimana, ma perché diventi un rito di purificazione fisica e mentale dovrà essere accompagnato da solitudine e silenzio. Queste "serate con noi stessi", lontani dal cibo ma anche dalla tv, dal computer, dalla compagnia e dal rumore, diventeranno presto una nuova abitudine: forse la più benefica della nostra vita.
Un romanzo per affrontare le proprie paure, pieno di personaggi imperfetti e umani, che tutti vorremmo avere come vicini di casa.
La timidissima Kid e i suoi genitori si trasferiscono a New York in un condominio particolare: non solo si mormora che sul tetto viva una misteriosa capra portafortuna, ma gli inquilini del palazzo sono davvero bizzarri. Nell'attico vive Joff, uno scrittore fantasy cieco, ma appassionato di skateboard; al nono piano vive una coppia di pensionati litigiosi; al decimo un appassionato di scacchi e ... criceti; e poi c'è la mamma di Kid convinta che il suo spettacolo in teatro sarà un totale flop! E infine Will terrorizzato dalle finestre e dalla altezze, con una nonna iperattiva.
Tutti insieme cercheranno di svelare il mistero della capra sul tetto, imparando a conoscersi e ad aprirsi.