
La tradizione poetica neogreca ha toccato nel Novecento vertici assoluti. Dei quattro poeti più celebri - Constantinos Kavafis, Ghiannis Ritsos, Ghiorgos Seferis e Odisseas Elitis - ben due vinsero il Nobel (Seferis 1963, Elitis 1979). Gli inizi della poesia neogreca vengono comunemente posti alla fine del Settecento, quando nasce l'idea culturale e politica della Grecia moderna: l'antologia si radica perciò nell'Ottocento per giungere praticamente sino a oggi e comprende di fatto quasi due secoli di poesia. Il percorso antologico propone non solo poesie dei grandi maestri del Ventesimo secolo ma anche di voci poco note, e mette in evidenza il ruolo culturale e sociale della poesia nella creazione dell'identità nazionale ellenica e spazio pubblico privilegiato che essa occupa, senza eguali in altre tradizioni europee. Si pensi ad esempio che due funerali di poeti - di Kostìs Palamàs nel 1943, in un'Atene presidiata dai nazisti, e di Seferis nel 1971, durante il regime dei Colonnelli - si trasformarono in occasioni di autocoscienza collettiva (di nobile resistenza all'occupante nel primo caso, di muta oceanica protesta nel secondo). Oltre all'impegno politico, altri temi attraversano la letteratura neogreca fin dalle origini: il rapporto con la musica, attestato dalle numerose liriche adottate come testi di canzoni dai più popolari chansonniers e compositori del Novecento, e il persistente e problematico rapporto con l'antichità classica e con la passata grandezza culturale della Grecia.
Completato il suo viaggio attraverso le regioni del Peloponneso (libri II-VIII), l’itinerario di Pausania prosegue con la Beozia, terra confinante con l’Attica da cui era partito (libro I). Nel libro IX, dunque, lo scrittore muove da Platea – dove la battaglia del 479 a.C., con la morte del comandante in capo persiano Mardonio e la vittoria della lega ellenica condotta dallo spartano Pausania, sancì la fi ne dell’invasione persiana della Grecia – e chiude con Cheronea – dove Filippo di Macedonia sconfisse nel 338 un esercito di città greche, che persero così per sempre la loro indipendenza –: due luoghi dal forte valore simbolico per tutta la grecità perché ad essi corrispondono due eventi cardine della storia greca. Domina il libro, però, Tebe, la capitale, con il suo tragico passato di lotte fratricide e odi insanabili. La Beozia, tuttavia, è anche la terra della poesia, della musica, degli oracoli e della mantica. E soprattutto dell’Elicona. Alle dee di questo monte, le Muse, alla loro origine e alla loro iconografi a è dedicata una trattazione specifica. Sulle pendici dell’Elicona, nel loro santuario, si trovavano le statue di poeti, musici e cantori: tra questi Esiodo, che proprio lì era nato, e del quale l’autore ricorda l’investitura poetica.
Alla freccia lanciata dalla prima pagina di “Repubblica” – con lo stratagemma retorico di una lettera al figlio che, terminati gli studi, viene invitato a lasciare il Paese e cercare lavoro all’estero –, segue questo agile saggio, in cui Pier Luigi Celli ripercorre le polemiche infuocate provocate dalla sua sortita, sincera, in relazione a un problema molto serio: il futuro dei nostri figli. Il direttore generale della Luiss, la prestigiosa università di Confindustria ci parla dell’Italia di oggi. E lo fa analizzando con competenza, ironia e consapevolezza anche molto critica le regole che governano il lavoro, quelle che determinano l’accesso al lavoro, e ancora quelle che riguardano la formazione: gli studi e il sistema di trasmissione del sapere e del potere, un pamphlet caldo e leale su molti vizi e poche virtù. Celli trova che l’attuale classe dirigente manchi di onore ed è profondamente perplesso sul futuro socioeconomico del nostro Paese, attualmente non vede nulla all’orizzonte. Dopo anni di battaglie per il cambiamento, la sua diagnosi è radicale: “Se avessi vent’anni, me ne andrei all’estero”. Il mondo è per fortuna vasto e meraviglioso: che male c’è a volerlo conoscere?
La bellezza e l'inferno: fra questi poli opposti che richiamano il pensiero di Albert Camus si estende il campo di forze frequentato da Roberto Saviano, il luogo che genera la sua visione della vita, dell'impegno e dell'arte. Introdotti da una prefazione dell'autore, gli scritti raccolti in questo volume tracciano un percorso tanto vario quanto riconoscibile e coerente. Dal ragazzo che muove i primi già maturi passi nell'ambito della letteratura e della militanza antimafia fino allo scrittore affermato che viene invitato all'Accademia dei Nobel, Saviano resta se stesso. Ci racconta di un campione come Lionel Messi, che ha vinto la sfida più grande, quella contro il suo stesso corpo; di Anna Politkovskaja, uccisa perché non c'era altro modo per tapparle la bocca; dei pugili di Marcianise, per cui il sudore del ring odora di rabbia e di riscatto; di Miriam Makeba, venuta a Castel Volturno per portare il suo saluto a sei fratelli africani caduti per mano camorrista; di Enzo Biagi, che lo intervistò nella sua ultima trasmissione; di Felicia, la madre di Peppino Impastato, che per vent'anni ha dovuto guardare in faccia l'assassino di suo figlio prima di ottenere giustizia; e di tanti altri personaggi incontrati nella vita o tra le pagine dei libri, nelle terre sofferenti e inquinate degli uomini o in quelle libere e vaste della letteratura. Pagina per pagina, Saviano ribadisce la sua fiducia in una parola che sappia scardinare la realtà, opporsi a qualunque forma di potere, farsi testimone della certezza che «la verità, nonostante tutto, esiste».
Tobino, ne "La brace dei Biassoli" (1956), il suo libro più personale e doloroso, rende omaggio alla figura della madre, Maria Biassoli, da poco scomparsa. Come nella "Vita nova" dantesca, lo scrittore muove dal dolore per la perdita di una donna amata assurta ad archetipo di femminilità, snodando poi il racconto, quasi un succedersi di quadri di una sacra rappresentazione, o di stanze di una canzone, tra prosa e poesia, in una continua alternanza tra opposte tensioni emotive e stilistiche. Al centro, la figura di Maria che, tornando a Vezzano, il paese di famiglia incastonato tra monti e fiume, in un entroterra ligure aspro e dolcissimo, sente rinascere le antiche emozioni, la brace rifarsi fiamma; e attorno a lei, i membri della famiglia Biassoli, un formicolare di volti e vicende che spingono l'autore - in un romanzo che a detta di Italo Calvino si presenta come "il più sciolto e limpido nella sua prosa" - a rimeditare "sugli affetti e i legami fra chi vive e chi muore, sul valore e il segno del nostro stare al mondo".
Giovanni Battista Montini, che nel giugno 1963 venne chiamato alla successione di Giovanni XXIII e portò a compimento il concilio ecumenico Vaticano II, è un papa dimenticato. Frainteso da quanti hanno ritenuto che il concilio fosse il principio di un'era assolutamente nuova, di totale rottura con il passato, così come da coloro che hanno visto in quell'evento l'inizio della fine del cattolicesimo. Criticato da sinistra e da destra, da chi gli imputava di aver tarpato le ali del Vaticano II, soffocandone le speranze e frenandone gli slanci, e da chi gli attribuiva la responsabilità della crisi della Chiesa, dell'incertezza sulla dottrina, dell'imponente emorragia di sacerdoti che ha segnato gli anni difficili del postconcilio. Paolo VI appare oggi schiacciato tra le figure dei grandi pontefici che l'hanno preceduto e che gli sono succeduti. Non era facile stare al timone della Chiesa dopo la scomparsa di una figura popolarissima come quella del "papa buono". Non è facile mantenere viva la memoria del drammatico pontificato montiniano dopo quello di Giovanni Paolo II, straordinario per intensità e durata. Così, il suo regno è stato presto archiviato come un lungo e sofferto intermezzo tra due capitoli decisivi della storia del cattolicesimo e dell'intera umanità, dimenticando che si deve proprio a Paolo VI l'aver attuato una profonda riforma della Chiesa, l'aver iniziato i viaggi apostolici in tutti i continenti, l'aver inaugurato una nuova epoca di dialogo con le altre confessioni cristiane.
La condizione umana, provvisoria pur nella sua apparente continuità, è il tema di questo nuovo libro del cardinale Martini. Dall’infanzia all’adolescenza, dalla maturità, fino alla vecchiaia, i sogni, i doveri, le responsabilità mutano con il mutare del corpo e dell’animo, sotto la spinta dell’esperienza e dei “fatti della vita”.
Nei suoi incontri con i giovani, i lavoratori, gli anziani, Carlo Maria Martini ha più volte affrontato i rischi e la grandezza di ogni età, ciascuna degna di essere vissuta con il massimo impegno e consapevolezza.
Le sue parole, frutto di una lunga, personale meditazione, sono di incitamento, ma soprattutto di speranza: una guida, ispirata da comprensione e amore, rivolta a laici e cattolici all’alba o al tramonto della loro umana avventura. Dopo il successo di Colloqui notturni da Gerusalemme e Qualcosa di così personale, un libro per tutti, ricco di umana esperienza e di profondità di pensiero.
Carlo Maria Martini, gesuita, biblista di fama internazionale, è stato arcivescovo della diocesi di Milano dal 1980 al 2002. Al termine del servizio episcopale in diocesi, per lungo tempo si è ritirato a Gerusalemme, dove ha ripreso gli studi biblici. Nume- rose le sue pubblicazioni, tra cui con Mondadori: Sulla giustizia (1999), Non è giustizia (2003), Il discorso della montagna (2006), Conversazioni notturne a Gerusalemme (2008), Qualcosa di così personale (2009)
Quando nel giugno 1812 Napoleone Bonaparte invade la Russia è convinto di dover affrontare truppe male armate e poco addestrate, guidate da un sovrano irresoluto, lo zar Alessandro I. Incontra invece una resistenza accanita, che lo costringe a una disastrosa ritirata, trasformando quella che doveva essere una marcia trionfale nella disfatta della Grande Armée. Dalla storia nota inizia il magistrale lavoro di Dominic Lieven sulla Russia contro Napoleone, che rende giustizia alle doti militari e alla lungimiranza strategica del sovrano russo e dei suoi generali, nonché all’eroismo e al valore dei suoi soldati e cavalleggeri. E illumina, specie sul versante russo, ogni elemento – economico, militare, logistico, diplomatico, spionistico – in un racconto rigoroso e al tempo stesso avvincente, che accompagna lo zar di tutte le Russie e i suoi eserciti anche nella controffensiva attraverso l’Europa, fino all’entrata in Parigi. In un libro memorabile, gli aspetti e i retroscena meno noti – ma decisivi – di una storia famosa.
Anno Domini 1553. Il Ducato di Milano è dominato dagli Asburgo di Spagna. Ludovico di Valois, arrogante e feroce, comandante della guarnigione della città, è l’uomo dal pugno di ferro. Ed è anche l’avversario contro il quale Fulvio Alciati, coraggioso guerriero errante, è fatalmente destinato a scontrarsi: nella gerarchia, nell’etica e forse fi no all’acciaio. Tra loro, Mariangela Comencini, donna dallo spirito indomabile sulla quale pesa un’accusa di stregoneria, impegnata in una fuga senza fi ne dalla persecuzione ossessiva di padre Guaraldo Giussani, un inquisitore con fi n troppi lividi sull’anima. Narrato con l’effi cacia di un thriller ma sostenuto da una rigorosa ricostruzione storica, I bastioni del coraggio è l’affresco crudo ma anche epico, a tratti addirittura poetico, di un’epoca in cui il potere è assoluto, la crudeltà è norma e la compassione è sempre troppo lontana.
Non avrai altro dio all'infuori di te. Ama te stesso. Ascolta la tua parte impura. Non essere infelice invano. Non cercare di migliorarti. Non cacciare il dolore... La strada per la felicità passa dal coraggio di mettere in discussione i nostri convincimenti, i luoghi comuni della morale che ci appesantiscono inutilmente. Pensieri, giudizi, ideali: spesso gli ostacoli maggiori si nascondono proprio in quello che la nostra cultura ci ha insegnato come positivo, importante, necessario. Raffaele Morelli ci ha abituato alla provocazione. Ama giocare in contropiede rispetto ai nostri pregiudizi per mostrarci inaspettate vie verso il benessere. In questo suo nuovo libro fa piazza pulita dei falsi luoghi comuni della psicologia per mostrarci che cosa conta davvero nella vita, quali sono gli insegnamenti da seguire per imparare a stare bene con se stessi. E questo contro-decalogo diventa così anche una sorta di lezione, un percorso a tappe verso la felicità.