
Che cosa sono le potenze dell'anima? A questa domanda che suonò alquanto peregrina nell'atmosfera tumultuosa degli anni intorno al 1968 Elémire Zolla, allora quarantaduenne e al suo quarto libro del ciclo di critica sociale, si cimentò a rispondere per un'esigenza anzitutto personale: esplorare le falde del mondo interiore, lo si chiami anima, psiche, coscienza, sé, intelletto o spirito e lì dentro, nel groviglio di un sentire comunemente tormentato e diviso, cogliere la radice dell'infelicità, del disincanto, dell'indifferenza dell'uomo contemporaneo, anche però una via all'emancipazione, al risveglio di energie salutari esplorate nelle tradizioni del pensiero profondo in Oriente e Occidente. Nella Parte prima Zolla scruta la 'prigione' di un'esistenza del tutto esteriorizzata e appiattita, con enorme anticipo sulle avvenute dipendenze dalle tecnologie digitali; ricostruisce le antiche e dimenticate terapie della malattia psichica, dal dionisismo all'incubazione onirica, all'eros sublimato nella poesia stilnovistica. Scandaglia la topografia dell'interiorità nella raggiera di metafore che a essa alludono giacché «quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna obbedire alle leggi dell'analogia»: il vento, l'ombra, il custode, il soffio, il nagual. Nella Parte seconda Zolla ricostruisce la tassonomia delle facoltà dell'uomo interiore nei repertori delle antiche civiltà, dall'Egitto a Israele, al Tibet, all'India, alla Cina taoista, ai mondi greco, romano e cristiano. Un libro antesignano, come i tanti di Zolla sul contrasto insanabile tra i 'poteri' dominanti secondo la logica mondana e le 'potenze' interiori ribelli alla sottomissione.
Tra osservare il futuro e scandagliare il passato, alcuni scelgono di percorrere il secondo sentiero. Così fa all'inizio degli anni Duemila Matteo, figlio giovane e inquieto di una solida famiglia romana, tra i cui avi di rilievo storico c'è padre Tacchi Venturi, il confessore del duce, lo «strumento normale per i messaggi fra il papa e Mussolini». Matteo, per appurare se il vecchio gesuita - zio di suo nonno, il Capitano - sia stato o meno antisemita, intraprende una ricerca condotta tra carte, testimonianze, lettere e diari, affiancato dalla cugina Giulia, più comprensiva e meno radicale di lui. Indagando su parenti lontani che sono chiaroscuri di luci e ombre - Tacchi Venturi ma anche il Capitano, impegnato sul fronte russo all'inizio degli anni Quaranta -, Matteo vuole sapere, perché essere limpidi è sempre meglio di non esserlo, e perché essere parte della Storia - quella grande, quella di tutti - certe volte impone di tentare di capirla. E capendo, forse, si può anche perdonare, soprattutto se l'opera di scavo riguarda la propria famiglia, dove colpe e connivenze si mescolano agli affetti, agli aneddoti dei pranzi della domenica e ai ricordi tramandati di padre in figlio. A cavallo tra realtà e finzione, tra ossessioni private e accurate ricostruzioni storiche, rievocando una genealogia che in più di un secolo da Tacchi Venturi conduce al Capitano e poi a Giulia e Matteo, "Sotto il radioso dominio di Dio" mette in scena l'indagine su un passato scomodo e ingombrante. Per i due cugini, il peso dei propri antenati è sempre lì: un'eredità di potere, fede e devozione che, cogliendoli in una Roma abbagliante, li spinge a interrogare, tra amori, lutti e aspettative disattese, una storia familiare sfuggente, dove non mancano false piste e buchi neri.
Come si può continuare a vivere quando con l'età, i fallimenti e le delusioni si è persa la speranza in tutto ciò che in passato dava un senso alle proprie giornate: idee politiche, relazioni umane, l'esattezza rassicurante della scienza, Dio? È venuta meno la speranza che le cose possano durare ed è venuta meno anche la speranza che le cose possano cambiare. Ma dopo la speranze finiranno anche le disperazioni. Con sguardo lucido e disincantato, Marcello Veneziani propone al lettore un manuale di consolazione per reagire al declino e far nascere la fiducia dalla disperazione. Si interroga sul mondo, sul tempo, sulla politica, sull'età che avanza, rivolge una lettera a un ragazzo del duemila e una postilla a un bambino neonato. E suggerisce un quadrifarmaco per affrontare un tempo che non ci piace, curare il pessimismo, ripararsi dal potere e finire in bellezza. Un libretto d'istruzioni per smontare e rimontare la vita, accettarla ma non subirla. Cosa mettere in salvo, prima che faccia notte, sapendo che il mondo non inizia e non finisce con noi.
«Cinque minuti. Cinque minuti di ragionamenti da esseri umani». È il tempo di lettura richiesto da ciascun brano in questa incursione di Giampiero Mughini nel nostro passato recente. Ma al ritmo breve della cronaca, a quindici anni dall'esperienza di commentatore quotidiano di fatti e misfatti nazionali per il «Foglio», l'autore sovrappone il tempo più lungo e profondo della Storia, rileggendosi da par suo e riuscendo nell'impresa di raccontare la società e la politica italiana da una prospettiva spiazzante. Con l'essenzialità di poche righe, consapevole che «scrivere breve breve è infinitamente più efficace, ma anche infinitamente più difficile», mette in luce aspetti inediti di un periodo cruciale che va dalla guerra in Iraq alla prima elezione di Napolitano a presidente della Repubblica, da Calciopoli alla vittoria degli azzurri ai Campionati del mondo di Berlino, rivelando connessioni insospettabili e sorprendenti analogie. A emergere è il ritratto di un Paese che oscilla tra l'orgoglio identitario urlato nei cori da stadio e l'ironia imbarazzata di fronte alle contraddizioni di un'«Italietta» fatta di soubrette, politici, calciatori e giornalisti, una galleria in cui talento e mostruosità, grandioso e patetico sono indistinguibili. Senza pregiudizi e senza bandiere, Mughini ci regala una risata liberatoria mostrando il grottesco del nostro presente, e provocandoci con una domanda finale: chi siamo, e che Paese è il nostro?
"Adorare" è sempre sembrata una parola forte a Lyle Hovde, ma è quella che più rappresenta il suo sentimento verso certe giornate di primavera, in cui prende il pick-up e guida lungo il Mississippi per raggiungere il frutteto dove lavora, il nipotino Isaac di cinque anni a fargli compagnia e la natura del Wisconsin a guarire i mali dell'anima. Isaac è il bimbo di Shiloh, la figlia adottiva di Lyle e della moglie Peg, appena tornata a vivere a casa dei genitori dopo un lungo periodo di lontananza e ribellione. Era stato difficile separarsi da Shiloh, ed essere di nuovo riuniti sotto lo stesso tetto è una gioia per Lyle e Peg. Per questo, appena lui viene a sapere che la ragazza è diventata seguace di una Chiesa radicale e intende trasferirsi con il piccolo Isaac a vivere assieme al pastore che la guida, vorrebbe fare il possibile per impedirglielo. Tanto più che i due sembrano avere strane convinzioni legate ai poteri sovrannaturali del bambino... Quando il fanatismo religioso minaccerà da vicino la salute del nipote, Lyle si troverà costretto a compiere un atto estremo di resistenza per evitare che una nuova tragedia si abbatta sulla sua famiglia. Dopo "Shotgun Lovesongs" e "Il cuore degli uomini", Nickolas Butler si ispira a una storia della sua terra per dare vita a un romanzo colmo di umanità. Lo scrittore del Midwest coglie temi universali - le contraddizioni del credere, il dolore del lutto, il peso dell'affetto - e li trasforma in sensazioni concrete, come l'odore della polvere e della benzina, la vista a perdita d'occhio sui campi e i solchi profondi che l'amore scava dentro ognuno di noi.
Villa Borghese - un enorme parco nel centro di Roma, grande più della Città del Vaticano e poco meno del principato di Monaco - è un luogo meraviglioso. Ci sono musei, teatri, la Casa del Cinema, ludoteche, chiese. E poi le mille piante, i corsi d'acqua e le tante specie animali ospitate al Bioparco. Un'isola di verde incantevole. Affascinante, colta, misteriosa. Il sindaco, malato d'amore per la Villa, muovendo mari e monti riesce a far aprire un commissariato al suo interno. Per la gestione del nuovo ufficio, i vertici della polizia decidono di radunare un gruppo di soggetti che altrove non hanno certo brillato. Come i magnifici sette, ma al contrario. A guidarli viene chiamato Giovanni Buonvino, ispettore superiore che, quindici anni prima, è stato condannato alle retrovie da un bruciante errore. «Occhio ai palloni Super Santos» ironizzano i colleghi, «possono contenere esplosivo.» Pochi giorni dopo l'inaugurazione del commissariato, però, il pacifico tran tran viene interrotto dalla scoperta di un cadavere orrendamente straziato. Da quel momento a Villa Borghese - insanguinata da una lunga scia di morte - nulla sarà più lo stesso.
A distanza di cinquant'anni dalla storica monografica curata da Franco Russoli, Palazzo Reale torna, in occasione del centenario dalla scomparsa dell'artista, ad ospitare Giorgio de Chirico (Volo, 1888 - Roma, 1978) con una grande mostra a cura di Luca Massimo Barbero L'intera straordinaria carriera artistica del Pictor Optimus verrà ricostruita in catalogo attraverso un percorso articolato in sezioni tematiche che, con un'ottantina di capolavori, narreranno l'evoluzione pittorica di de Chirico, dall'invenzione di una personale mitologia, che passa per l'interpretazione dell'Antico, alla costruzione della propria immagine - pittorica e letteraria -, sino alla Metafisica e al superamento della stessa negli anni venti, quando l'artista getta nuova luce sui valori fondanti dell'arte del passato. Oltre a un percorso esaustivo nelle tematiche sviluppate da de Chirico nel corso della sua carriera, la retrospettiva darà rilievo come mai in precedenza alla tecnica e alle straordinarie qualità pittoriche dell'artista. Una rara riflessione infatti sarà riservata al segno del maestro che attraverso la sua opera si trasforma e si reinventa in maniera sempre autentica, come a voler sottolineare i molteplici temi di suo peculiare interesse.
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<tr><td align="right" valign="top">Message:</td><td><b>WARNING:</b> No link_id found. Likely not be connected to database.<br />Could not open database: <b>libreriacoletti</b>.</td></tr>
<tr><td align="right">Date:</td><td>Friday, March 1, 2024 at 1:38:54 PM</td></tr>
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Lorena, agosto 1992. Anthony ha quattordici anni, le spalle larghe e una palpebra semichiusa che gli dà sempre un'aria imbronciata. Stéphanie è la più bella della scuola, ma nella valle dimenticata da Dio in cui è cresciuta l'avvenenza non serve a molto. Hacine è un po' più grande, ama le moto (soprattutto quelle prese agli altri) ed è ormai rassegnato all'idea di deludere il padre, arrivato in Francia dal Marocco sognando l'integrazione. L'estate in cui i tre ragazzi si incontrano è quella del primo bacio, delle prime canne, dei Nirvana nelle orecchie e delle corse in Bmx intorno al lago, della noia che si mescola alla rabbia e al desiderio di fuggire. Ma è anche un'estate torrida, in cui il vento caldo della globalizzazione ha già spazzato via buona parte dei posti di lavoro della regione lasciando le famiglie sul lastrico, impreparate ad affrontare la chiusura delle fabbriche e a immaginare un futuro diverso per sé e i propri figli. Di questo piccolo mondo periferico Nicolas Mathieu racconta speranze e miserie, luci e ombre, dando forma a un affresco sociale tenero e spietato. L'adolescenza di Anthony, Stéphanie e Hacine diventa per lui una lente straordinaria con cui guardare a un'Europa di provincia, alle sue illusioni di benessere bruciate nei falò estivi, alla sua innocenza perduta. Un'Europa che è anche la nostra.
Viviamo un'epoca in cui l'«assolo» sembra prevalere decisamente sul «vivere corale». Sebbene si sia ormai affermata la necessità di prendersi cura dei beni comuni, risulta però impossibile tutelarli senza fare appello a quelle virtù che riducono le pretese del singolo a favore dell'armonia dell'insieme. Carlo Ossola ci accompagna in un viaggio che è anche un dialogo con alcuni maestri delle «piccole virtù», esponenti del pensiero e della letteratura: da Cicerone e Lucrezio ad Alessandro Manzoni e Victor Hugo, da Carlo Goldoni a Giacomo Leopardi, da Emily Dickinson a Wislawa Szymborska, da T.S.Eliot a Georges Bernanos. Guida ideale lungo il percorso è il trattato settecentesco - che fa da appendice al volume - in cui Giovan Battista Roberti, compendiando secoli di civiltà europea, descrisse le «virtù sociali, utili a chiunque vive in società di altri viventi razionali». Nella consapevolezza che ricercare e praticare queste virtù non è altro se non, citando sant'Agostino, «scorgere in un fatto modesto i concetti comuni delle piccole come delle grandi realtà».