
Alberto Mieli dopo settant'anni racconta per la prima volta alla nipote Ester la sua infernale esperienza da deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. "Non c'è ora del giorno o della notte in cui la mia mente non vada a ripensare alla vita nei campi, a quello che i miei occhi sono stati costretti a vedere." Ricorda la vita in una Roma nazifascista, le leggi razziali e il giorno in cui è stato portato via dalle SS, dopo il tragico 16 ottobre 1943. Rivive, ancora con le lacrime agli occhi, l'arrivo nei campi, l'odore acre dei corpi che bruciavano nei forni crematori in funzione tutti i giorni. Parla del lavoro giornaliero e stremante, dei corpi senza vita ammassati gli uni sugli altri, della stanchezza e della fame continua e cieca che pativa, fame che ha portato alla pazzia e poi alla morte migliaia di deportati. Fame di cibo, di vita, di libertà. "Ad Auschwitz ho visto l'apice della cattiveria umana." Con queste parole Alberto Mieli racconta, con dolore, aneddoti e luoghi, parla delle torture subite. Ridisegna volti di gente incontrata e poi persa, spiega come sia riuscito a convivere tutta una vita con questa doppia cicatrice: una alla gamba, causata da una granata lanciata dagli Alleati esplosagli troppo vicino e che a volte ancora sanguina, e una più grande nel cuore.
Lo sfruttamento del territorio, specie in aree di particolare valore, ha fatto nascere l'esigenza di riformulare gli abituali approcci al progetto. Se lo sviluppo urbano della città diffusa, delle sue infrastrutture, delle sue reti genera sempre più paesaggi compromessi, quali sono le possibili strategie per trasformare, allargare, cambiare l'abituale rapporto tra abuso del suolo e inutilizzo del sottosuolo? Partendo dall'analisi di precisi ambiti geografici, il volume pone l'accento sulla dicotomia tra esigenze diffuse di sviluppo e rispetto del contesto, sugli aspetti psicologici del vivere sottoterra, sull'utopia e la realtà di una architettura che può e deve essere risorsa.
La prima intervista a un papa risale al 1892 con Leone XIII. Ma poi passano più di settant'anni per registrare quella nel 1965 a Paolo VI. E proprio Giovanni Battista Montini, primo pontefice a viaggiare in tutto il mondo, durante i voli papali inizia a incontrare i giornalisti. Continuate dai suoi successori, conferenze stampa e interviste sono divenute con Jorge Mario Bergoglio un nuovo efficacissimo modo di comunicare, in un linguaggio di facile comprensione. In questo libro sono raccolte tutte le conferenze stampa e le interviste di papa Francesco. Introduzione di Giovanni Maria Vian.
Il personaggio dell'anno non può che essere Matteo Renzi, il bambinello sceso in politica per liberarci e redimerci dal peccato; un bambinello sorretto da Maria Elena Boschi, "umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio". La raffigurazione non può che essere su fondo oro di scuola toscana, con al vertice un silenzioso Mattarella, sulla sinistra ancora un po' di rosso con Bersani e sulla destra Verdini, tutti uniti nel quadro politico attuale: non è un ex voto, il voto, dicono, ci sarà nel 2018. Berlusconi e D'Alema guardano da un'altra parte.
Questo libro era nato come continuazione de "La virtù dell'elefante", che di nuovo ha fatto conoscere Paolo Isotta storico della musica e lo ha rivelato protagonista della letteratura italiana. Isotta avrebbe dovuto fare qualche correzione, parlare di qualche amico vecchio e nuovo, di qualche altro libro letto, di qualche film visto, di musica ascoltata. Però quando ha incominciato a scrivere non immaginava che quest'opera possedesse una volontà propria e, nel breve giro della stesura (da gennaio a luglio del 2015), la affermasse progressivamente. Così "Altri canti di Marte" è la serie di aggiunte e correzioni promessa; ma contiene anche le più profonde riflessioni dell'autore sulla musica: scritte adesso ed ex novo. Vi sono le pagine sui prediletti Alessandro Scarlatti, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Cajkovskij, Verdi; e una "lettura" del "Parsifal" di Wagner che apporta nuova luce sul capolavoro. Ma l'indagine di Isotta si è rivolta particolarmente al Novecento musicale: i capitoli più densi sono quelli su George Enescu, Karol Szymanowski, Franco Alfano, Ottorino Respighi e Gino Marinuzzi, che fin qui nessuno aveva considerato addirittura come fra i sommi compositori del Novecento.
"Voglio raccontare la tua vita come non è mai stato fatto prima". Annalisa Chirico irrompe così nella quotidianità del professor Umberto Veronesi. Gli propone un viaggio tra i ricordi per ripercorrere la "risalita controcorrente" di quel ragazzino che, nato da una famiglia di contadini della pianura lombarda è incluso per ben due volte nella rosa finale dei candidati al Nobel per la medicina. Nel dialogo serrato tra la giovane giornalista e l'uomo di scienza due generazioni si confrontano sui grandi temi dell'esistenza l'amore, le passioni, la morte, la pace, la religione - e sugli avvenimenti della storia e dell'attualità. Ne emerge il resoconto di una battaglia quotidiana tra desideri, tentazioni, aspettarive e bisogni. "La lezione che il professore consegna ai lettori è - nelle parole di Annalisa Chirico - l'umiltà dell'essere. È un uomo senza pretese da superuomo che si scopre in modo inedito nella propria umanità, finanche negli aspetti più intimi e delicati, con l'inevitabile carico di ridicolo che la vita di ciascuno di noi porta con sé".
Manca poco meno di una settimana a Natale. Adagiata contro le rocce grigie, con le sue casette di legno ammantate di neve, Fjallbacka regala uno spettacolo particolarmente suggestivo, un paesino fiabesco affacciato sul mare di ghiaccio. Martin Molin, collega di Patrik Hedstrom alla stazione di polizia di Tanumshede, ha raggiunto la fidanzata Lisette sulla vicina isola di Valo per una festa di famiglia. Mentre il vento infuria, durante la cena il vecchio patriarca dall'immensa fortuna muore improvvisamente. Nell'aria si avverte un vago aroma di mandorle amare, e a Martin Molin non resta che cercare di far luce su quella morte misteriosa. Intanto, la violenta tempesta che agita le acque gelide dell'arcipelago non accenna a placarsi, e ogni contatto con la terraferma è interrotto. Sulle orme di Agatha Christie, in occasione dei suoi primi dieci anni di carriera, Camilla Läckberg ha dato vita a una serie di racconti che, tema a lei caro, indagano le complesse dinamiche familiari, combinando scene d'intimità domestica all'inquietudine di oscuri segreti del passato.
Alcune raccolte di racconti, pur parlando apparentemente di storie individuali, nel loro insieme mirano a rappresentare un luogo, una città. Così per esempio Gente di Dublino di James Joyce, o le Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani. Questi luoghi a loro volta sono una metafora dell’umanità, se non dell’Universo intero. Il racconto non è un genere minore, anzi. Alcuni dei libri più belli della storia della letteratura sono cresciuti proprio sul terreno del racconto. Soltanto la moda e l’editoria degli ultimi decenni hanno respinto questo genere nel reclusorio delle opere minori, se non proprio di poco valore, anche se nella nostra tradizione ci sono esempi altissimi, tra quelli di maggior rilievo della Storia della letteratura.
Che cosa desidera fare Pressburger con questi suoi racconti? La città di Trieste in sé è già stata consacrata da tempo come luogo letterario, è nota per questo - si può dire - in tutto il mondo. Quindi, con il suo inserirsi nella tradizione letteraria di Trieste, probabilmente l’autore intende dichiarare una tendenza e l’accettazione di una regola che rifiuta il ruolo di intrattenimento a costo zero. Rivendica invece quello che fino a non molto tempo fa pareva un requisito necessario: un valore diverso da quello del puro divertimento, che oggi invece pare essere l’unico elemento indispensabile. Il mondo qui rappresentato vuole scuotere il lettore dal suo torpore di indifferenza verso gli altri, mostrare quello per cui Trieste rimane ancora un posto dalla cui sofferenza e disposizione alla conciliazione con l’esistenza c’è ancora da imparare.
Nel periodo più difficile dopo la diagnosi della malattia, Henning Mankell trova la forza di reagire. Partendo dalla propria esperienza, il padre del commissario Wallander riflette sulle importanti questioni politiche del futuro e spiega quanto la letteratura, l'arte e la musica siano importanti nei momenti di crisi. Le sabbie mobili sono solo una leggenda, in realtà non esistono. Che la vita, nonostante le catastrofi globali e private, meriti di essere vissuta è un fatto, si tratta solo di trovare la giusta strategia, "l'arte di sopravvivere". Da un grande scrittore e intellettuale del nostro tempo, un libro che raccoglie riflessioni e ricordi, speranze e paure per il mondo in cui viviamo. "Sabbie mobili" è dedicato ai suoi lettori di sempre e a chi non ha mai conosciuto Wallander o i suoi personaggi del ciclo africano.
Nell'anno di Expo l'idea di una vita secondo natura affascina sempre di più l'uomo moderno. Dal suo rifugio montano, lontano dai clamori della manifestazione milanese dove tutti si muovono e fanno polvere rimestando nel gran calderone della Green Economy, l'autore tenta una via più autentica e meno immediata alla sostenibilità. Il suo percorso parte dall'esperienza di contadino in felice decrescita per elaborare il manifesto del buon selvaggio. Nel suo podere, un frutteto che ricorda il Giardino dell'Eden fa da cornice a campi di cereali e legumi. Sulla tavola porta un'alimentazione scarna, integrale e frugale a prevenzione delle malattie del benessere. Tra le sue priorità il senso di appartenenza ai luoghi e alla comunità, e tempo per annoiarsi. Il buon selvaggio non rifiuta la tecnologia ma accetta la sfida di un suo uso equilibrato, non lancia dogmi come macigni ma si pone domande e sperimenta uno stile di vita sempre aperto al confronto. Si districa tra gli inganni del vivere quotidiano elaborando una personalissima via alla felicità. A fare da sfondo, l'estremo rifugio di sempre: la montagna - quelle Alpi segrete dove il buon selvaggio dei tempi moderni potrà rintracciare la solitudine terapeutica che in un continente sovrappopolato è un bene assai raro.