Se oltrepassi il confine, entri in una dimensione singolare, nella quale convivono l'umano e il divino, lo straordinario e il quotidiano.
Aldo Maria Valli è una guida d'eccezione per varcare la soglia del più piccolo Stato al mondo, il più misterioso.
«All'ingresso di porta Sant'Anna, subito dopo il controllo della gendarmeria, sulla destra, c'è un bancomat dello Ior. Si trova in una nicchia ricavata nel muro e, apparentemente, è come tutti i bancomat di questo mondo. Se però vi avvicinate (e siete in compagnia di chi dispone dell'apposita tessera) scoprite che ha una particolarità. Le istruzioni, oltre che in italiano, francese, tedesco, inglese e spagnolo, sono fornite anche nella lingua dei padri. "Carus expectatusque venisti" dice la videata introduttiva: in pratica, "benvenuto". Dopo di che, ecco l'indicazione operativa: "Inserto scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem", che sarebbe come dire "inserisci per favore la scheda, per accedere alle operazioni consentite". I latinisti hanno un po' arricciato il naso, perché secondo loro l'adattamento è stato un po' troppo disinvolto, ma bisogna ammettere che non è facile tradurre in una lingua antica concetti moderni. E una volta inserita la scidula che succede? Quattro le opzioni: "deductio ex pecunia" (prelievo), "rationum aexequatio" (saldo), "negotium argentarium" (movimenti) e "retrahe scidulam deposita" (ritirare la tessera). L'unico problema è che se scegliete la prima opzione dopo pochi secondi il bancomat sputerà fuori comunissimi euro e non preziose monete romane d'oro e d'argento».
Aldo Maria Valli non lesina dettagli, spiega come si entra in Vaticano, racconta curiosità, stranezze e aneddoti, visita il garage del papa, fa un giro nell'appartamento pontificio, entra anche nella mensa, nel supermercato e nella famosa farmacia, scopre che a Castel Gandolfo ci sono una fattoria e un pollaio e gli astronomi dell'Osservatorio cercano gli extraterrestri, indaga i molti misteri, dall'omicidio del comandante delle guardie svizzere alla talpa del caso Orlandi
La tendenza a lungo prevalente nella storiografia occidentale è stata quella di leggere gli ordinamenti giuridici del passato come se avessero natura uguale a quella dei contemporanei, attribuendo alle difficoltà del momento storico le evidenti differenze tra i due periodi e considerandole scorie marginali che, se impedivano agli ordinamenti medesimi di presentare la nitidezza e la chiarezza raggiunte a partire dall'Ottocento, non ne intaccavano comunque la sostanza. Ne consegue che la loro vicenda storica è stata esaminata non già a partire dall'analisi della realtà da cui avevano avuto origine, bensì, all'opposto, da quella che si era affermata dopo di loro. Un'impostazione quanto mai singolare, che trova la sua spiegazione soltanto nella volontà della cultura dei secoli XIX e XX di legittimare le profonde innovazioni giuridiche e istituzionali vissute dalla loro età rispetto all'antico regime presentandole come il naturale esito di un processo storico lungo e accidentato, ma omogeneo. Questo volume segue una diversa impostazione, che mira ad aderire maggiormente alla concretezza e alla pluralità delle diverse esperienze storiche e istituzionali e muove da una convinzione: l'evoluzione degli ordinamenti giuridici europei di età moderna può comprendersi in maniera corretta soltanto se si prendono le mosse dalla realtà medievale. Premessa di Natalino Irti.
Nell'Italia del Cinquecento, divisa tra lo splendore delle corti e delle arti e la tragedia delle guerre e delle pestilenze, nuove dottrine religiose diffondono gli umori inquietanti del dubbio e della ribellione, insieme con le speranze di un profondo rinnovamento. Il fervore del dissenso e della libera critica percorre strati sociali d'ogni condizione, tocca il vertice e la base ecclesiale della cattolicità, investendo tanto le dottrine teologiche quanto le pratiche religiose quotidiane.
Andrea Carandini è un protagonista dell'archeologia classica. Ma anche un tecnico che ha messo a disposizione dello Stato la sua conoscenza e il suo rigore al riparo di qualsiasi compromesso politico. Quando ha accettato di presiedere il Consiglio superiore dei Beni culturali, lo ha fatto con spirito di servizio e con animo libero da schiavitù di appartenenza tanto da dimettersi non molto tempo dopo, quando le condizioni tecnico-amministrative (il taglio dei fondi al ministero dei Beni culturali durante l'ultima stagione di Sandro Bondi) gli hanno impedito di condurre in porto il suo progetto. In queste pagine ripercorre la sua formazione e le sue origini (è nipote di Luigi Albertini, il direttore-proprietario del "Corriere della Sera" estromesso dal fascismo), l'incontro folgorante con Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo e politico italiano nel dopoguerra, il suo essere "marxiano, mai marxista e nemmeno comunista". Nel parlare di sé Carandini ragiona sulla perdita di valore del merito, sulla caduta della cultura media in Italia, sul fallimento del progetto del Pci (trasferire alle masse il patrimonio della grande cultura borghese), sulle politiche e i progetti che lo hanno coinvolto come presidente del Consiglio Superiore dei beni culturali e che hanno al centro il nodo del patrimonio culturale italiano, cosa rappresentano per l'identità nazionale i valori che hanno i nostri tesori artistici e il paesaggio che li circonda e li contestualizza.