
Il museo comunica poco e male: esporre fisicamente i pezzi non basta a raggiungere l'obiettivo, primario per l'esistenza stessa della struttura museale, di trasmettere cultura ai visitatori. Eppure l'arte è cultura per eccellenza. Applicando la teoria della comunicazione a quei particolari segni che sono le opere d'arte, questo volume analizza sistematicamente il museo e denuncia come la sua struttura e organizzazione siano incompatibili con le esigenze di una comunicazione efficace. Occorre aprire il museo alle enormi potenzialità connesse a un uso appropriato e intelligente delle nuove tecnologie e cominciare finalmente a esporre per comunicare. Testo di riferimento delle problematiche relative ai musei e alla valorizzazione dei beni culturali, il volume in questa nuova edizione ha conservato invariato il suo impianto teorico ma ha subito una profonda revisione nella sua parte applicativa che ha tenuto conto sia delle numerose nuove esperienze realizzatesi negli ultimi dieci anni sia dell'evoluzione delle tecnologie digitali.
L'Europa ha perso slancio e vigore. E si è allontanata la prospettiva di una federazione europea. Le rigide politiche di austerità ma anche le resistenze opposte alle riforme strutturali hanno diviso l'Unione tra un'area forte nordica e mitteleuropea a trazione tedesca e un'area debole meridionale e mediterranea. Le conseguenze della crisi esplosa nel 2008 hanno aggravato questa spaccatura, accresciuto i pericoli di stagnazione economica, generato vaste sacche di povertà e di emarginazione sociale, accentuato le nevrosi dell'opinione pubblica, alimentando un'ondata di sfiducia e di scetticismo. Per sopravvivere e tornare padrona del proprio destino, l'Europa deve riacquisire la sua ragion d'essere originaria con una strategia incentrata sugli obiettivi dell'integrazione politica, della crescita e della competitività. Di questo compito dovrebbe farsi carico, per prima, la Germania, che ha conquistato negli ultimi anni un ruolo economico preminente senza però assumersi funzioni e responsabilità di leadership politica per costruire, insieme agli altri partner, un'Europa più equilibrata e solidale. Valerio Castronovo ha analizzato le vicende dell'Europa, a partire dalla caduta del Muro di Berlino: l'allargamento a Est e le sue complesse modalità, la nascita dell'euro e i problemi dell'unione monetaria, i controversi rapporti fra i paesi membri, il naufragio del progetto costituzionale, le relazioni ambivalenti con gli Stati Uniti...
"La vita non è in rima" vuol dire da un lato che i conti non sempre tornano. Dall'altro che, per fortuna, non siamo costretti a vivere secondo uno schema precostituito. E anche questo libro ha uno schema libero. Al centro c'è la scrittura di Ligabue, in tutte le sue forme. Si parte dalle parole - delle sue canzoni, dei suoi libri, dei suoi film - e si arriva a parlare del suo modo di vedere il mondo. La lingua e il dialetto, la famiglia e la politica, il dolore, la speranza, l'arte, il calcio, il sesso, l'amore, l'amicizia, la memoria, la felicità di riuscire a sentirsi - anche solo per un momento - "leggero, nel vestito migliore, nella testa un po' di sole ed in bocca una canzone". Dentro la scrittura di Ligabue c'è una scelta delle parole che rappresenta un punto di vista sulla vita. Ma soprattutto c'è tanta musica, che trasforma e amplifica il senso di ogni parola. Perché per ogni cosa detta c'è sempre un motivo e quel motivo è spesso il modo in cui la canzone ci entra nelle vene, diventa parte di noi. Un libro pieno di spunti sorprendenti - di acume, di dolcezza, di ironia - che farà scoprire Luciano Ligabue a chi ancora non lo conosce bene, ma stupirà anche chi (come ognuno dei suoi tantissimi fan) pensa di sapere già tutto di lui.
Chi scrive, produce, vende, legge e fa leggere libri oggi si pone mille domande: l'accelerazione tecnologica sta rendendo obsoleto il libro di carta? Uccide l'idea stessa di libro? E cosa accade nella scuola? Ad esempio, bisogna far acquistare alla propria scuola un tablet per ogni alunno? Le discussioni sono concitate, intervengono ministri affrettati e coloni digitali zelanti pronti a sostenere qualsiasi novità tecnologica. Fioccano le immagini di una nuova generazione a suo agio con lo schermo tattile e l'indice sfiorante, che se pur sarà refrattaria alla lettura avrebbe nuove competenze digitali, tra le quali la capacità di navigare distribuendo l'attenzione su molti schermi. Questo libro sostiene alcune tesi controverse (ma anche di buon senso): che i cosiddetti nativi digitali non esistono e che se veramente esistessero la scuola farebbe meglio ad aiutarli a guardare fuori degli schermi; che non c'è un sostituto elettronico dell'insegnante; e soprattutto che il libro di carta sarà pure a rischio commerciale a causa del suo cugino elettronico, ma è assolutamente insostituibile dal punto di vista cognitivo, perché protegge e non aggredisce la nostra risorsa mentale più preziosa: l'attenzione.
Prima di tutto, questa è la storia di una passione totalizzante; poi, è la storia di una disciplina in cui si uniscono amore, sfida, rischio, resistenza, tecnica e avventura. L'alpinismo - lo dice il nome - è nato e cresciuto sulle Alpi, dove si sono sperimentati per due secoli i materiali, le visioni e le tecniche della scalata. Sono state le Alpi il laboratorio mondiale della vertigine, il posto in cui crescevano i maestri e maturavano le idee poi esportate in Himalaya e sulle grandi montagne del pianeta. Nessun'altra catena montuosa ha prodotto tanta ricchezza di talenti, di progetti, di imprese, e non solo perché tutto è cominciato sul Monte Bianco nel 1786 ma soprattutto perché le Alpi sono diventate un crocevia internazionale di scuole e stili a confronto, generando una successione straordinaria di sogni, tentativi e conquiste. I 12 capitoli di questo libro ripercorrono i 12 gradi di difficoltà delle vie di arrampicata e il superamento dei grandi 'problemi' - dal Cervino alla parete nord dell'Eiger, fino alle grandi libere in Marmolada. Racconta questa storia di sfide e di tenacia Enrico Camanni e alterna la sua voce a quella dei numerosi protagonisti - da Petrarca a Quintino Sella, da Whymper a Preuss, da Comici a Messner, fino a 'Manolo', Steck e Destivelle - che hanno legato il proprio nome e spesso il proprio destino ai giganti di roccia e ghiaccio.
Il termine "danni collaterali" appartiene al linguaggio militare per indicare le conseguenze indesiderate delle operazioni belliche che comportano costi altissimi in termini umani. Non sono però prerogativa esclusiva della guerra: i danni collaterali rappresentano uno degli aspetti più diretti e sconcertanti dell'ineguaglianza sociale che caratterizza la nostra epoca. Perché ad essere intrinsecamente votati ai danni collaterali sono i poveri, per sempre segnati dal duplice marchio dell'irrilevanza e dell'indegnità. Causare danni collaterali è più facile nei quartieri loschi e tra le strade più malfamate delle città che nelle tranquille zone residenziali abitate da uomini potenti e altolocati. Tra l'occupare il gradino più basso della scala della disuguaglianza e il ritrovarsi "vittima collaterale" di un'azione umana o di un disastro naturale esiste lo stesso rapporto che intercorre tra i poli opposti delle calamite, che tendono a gravitare l'uno verso l'altro.
Oggi, come mai prima, il capitalismo mostra in Europa i suoi peggiori difetti, le sue mancanze più profonde, le sue più pesanti contraddizioni: quasi dappertutto la disuguaglianza è in aumento, il welfare è stato tagliato, i diritti dei lavoratori ridotti. Mentre un'enorme quantità di risorse pubbliche viene risucchiata dal salvataggio del sistema bancario, il potere delle grandi corporation produce nuovi problemi per lavoratori, consumatori e cittadini. È arrivato il momento di riformare il sistema economico in modo da limitare le conseguenze negative che produce sul sistema sociale. Colin Crouch dimostra che capitalismo non deve per forza significare dominio della ricchezza privata sulla vita pubblica. Le forze socialdemocratiche europee hanno il potenziale per progettare e costruire un sistema di mercato che incontri anche i bisogni dei cittadini. Ma per farlo devono scuotersi dalla posizione difensiva nella quale sono arroccate da troppo tempo e ridefinire coraggiosamente se stesse.
Circa novant'anni prima della nascita di Gesù, è questo il tempo della nostra storia. Gaio Giulio Cesare è un bambino di sette anni, vive a Roma, la più grande città del mondo. Lo aspetta un futuro di gloria, conquisterà terre lontane, sarà venerato dai suoi uomini, sarà pretore, console, imperatore, vincerà il vincibile, arriverà ai confini della terra. Ma intanto è un ragazzino come tutti gli altri, è ancora piccolo per fare la guerra ma abbastanza grande per guidare una banda di compagni. Il coraggio non gli manca. Anche se si tratta di affrontare un leone che si aggira libero per la città e il suo ruggito fa tremare. Come potrebbe avere paura? Lo aspettano un destino di battaglie, le legioni romane, le grida dei pirati, la resa dei nemici, il mantello del condottiero, il freddo della Germania e il caldo dell'Egitto. Età di lettura: da 6 anni.
Dio vuole la patria unita e in ordine, dicevano i militari. Dio è dove c'è giustizia sociale, ribattevano gli studenti. Una patria cattolica non può licenziare i lavoratori, gridavano gli operai in sciopero. Pur di ottenere la civiltà dell'amore cara a Dio, rincaravano i gruppi armati, è lecito sacrificare vite nella rivoluzione. Il peronismo è un movimento umanista e cristiano; no, il peronismo è la via attraverso cui il popolo edifica il socialismo. Tutti in nome di Dio, tutti in nome del popolo. Questo libro indaga l'intreccio di storia politica e religiosa in Argentina, dagli anni Sessanta fino all'ultima dittatura militare, e scopre che all'origine della sua storia è il mito di una nazione cattolica. Un mito divenuto presto una camicia di forza; un mito che, nato per unire, ha diviso fino all'odio fratricida: cattolica si proclamava la dittatura del 1966, cattolica e cresciuta nelle parrocchie era la guerriglia, cattolico il peronismo tornato al potere nel 1973, cattoliche le sue fazioni in guerra tra loro, fino al regime cattolico che pretesero di incarnare i militari giunti al potere nel 1976. Solo allora, dinanzi alla tragedia, una parte crescente della Chiesa e degli argentini iniziò a scoprire le virtù della laicità, della democrazia politica e dello Stato di diritto.
È notte, l'oceano è in tempesta. Una nave vichinga, un knarr, sembra non tenere più il mare, su e giù sballottata tra onde alte come montagne. Catbomb! Pataflash! Nonostante il subbuglio e le urla degli uomini, Ivar e Svala dormono tranquilli nella pancia della nave. Sono lì perché il padre sta andando in guerra e vuole metterli al sicuro, affidandoli al suo amico Fulberth. A migliaia di chilometri da casa, i bambini dovranno cavarsela da soli. "Questa è la storia di Thor il Divino, di quando Thrymm, il "Gigante Frastuono", rubò al figlio di Odino il martello": così racconta Fulberth, il vecchio cantastorie, a Ivar e Svala. E un mondo si spalanca davanti ai loro occhi: l'epopea del popolo vichingo, i viaggi, le avventure, dalla Svezia e dalla Norvegia le conquiste giù verso il sud, in Scozia, in Inghilterra, in Francia. Ma che terra è quella dove sono finiti? Cosa significa essere figli di un popolo guidato dal mare e attratto dalla terra? Età di lettura: da 6 anni.