L'arte romana ha soppiantato quella greca guidando la storia della creazione artistica verso una direzione nuova. Sfida, questa, storicamente difficilissima, dal momento che l'arte era intesa dai contemporanei come fenomeno propriamente greco, il che espose i Romani all'accusa di imitazione. Contrariamente ai Greci, gli artisti dell'Impero romano non cercarono di ricreare in maniera perfetta modelli presi dal mondo naturale, ma furono piuttosto interessati a rappresentare il mandato del sovrano, rappresentato dai filosofi romani come parte stessa del fato. Lo sviluppo graduale nel tempo dell'arte romana, di cui ogni passaggio resta per noi perfettamente tracciabile, condusse infine al grado di astrazione tipico dell'arte bizantina. Quando, dopo la morte di Cesare, il futuro Augusto, suo figlio adottivo, trionfò nella lotta per il potere sconfiggendo Marco Antonio nella battaglia di Azio il 2 settembre del 31 a.C, e successivamente diede una nuova costituzione allo Stato unificato (sotto l'influenza del suo consigliere Mecenate), l'arte romana trovò finalmente il proprio fondamento. Il Principato, nuova istituzione statale che si , rivelò decisiva per la nascita dell'arte di Roma, fu una felice combinazione di due forme di governo a prima vista incompatibili: repubblica e monarchia. Impulso fondamentale, in questo, è stata la scoperta del profilo di Mecenate (65-8 a.C), il quale recitò un ruolo fondamentale nella formazione dell'arte romana.
Julien Ries, storico delle religioni mediorientali, avvicinatosi agli ambienti degli studi preistorici e dell'arte rupestre ha potuto applicare anche alla preistoria il concetto di "homo religiosus" mutuato da Mircea Eliade. In accordo con il paleoantropologo Yves Coppens, per Ries l'uomo, dalla sua apparizione sul pianeta 2,5 milioni di anni fa (Homo habilis), è "homo religiosus". Il presente volume approfondisce nella prima parte il tema di come si possa ravvisare l'"homo religiosus", di come si sviluppi il rapporto col sacro e con le sue costanti: il mito, il simbolo e il rito, e infine di come l'uomo concepisca la presenza dell'aldilà. La seconda parte spiega, con i dati dell'archeologia, come, pur non potendo identificare tutta la complessità delle forme religiose della preistoria, noi constatiamo lungo centinaia di migliaia di anni la presenza dell'attività simbolica, mitica e rituale da parte dell'uomo. "Homo habilis", "Homo erectus", "Uomo di Neandertal", "Homo sapiens" ci mostrano diverse forme di capacità simbolica e di religiosità. Clamorose infine l'arte rupestre e le pitture delle caverne, dai 40.000 anni fa del Paleolitico superiore al Neolitico e all'età dei Metalli. Se un chiaro senso delle divinità appare con la sedentarizzazione intorno ai 10.000 anni a.C, le grandi religioni fanno la loro comparsa nel mondo mesopotamico. Prefazione di Fiorenzo Facchini.
Da più di un secolo il sacro occupa un posto di rilievo nella storia delle religioni. Nell'Ottocento infatti l'espansione coloniale ha suscitato in molti occidentali curiosità e interesse nei confronti della cultura, del pensiero e della religione dei popoli privi di scrittura. Nasce la teoria sociologica del sacro, un movimento di ricerca che considera il fenomeno religioso come fenomeno sociale. La scuola fenomenologica invece punterà a studiare la religione non partendo dalla società, ma dall'uomo religioso. Di conserva con queste due scuole, e sulla base dei dati da esse elaborate, prende piede un nuovo metodo storiografico. In quarant'anni di intenso lavoro Georges Dumézil mette a punto una ricerca comparata che gli permette di configurare il pensiero indo-europeo arcaico, dove il sacro appare legato alla funzione di sovranità. Grazie ad un analogo metodo comparato Mircea Eliade ricerca le articolazioni fondamentali del fenomeno religioso per individuare l'universo mentale dell'homo religiosus. A questi tre grandi filoni di ricerca è venuta a sovrapporsi la controversia sul sacro: conflitti di metodo e d'interpretazione negli ultimi decenni si sono moltiplicati. La prima parte del libro opera una sintesi delle principali teorie del sacro presso gli storici delle religioni da oltre un secolo a questa parte. La seconda parte del libro offre una rassegna del sacro nelle grandi religioni.
Nel dibattito attuale sulla evoluzione alcune questioni rimangono sempre vive a motivo dei progressi della scienza nel campo della paleontologia e della biologia e delle grandi domande che i temi delle origini sollevano. L'autore richiama l'attenzione su cinque nodi della evoluzione: evoluzione e creazione; crescita della complessità ed evoluzione; caso, finalità e finalismo; le specie nella evoluzione umana; la identità dell'uomo. Le questioni sono affrontate alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, senza ignorare le discussioni che si aprono in altri settori interessati ai temi delle origini. Una fedeltà rigorosa alla scienza per discernere dati, interpretazioni e ipotesi, e l'apertura a considerazioni su altri piani, come quello filosofico e teologico, hanno mosso l'autore, già noto per numerose pubblicazioni sul tema della evoluzione.
I brevi testi di questo opuscolo si possono paragonare a dei "frammenti": l'intero è il mistero di Cristo, di cui sant'Ambrogio invitava a scoprire i tesori nascosti e che oggi appare smarrito, abbandonato e persino si direbbe deliberatamente accantonato. Ora, un primo manipolo di "frammenti" riguarda Gesù risorto da morte e quanto da lui irraggia o in lui si risolve. Sono gli argomenti umani e cristiani fondamentali e sempre urgenti, d'altronde interpretabili e comprensibili unicamente alla luce del Crocifisso glorioso, come: il destino dell'uomo, la sua vita e la sua morte, il demonio e il male, l'inferno e il paradiso. A far da guida in queste riflessioni è proprio sant'Ambrogio con le sue intuizioni acute e folgoranti, che ne fanno in cristologia il dottore più perspicuo di tutti i dottori della Chiesa. Una seconda raccolta di testi ha come argomento la teologia, considerata in una molteplicità di aspetti e sullo sfondo del pensiero debole contemporaneo che, deprimendo l'intelletto e offuscandone lo splendore, rende impossibile la sacra dottrina. E qui la guida è Tommaso d'Aquino, nel quale limpidità e profondità si fondono, ma che, secondo Inos Biffi, è ancora largamente da scoprire. L'ultima parte dell'opuscolo è un incontro con alcuni santi e dottori che hanno trovato e illustrato con intensità e finezza singolari i "tesori nascosti in Cristo": da Ambrogio, che già conosciamo, a Bernardo di Clairvaux, a Bonaventura, e ancora a san Tommaso...
Perché siamo sottomessi agli imperativi dell'economia? La visione del mondo che ci propone questa disciplina è davvero realistica? È possibile concepire diversamente la produzione, il consumo e lo scambio? Partendo dalla storia e dall'antropologia, questo saggio rimette in discussione i presupposti dell'economia dominante, affermatisi nel corso dell'Ottocento e ormai divenuti obsoleti. L'egemonia del mercato, la lotta contro la scarsità e l'ossessione della crescita conducono all'abbondanza oppure alla penuria generalizzata? Con uno sguardo lucido e originale sulle diverse crisi - economica, finanziaria, energetica e alimentare - che ci minacciano, Gilbert Rist propone un altro modo di pensare la società e di affrontare i problemi ecologici, invitando alla costruzione di un nuovo paradigma economico.
Il problema del male non trova posto nella filosofia di Benedetto Croce: i suoi scritti rivelano una incrollabile visione ottimistica della realtà, pienamente positiva e in armonia con l'attività dell'uomo, chiamato ad operare per trasformarla. Eppure il male rimane in Croce come un'ombra che accompagna la sua vita e il suo pensiero, a partire dalla tragica notte del 29 luglio 1883, quando il terremoto di Casamicciola cancellò quanto aveva di più caro. I Taccuini personali rivelano che le terribili ripercussioni di quella notte si ridestarono puntualmente ad ogni evento drammatico di cui egli ebbe notizia: il terremoto di Messina, l'avvento del fascismo, la seconda guerra mondiale, la decadenza fisica, l'approssimarsi della morte. Tutto ciò venne a incrinare pericolosamente la compattezza del suo sistema, mirante a identificare il mondo dell'esperienza con l'Assoluto. Quello di Croce è l'ultimo grande tentativo filosofico di negare la possibilità stessa del male: scopo del libro, dopo la presentazione dei capisaldi della sua filosofia (Estetica, Logica, Storia, Etica), è discutere questa negazione, mostrando che il problema del male, in tutte le sue forme, mette radicalmente in discussione ogni filosofia dell'immanenza. Tutto ciò pone la riflessione filosofica di fronte a un dilemma inevitabile, oggetto delle Conclusioni del presente lavoro.
Nel 1994 l'economista inglese Hosea Jaffe componeva questo breve libro unendo tre testi e realizzando un'opera totalmente politically incorrect. La Germania stava prendendo per mano l'Europa, non solo per farle pagare la sua unificazione, ma per costringere i Paesi europei mediterranei a un'impossibile rincorsa al PIL e ad altri parametri dello sviluppo, distraendoli da politiche sociali, cioè da quella conquista che fu lo "Stato sociale". Politiche di ostacolo al progetto delle multinazionali tedesche - e non solo tedesche - e della Bundesbank, il tutto con l'aggiunta del keynesismo di guerra, il ricorso, cioè, a guerre locali devastanti ed ecologicamente catastrofiche, spesso giustificate con pretesti umanitari. La Comunità Europea, trasformata in Unione Europea dell'Euro, seguendo la Germania, ha aumentato il divario poveri/ricchi all'interno e ha reso neocolonia il suo Est. Ha condotto alla crisi profonda i suoi membri mediterranei e non solo, ha reso abituale il ricorso a interventi militari, ha esautorato il pensiero e l'azione politica. L'economista inglese di origine sudafricana, allora nei suoi 74 anni, aveva previsto con drammatica lucidità la corsa nel fosso dei Paesi europei, come i ciechi del dipinto di Bosch. Ripubblicare questo libro, a diciotto anni di distanza, ha il significato di dirsi che "capire è possibile": si vedeva da allora la corsa allegorica nel fosso dei Paesi europei e i costi deflagranti per le periferie dell'Europa e per altri Paesi colonizzati dall'Europa stessa.
Discendente dalla famiglia reale dei Folkungar, Brigida (1302/1303-1373) trascorre la sua giovinezza in un ambiente aristocratico e raffinato, imbevuto di profonda fede religiosa, la stessa che, dopo il matrimonio con Ulf Gudmarsson e dopo la nascita dei suoi otto figli, la spinge a intraprendere, insieme al marito, lunghi pellegrinaggi religiosi in tutta Europa e a scegliere di divenire terziaria francescana. Già prima, tuttavia, ella era riuscita a valicare i confini territoriali della Svezia, entrando in contatto con il ricco contesto intellettuale europeo, grazie al suo direttore spirituale, Matthias, dottore in teologia nell'Università di Parigi. Dama di corte della regina Bianca, moglie di Magnus Eriksson, cercò di influenzare la politica svedese, come si vede nel libro ottavo delle Rivelazioni, la raccolta delle visioni nel corso delle quali la santa intrattiene un rapporto d'amore intimo e assoluto con lo Sposo divino. Tale rapporto, iniziato alla morte di Ulf, la spinge prima a fondare un monastero ad Alvastra, il primo dell'ordine da lei creato, poi a intraprendere un viaggio in Terrasanta, durante il quale, in visita nei luoghi della vita di Cristo, ella ne rivive intensamente le fasi salienti. La fama di Brigida è legata soprattutto alle sue doti profetiche, che le procurarono grande considerazione presso papi e sovrani, e che giustificano la definizione che la santa dà di sé come "mistica giga" nelle mani di Cristo.
"Poemetto gastronomico e altri nutrimenti" di Tomaso Kemeny è un libro strano: da un lato pare una sorta di canzoniere-poema in cui tutta la realtà viene sottoposta alla prova della poesia: le persone amate, i poeti maestri, le ritualità cosmiche. Dall'altro manifesta un fluire narrante, apparentemente stralunato, in cui il libro si rivela una sorta di convivio dove immagini, ricordi, visioni si incontrano secondo un moto ondoso, creando una specie di moderna satura. Dallo sberleffo al desiderio del sublime (desiderio però controllato da un'ironia obbligatoria in questi casi), all'abbandono commosso di fronte a realtà concrete: elementari, non quotidiane. E in tal senso la prima parte del libro, il compatto "Poemetto gastronomico" che all'opera dà il titolo, si rivela il luogo di massima originalità. La lezione del Byron eroicomico, quello del Beppo e del Don Juan, attingente ai modelli italiani del Boiardo e del Pulci, si manifesta in Kemeny in forma di festosa poesia sul cibo e sulla gioia del vivere, un divertito canto alla vita che, nella sua piena felicità, porge la chiave per interpretare la seconda parte. Dove i nomi dei poeti amati e delle persone, i sogni notturni e cosmici di armonia celestiale, rivelano la loro natura malinconica, sempre confortata da un sorriso, realtà rara in poesia.