
I racconti che compongono "La pianura in fiamme" ripropongono, come pezzi di un mosaico, i personaggi e gli spazi di un Messico che Rulfo trae direttamente dai racconti degli abitanti del suo paese e dalla sua biografia. Le vicende narrate, dettate da un'infanzia vissuta tra morte e distruzione, racchiudono la stessa visione crudele del mondo che ritroviamo nell'universo di "Pedro Parámo": grida, preghiere e imprecazioni di una terra che mostra le sue radici più profonde. Rulfo racconta di uomini braccati e ammazzati, stremati dalla fame, dal sonno, dalla vita, di mammelle di pecora morse dal succhiare di un uomo affamato, di pallottole nel cielo. Nelle sue parole si sentono la terra, la polvere, le ore passate a camminare senza incontrare anima viva, circondati da una natura maligna: c'è la pianura dove si fatica a parlare perché "le parole si scaldano in bocca con il calore di fuori", dove cade solo una goccia di pioggia, non due. Dove non ci sono conigli. Né uccelli. Dove prima erano in venti a cavallo e ora sono in quattro a piedi. "I cicli vitali, il volgersi delle stagioni, il destino dell'uomo trovano in Rulfo un cantore eccezionale". Prefazione di Ernesto Franco.
"Questo è un documento, non un testo rielaborato. È la trascrizione, più fedele possibile, di due taccuini di appunti che ho preso durante un viaggio clandestino in Siria, nel gennaio di quest'anno. Inizialmente dovevano servire come base per gli articoli che ho scritto al ritorno. Ma a poco a poco, nei lunghi periodi di attesa o di inattività, nei tempi morti creati dalla traduzione durante le conversazioni, e a causa di una certa frenesia che tende a voler trasformare subito il vissuto in scrittura, quegli appunti si sono dilatati. È ciò che rende possibile la loro pubblicazione. A giustificarla, invece, è ben altro: sono il rendiconto di un momento breve e già scomparso, quasi senza testimoni esterni, degli ultimi giorni della rivolta di una parte della città di Homs contro il regime di Bashar al-Assad, poco prima che fosse soffocata in un bagno di sangue, ancora in corso mentre sto scrivendo".
Le donne nella poesia italiana contemporanea sono una presenza molto forte: dietro quella decina di autrici che tutti conoscono e molti amano c'è una ricchezza di voci emergenti di grande interesse e di sicuro valore. Questa antologia ne raccoglie dodici con la duplice intenzione: di farle leggere o rileggere a un giro di lettori abbastanza ampio e di confrontarle fra loro "a distanza ravvicinata", per vedere ciò che le unisce al di là dell'ineccepibile originalità delle singole scritture.
Lobbi ha ventidue anni quando accetta di prendersi cura di un leggendario roseto in un monastero del Nord Europa. È stata la madre, morta da poco in un incidente d'auto, a trasmettergli l'amore per la natura, i fiori e l'arte di accudirli, il giardinaggio. Cosi Lobbi decide di lasciare l'Islanda, un anziano padre perso dietro al quaderno di ricette della moglie, e un fratello gemello autistico. Lascia anche qualcun altro: Flòra Sòl, la figlia di sette mesi avuta dopo una sola notte d'amore (anzi, precisa lui, "un quinto di notte") con Anna. Con sé Lobbi porta alcune piantine di una rara varietà di rose a otto petali, molto cara alla madre, la Rosa candida. Questi fiori saranno i silenziosi compagni di un viaggio avventuroso come solo i viaggi che ti cambiano la vita sanno essere. Ad accoglierlo al monastero c'è padre Thomas, un monaco cinefilo che con la sua saggezza e una sua personale "cine-terapia" saprà diradare le ombre dal cuore di Lobbi. Ma sarà soprattutto l'arrivo di Anna e Flòra Sòl in quell'angolo fatato di mondo a provocare i cambiamenti più profondi e imprevisti nell'animo del ragazzo. Perché, per la prima volta, Lobbi scopre in sé un desiderio nuovo, che non è solo amore per la figlia e attrazione per Anna: è il desiderio di una famiglia.
Queste pagine sfuggono a una semplice definizione: sono un corso di autostima, un racconto divertente, un diario involontario, un manuale intemperante. Soprattutto sono vive, effervescenti, e fanno meglio - molto meglio - di una seduta dall'analista. Fanno quello che farebbe una cara amica. Se sei giù, ti fanno venire voglia di metterti in ghingheri e uscire. Se sei incline a guardarti l'ombelico, ti fanno venire il sospetto che là fuori, in mezzo alla gente e alle cose che ancora non conosci, si giochi una parte importante della partita. Viaggiare da sole significa buttarsi con curiosità nei luoghi in cui capita di trovarsi per scelta, per lavoro, per fuga. Significa cambiare valigia ("è il trolley l'invenzione che più di ogni altra, pillola anticoncezionale inclusa, ha contribuito alla liberazione delle donne"); scegliere l'albergo giusto, mangiare a un tavolo per uno senza sentirsi tristi. Anche da sole si può prendere un aperitivo sulla terrazza di un bar di Istanbul guardando il Bosforo. E dirsi che, certo, per mangiare le ostriche sarebbe meglio essere in due, ma in fondo la scelta peggiore è non mangiarle affatto. E a poco a poco, grazie alla forza dei pensieri e della scrittura, le pagine di questo libro trasmettono un'energia davvero contagiosa, ti spingono a partire anche da fermo, preoccupandoti di aprire delle porte e non di chiudere casa.
Questo libro parla di quasi niente. Di un quasi-niente che riguarda ogni essere umano e che, aduso com'è al (diabolico?) camuffamento, ci giunge qui celato sotto la doppia maschera del morbo più celebre della storia e della finzione letteraria, che di quel morbo fa metafora, canto, fabula. Le voci antiche e recentissime (da McCarthy a Lucrezio, a Camus, a Poe, a Leopardi...) che si susseguono e si richiamano "in eco" da queste pagine sono altrettante declinazioni di un'unica domanda, che è poi il quesito fondamentale di ogni filosofia: perché? Perché siamo al mondo, se dobbiamo morire? Specie se la morte può arrivare nella forma di una catastrofica, immotivata e noncurante malattia che appare e scompare senza senso alcuno. Una malattia che uccide, ma che può far di peggio, lasciando le sue vittime "solo" vive, nude e private di qualunque parvenza di civile umanità. Perché anche l'umanità può rivelarsi una maschera. Siamo qui per scontare una colpa? Magari solo quella di essere? È un'ipotesi amara, che però lascia spazio alla speranza, alla scintilla divina che scopre un senso possibile nel cuore stesso del non-senso. Oppure non c'è alcun destino e nessuna colpa? La natura è una macchina demente, il cielo è vuoto, e il niente la vince sul quasi-niente.
Maurizio ha dieci anni e non vede l'ora che comincino le vacanze. Per lui l'estate significa stare dai nonni a Crabas: lì ogni anno ritrova Franco e Giulio, fratelli di biglie, di ginocchia sbucciate e caccia alle libellule, e domina con loro un piccolo universo retto da legami che sembrano destinati a durare per sempre. Ma nell'estate del 1986 qualcosa di imprevedibile incrinerà la loro infanzia e mostrerà a tutti, adulti e ragazzi, quanto possa essere fragile il granito delle identità collettive. Basta un prete venuto da fuori a fondare una nuova parrocchia per portare una scintilla di fanatico antagonismo dove prima c'erano solo fratellanze. In quella crepa della comunità l'estraneo può assumere qualunque volto, persino i capelli rossi di un inseparabile compagno di giochi. In questo racconto insieme comico e profondo, la penna inconfondibile di Michela Murgia ci regala una storia di formazione in cui il protagonista scopre - insieme al lettore - cosa significa dire "oi". "Non era un pronome come negli altri posti, ma la cittadinanza di una patria tacita dove tutto il tempo si declinava così, al presente plurale".
Il talento infinito, l'amore del pubblico, la devozione delle donne, l'amicizia dei potenti: e Arnaldo Vezzi, il più grande tenore del suo tempo, crede di essere un dio. Quindi si prende quello che vuole, se ne serve e lo getta via; calpesta cuori e anime; deride, distrugge. Tutto deve essere suo, nulla gli si può rifiutare. Ma un dio può non essere immortale.
Che succede a giocare con le illusioni, a cancellare i sogni? Una cartomante e un'usuraia, nella stessa persona: inventare il futuro e sbriciolarlo tra le dita. Mentre la città si apre alla primavera, nel solito trionfo di profumi e canzoni, il più tenero degli amori diventa la peggiore delle condanne: e spegne nel sangue anche il ricordo di un'antica passione.
Sue Ellen ha sempre saputo che May Lynn sognava di diventare una star del cinema. Quando la ritrova annegata nel fiume Sabine, con i piedi legati a una macchina da cucire, decide con i suoi amici Terry e Jinx di bruciare il corpo e portare le ceneri fino a Hollywood. Un sogno forse irrealizzabile, ma che diventa realtà quando Sue Ellen e i suoi amici - un ragazzo bianco che tutti sospettano di omosessualità e una ragazza nera dalla lingua troppo lunga scoprono nel diario di May Lynn una mappa che li porta a dissotterrare un bel po' di soldi, più che sufficienti a pagarsi il viaggio fino alla Mecca del cinema, ma anche ad attirare le attenzioni di parecchia gente. Comincia così per i tre ragazzi una fuga a rotta di collo nel Texas degli anni Trenta, così caro a Joe Lansdale. Mentre sulle loro tracce, accanto a parenti avidi e tutori della legge corrotti, si staglia l'ombra di Skunk, un assassino spietato che vive nei boschi e taglia le mani alle sue vittime, avvolto nella leggenda eppure pericolosamente reale.