
Dagli eccidi della Rivoluzione francese ai totalitarismi del XX secolo; dalle persecuzioni anticristiane alla vicenda di Eluana Englaro, attraverso la crisi delle ideologie: Vincenzo Merlo ripercorre con il rigore dello storico e la convinzione del credente alcuni passaggi chiave degli ultimi due secoli, mettendo in luce mediante l’analisi puntuale delle grandi encicliche della Chiesa cattolica le ragioni dell’umanesimo cristiano, contro i guasti della modernità laicista che si adopera, oggi come ieri, per estirpare Dio dall’orizzonte dell’uomo.
Il pantano odierno è la conseguenza di una serie di errori commessi tutti a danno dell’uomo, scrive Rosa Alberoni nella Prefazione, perché, con le parole di Henri De Lubac, «non è vero che l’uomo non possa organizzare la terra senza Dio. Quel che è vero è che, senza Dio, egli non può in fin dei conti che organizzarla contro l’uomo».
Il titolo stesso ribadisce che il Vangelo e la tradizione cristiana rimangono riferimenti certi, fari luminosi per chi ha smarrito la via nella notte del mondo.
"C'è voluto un inverno per riordinare questi quaderni di appunti, così come scorrono, rivivendoli in un calendario, gli impegni e i problemi rimandati e non risolti dell'anno passato. Gli appunti si inseguono senza alcuna pretesa sistematica, ma, nonostante possano talvolta apparire tra loro slegati, rimandano in negativo, come una radiografia l'immagine del corpo, l'immagine dell'esistenza umana: fanno vedere tutto ciò che non si vede mai, ma che quotidianamente, invisibilmente, inconsciamente, ci portiamo appresso svegli o nel sonno". Così l'autore presenta gli appunti raccolti in questo libro che, partendo da uno spunto di attualità, da una ricorrenza liturgica, da un ricordo, da un sogno sollevano domande e suggeriscono risposte ai grandi temi del dolore, dell'amore, della solitudine, della gioia. Un avvincente romanzo di parole e di pensieri. Il diario in pubblico di un inconfondibile scrittore.
Se si leggono le ricostruzioni che storici e giornalisti fanno degli anni di piombo, sembra che i brigatisti rossi e i loro stretti parenti siano sempre stati considerati dei folli, isolati da tutto il resto del Paese. Sembra che il progetto di una società comunista, da realizzare attraverso una rivoluzione, sia stata una pazza idea nelle menti di pochi. Ma non andò così. Per una decina d’anni, diciamo dal 1968 in poi, l’estremismo di sinistra poté godere della benevolenza, del consenso, e a volte della complicità della maggior parte dei giornali e del mondo della cultura ufficiale. Ci volle il cadavere di Moro fatto trovare a metà strada fra le sedi della Dc e del Pci per interrompere una mistificazione che i mass media conducevano dal tempo della scoperta dei primi covi delle Brigate Rosse. Per dieci anni gli italiani furono ingannati dai nove decimi della stampa nazionale, che chiamò «sedicenti» le Brigate Rosse e nascose e negò qualsiasi episodio di violenza e di estrema sinistra. Perché accadde tutto questo? Molti giornalisti agirono per fede politica. Ma molti altri, più semplicemente, si accodarono seguendo il vento, che in quel momento sembrava portare a un immancabile trionfo del marxismo. Così, legioni di cronisti «borghesi» si misero l’eskimo, confermando una vecchia battuta di Leo Longanesi, e cioè che lo stemma al centro della bandiera italiana dovrebbe essere la scritta: «Ho famiglia».
Questo libro, il cui titolo è entrato a suon di edizioni nell’immaginario collettivo come la sintesi più efficace di un dato periodo di giornalismo italiano, riporta fra virgolette che cosa scrissero i giornali sui principali episodi di violenza dell’estrema sinistra. Il lettore della presente nuova edizione rivista e aggiornata, a distanza di tanti anni dalla prima del 1990, continuerà a stupirsi, incredulo.
«Perchè io ricordi quel preciso giorno non so;
a volte si incidono nella memoria dei gesti
che creano legami, simboli e resistono nel tempo;
ora capisco che essi racchiudono come un mistero
d'amore o di dolore e che mettono insospettate radici»
Mons. Álvaro del Portillo (Madrid 1914 - Roma 1994) è stato il principale collaboratore di san Josemaría Escrivá e il suo primo successore alla guida dell’Opus Dei.
Durante il Concilio Vaticano II contribuì a mettere in evidenza il ruolo dei laici nella Chiesa e fu segretario della commissione conciliare che elaborò il Decreto Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita sacerdotali. Venne ordinato vescovo da Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1990 ed è in corso il suo processo di beatificazione. Molte persone di ogni classe e condizione lo amavano per la sua bontà e la sua umiltà. Vittorio Messori, dopo averlo intervistato, dichiarò che, dinanzi alla sua semplicità e carità sacerdotale, aveva provato il desiderio di confessarsi con lui piuttosto che di intervistarlo.
Con questa accurata biografia Hugo de Azevedo presenta un ritratto a tutto tondo di mons. Álvaro del Portillo con una speciale attenzione alle sfaccettature della sua vita interiore.
Hugo de Azevedo, sacerdote, teologo e dottore in Diritto Canonico, è autore di numerosi saggi e collaboratore di Studi cattolici. Tra le sue opere, la prima biografia di san Josemaría Escrivá in lingua portoghese.
«Dovete comprendere che Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita unama: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire». Parole che risuonano con intramontabile attualità in quest’omelia pronunciata da san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, l’8 ottobre 1967 nel campus dell’Università di Navarra (Spagna) davanti a più di quarantamila persone provenienti da molti Paesi europei; quasi una «summa» del suo insegnamento sulla santificazione della vita ordinaria, vero luogo dell’incontro quotidiano con Cristo.
Questa nuova edizione di Amare il mondo appassionatamente, presentata da mons. Javier Echevarría, prelato dell’Opus Dei, è arricchita da un commento di Pedro Rodríguez, il teologo spagnolo che ha curato l’edizione critica del Catechismo romano e di Cammino.
In questa vita di san Giovanni Maria Vianney il cuore del devoto scalda l’indagine dello storico, rendendo palpitante la figura del grande sacerdote, mentre assiste per ore e ore i pellegrini che si avvicendano al confessionale, o quando, dal pulpito, impartisce i catechismi, con voce forte e fede certa, che contrasta col corpo minuto e l’animo discreto.
Il racconto inizia dalla canonizzazione del Vianney (25 maggio 1925), raccontando anche i miracoli che la resero possibile; poi anticipa le vicende della sua travagliata ordinazione sacerdotale, per tuffarsi, infine, nei fatti salienti della biografia ripresi in ordine cronologico. Rivivono qui i celebri incontri con i grandi del tempo, ma anche i quotidiani abboccamenti con gli umili abitanti del villaggio: per tutti il curato si rivelava padre responsabile e retto.
Un’attenzione particolare viene, quindi, riservata alla spiritualità del santo, fortemente caratterizzata anche dall’introspezione mistica e dalla conseguente impronta profetica, che gli derivavano dalla limpidezza della contemplazione e del dialogo con Dio. Nonostante gli assalti anche fisici del demonio, molteplici furono le grazie di conversione di natura miracolosa che accompagnarono la missione sacerdotale del Vianney, che dell’affidamento fece il suo stile di vita. Non a caso La Providence è il nome dell’opera di carità da lui realizzata.
Il volume apre, inoltre, a digressioni su molteplici aspetti poco conosciuti. Si chiariscono, per esempio, le questioni sul culto di santa Filomena e sull’iniziale diffidenza del curato verso le apparizioni della Madonna a La Salette; quindi, si riporta la giusta luce su alcune figure di rilievo nella formazione del Vianney, come san Benedetto Labre, che fu ospite nella sua casa paterna, o il cardinale Joseph Fesch.
L’Autore ha dedicato tre anni all’approfondimento della figura, dell’opera e del pensiero del Curato. In questo periodo ha passato anche moltissimo tempo ad Ars, godendo della fiducia e della preziosa collaborazione dell’archivista e di altri studiosi di questo santo che i Papi – non ultimo Benedetto XVI nel corso dell’Anno sacerdotale 2009-2010 – hanno solennemente indicato come modello per tutti i sacerdoti. Il risultato è che questo saggio mette per la prima volta a confronto e in dialogo tutte le fonti esistenti e le principali biografie del Vianney – dagli scritti di Catherine Lassagne, Alfred Monnin, Bernard Nodet e François Trochu, fino agli studi di oggi –, arrivando a delineare un ritratto ancor più completo, forse definitivo e corrispondente al vero.
Le scene della Passione di Gesù rappresentate con parole e immagini poetiche sotto una prospettiva inedita. Chi parla sono gli stessi personaggi del Vangelo che invitano a entrare con loro nel Cenacolo e, raccontando il loro incontro col Maestro, aprono a un nuovo sguardo sul mistero della Pasqua.
I testi sono il frutto di una meditazione condivisa fra Cecilia Pirrone e Giovanni Ferrario, marito e moglie; mentre le immagini sono tratte da una sacra rappresentazione che, a Lecco, coinvolge da diversi anni un’intera comunità cristiana intorno alla Morte e Risurrezione di Gesù.
Ne nasce una rilettura doppiamente originale. Non la pretesa di ricostruire i fatti storici, ma la saggezza di «leggere il Vangelo con il Vangelo», offrendo uno spazio di contemplazione. Non una qualsiasi ripetizione della Pasqua, ma il riflesso della fede di un popolo, frutto di un cammino interiore che si è fatto preghiera.
Sottolinea ancora il card. Comastri: «Mi è sembrato particolarmente significativo il fatto che queste scene siano state “dipinte” dal cuore credente di due giovani sposi. Questo fatto è un chiaro messaggio: è la famiglia il primo luogo dove la fede deve essere raccontata con la vita».
Alle famiglie, ai ragazzi della Comunione e della Cresima, agli educatori e ai catechisti è dedicato questo libro.
Nell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI ha richiamato la centralità della virtù della speranza nella vita del cristiano e di ogni uomo. Ogni progettualità, anche terrena, deve infatti fare assegnamento sulla speranza di raggiungere l’obiettivo, e le riflessioni di questo libro orientano a trovare il fondamento di ogni speranza: Cristo stesso, che con la sua Risurrezione ha vinto il mondo e guida ciascuno a raggiungere l’obiettivo supremo: la vita eterna. Attese umane, speranza cristiana, fiducia in Dio, vengono analizzate nella prospettiva della storia e della consumazione della storia. E, con Benedetto XVI, l’autore segnala l’agire, la sofferenza e il giudizio come «luoghi di apprendimento» della speranza.
A oltre sessant’anni dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, trenta dalla Legge 194, cinque dall’entrata in vigore della Legge 40, e viste le recenti e scottanti discussioni sull’eutanasia e sul testamento biologico, la coscienza di ciascuno di noi si trova, di fatto, violentemente interpellata e «obbligata» a una riflessione meno distratta sul tema fondamentale della vita. In tre sole decadi oltre cinque milioni di concepiti sono stati soppressi legalmente con l’IGV e ora ci si chiede quanti anziani e malati gravi potranno essere soppressi, a breve, altrettanto legalmente con procedure eutanasiche...
«Non bastano le cifre dei sociologi, nude, crude e fredde», puntualizza in queste pagine mons. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita, «è la realtà che ci interpella... Domandiamoci: quanto tutto questo è conforme alla realtà vera, quella che Dio ha pensato e che Cristo ha voluto?».
A questa emergenza educativa, l’Associazione Difendere la Vita con Maria, che nel 2009 ha festeggiato il decennale, risponde tramite iniziative pubbliche e la realizzazione di volumi come questo, chiamando a confronto teologi, politici e legislatori, medici, sociologi e psicologi, esperti di diverse discipline e persone comuni, per una nuova coscienza personale e collettiva, nella convinzione che la rinascita dell’Occidente possa partire solo da un ritrovato amore verso sé stessi e verso la vita.