
Il volume di Aldo Spranzi "L'altro Manzoni", pubblicato dall'Ares nel 2008, ha suscitato scalpore fra i critici e i lettori. La rivoluzionaria tesi di un Manzoni che avrebbe sotterrato nei Promessi sposi, sotto le apparenze di un cattolicissimo romanzo, una vicenda tutta diversa, è stata discussa dal Presidente e dal Direttore del Centro studi manzoniani di Milano, ed è stata condivisa dal prof. François Livi, italianista della Sorbona di Parigi. Il metodo adottato da Spranzi, di affidarsi esclusivamente all'autorità del testo del romanzo, senza illazioni biografiche e stratificazioni critiche, trova ora esauriente applicazione in questa edizione commentata del capolavoro manzoniano. La tesi spranziana risulta dunque dalle note al testo, che accompagnano il lettore pagina dopo pagina, verso un epilogo che ribalta centocinquant'anni di critica letteraria. Ecco perché "dalla lettura integrale del testo", qui fedelmente riprodotto, "emerge un'inattesa interpretazione del romanzo".
In sette conversazioni con il giornalista e storico Luciano Garibaldi, Giovanni Terzi, 46 anni, attualmente assessore del Comune di Milano, rivela il rapporto di intensa stima e di amore nei confronti del padre, il grande giornalista e narratore Antonio Terzi, scomparso l’8 settembre 2001.
Il libro riavvolge il colorato gomitolo della vita di Giovanni dalla prima infanzia, all’ingresso in politica, alla maturità ora raggiunta, nell’abbraccio sereno di papà Giovanni e di mamma Luisa e nella complicità forte con il fratello maggiore Pietro.
Ma rivivono nelle pagine, nello stile avvincente di un esperto giornalista, anche quarant’anni di storia e di vicende non soltanto milanesi, ma italiane, ricostruite attraverso il tessuto di relazioni e i fatti salienti della parabola umana e professionale di Antonio Terzi, oltre che attraverso i ricordi e le esperienze dei due autori-biografi: dagli «anni di piombo» ai protagonisti delle vicende di storia e di cronaca (solo per fare un nome, Enzo Tortora) che hanno segnato la seconda parte del Novecento, per irrompere nell’attualità, seguendo il cammino politico e culturale di Giovanni Terzi, professionista nella Milano di oggi, dove ha promosso una serie di iniziative volte al futuro della metropoli (tra le tante: i grandi concerti in piazza Duomo, il «sindaco d’agosto», la maratona, la fondazione di «Sìamo Milano», l’associazione che riunisce tutti gli «immigrati» di successo, i milanesi d’adozione che – come ha scritto il Corriere della Sera – «vogliono pagare il debito di riconoscenza con la città che li ha ospitati e ha permesso loro di fare strada nella vita»)...
Questo volume è, in definitiva, la storia di una famiglia affiatata, nel respiro di una famiglia più grande, altrettanto accogliente e unita, quale resta, nonostante tutto Milano.
17 marzo 1861: a Torino, in seduta straordinaria, il Parlamento subalpino proclama la nascita del Regno d’Italia, a compimento di un ciclo di vicende che dai moti costituzionali nei decenni della Restaurazione postnapoleonica, giunge alla conquista garibaldino-piemontese della Sicilia e del Mezzogiorno, con l’appoggio decisivo della Gran Bretagna. In queste pagine Massimo Viglione sviluppa un’analitica ricostruzione del processo risorgimentale, con sguardo privilegiato alle correnti di pensiero che l’hanno caratterizzato, sottolineando come i nodi irrisolti dell’unificazione politica abbiano pesato su tutta la successiva storia italiana del diciannovesimo e ventesimo secolo, culminata nell’enfasi del nazionalismo e del fascismo, nella guerra civile e nella morte stessa del concetto di patria.
08/03/2011
È in libreria «1861. Le due Italie» di Massimo Viglione
«1861. LE DUE ITALIE»
Identità nazionale, unificazione, guerra civile
di Massimo Viglione
IL LIBRO
17 marzo 1861: a Torino, in seduta straordinaria, il Parlamento subalpino proclama la nascita del Regno d’Italia, a compimento di un ciclo di vicende che dai moti costituzionali nei decenni della Restaurazione postnapoleonica, giunge alla conquista garibaldino-piemontese della Sicilia e del Mezzogiorno, con l’appoggio decisivo della Gran Bretagna. In queste pagine Massimo Viglione sviluppa un’analitica ricostruzione del processo risorgimentale, con sguardo privilegiato alle correnti di pensiero che l’hanno caratterizzato, sottolineando come i nodi irrisolti dell’unificazione politica abbiano pesato su tutta la successiva storia italiana del diciannovesimo e ventesimo secolo, culminata nell’enfasi del nazionalismo e del fascismo, nella guerra civile e nella morte stessa del concetto di patria.
L'AUTORE
Massimo Viglione insegna Storia Moderna e Storia del Risorgimento presso l’Università Europea di Roma ed è ricercatore dell’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Si è specializzato sul tema delle conseguenze della Rivoluzione Francese in Italia, in particolare sulle insorgenze controrivoluzionarie e sulla problematica risorgimentale. Numerose sono le sue pubblicazioni a riguardo, fra le quali ricordiamo: Rivolte dimenticate. Le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815 (Città Nuova, 1999); Le insorgenze. Rivoluzione & Controrivoluzione in Italia. 1792-1815 (Edizioni Ares, 1999); «Libera Chiesa in libero Stato». Il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale (Città Nuova, 2005); L’identità ferita. Il Risorgimento come Rivoluzione & la Guerra Civile italiana (Edizioni Ares 2006). Ha inoltre curato il volume collettaneo La Rivoluzione Italiana. Storia critica del Risorgimento (Il Minotauro, 2001).
Quelle cose che occhio non vide nè orecchio udì, nè mai entrarono in cuore d'uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano
Il Paradiso è un tema fondamentale della fede cristiana. Basti pensare che la Bibbia si apre con il Paradiso terrestre e si chiude con l’immagine della nuova Gerusalemme che scende dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Il Paradiso è all’inizio e al termine della storia della salvezza: la cacciata dal Paradiso contrassegna quella fase della storia dell’umanità sottoposta all’impero delle tenebre; nessun uomo è mai potuto entrare in Paradiso prima che Gesù Cristo redimesse il mondo con la sua morte in croce. Il ladrone pentito è entrato con Gesù in Paradiso con tutta la schiera degli uomini giusti, che avevano atteso a partire dagli albori della storia dell’umanità. Gesù Cristo ha riacquistato il Paradiso perduto versando il suo sangue.
Nona edizione italiana di quest'incantevole meditazione dei misteri del Santo Rosario che colloca il lettore al centro delle scene, per parteciparvi nella preghiera. Un «classico» della spiritualità tradotto in venti lingue, con un ricco apparato iconografico a colori e l'aggiunta dei misteri luminosi.
I toccanti commenti e i punti di meditazione contenuti in questo libro sono il frutto della contemplazione delle scene della Passione del Signore, che san Josemarà Escrivá ha assiduamente rivissuto. In contrappunto, le tavole pittoriche dipinte da Giandomenico Tiepolo nel 1747, per la Chiesa di san Polo a Venezia (pp. 128).
«Questo libro parla del nostro “mondo vitale”», scrive Pierpaolo Donati nella Presentazione, «cioè di quel mondo della vita quotidiana da cui traiamo il senso più profondo della nostra esistenza e dei rapporti sociali. Lo fa da una angolatura particolare, che è quella della donna e della famiglia. Alla donna e alla famiglia, infatti, appartiene in modo speciale quella “cultura della cura” senza cui non c’è umanità. L’Autrice ha scelto una strategia originale per parlarci di questo nostro mondo vitale: lo coglie dal punto di vista femminile, ma vuole parlare a tutti, uomini e donne, di ogni età e condizione sociale, e lo fa attraverso una serie di immagini tratte da poeti e scrittori antichi e moderni che suggeriscono pensieri e sentimenti da cui ricevere un alimento prezioso: l’attenzione all’Altro, la cura dell’Altro, nella casa. La casa è infatti il centro di quel mondo, e la donna è “il centro di questo centro”, il perno attorno a cui ruotano le relazioni di cura». E da queste fioriscono, giorno dopo giorno nelle piccole cose della quotidianità, l’intimità e l’accoglienza, la collaborazione e la creatività, la gratuità, la condivisione, la libertà partecipata, il sapore della festa, il senso della vita.
Marcello Marano, nato a Milano e vissuto a Cinisello, dopo il diploma di liceo classico è diventato un brillante ingegnere delle Telecomunicazioni, apprezzato ricercatore sui laser e sulla fotonica, docente di Fisica al Politecnico di Milano; è mancato all'affetto dei suoi cari e dei suoi numerosi amici a soli 28 anni, nel dicembre 2002, in maniera improvvisa. La sua storia, breve ma ricca di significato, è stata di esempio per molti che l'hanno conosciuto e, senza troppa agiografia, meritava di essere conusciuta e, speriamo, apprezzata ed emulata, anche da chi non lo ha direttamente frequentato. Quando Marcello ci ha lasciato era, da quasi sei anni, fedele "aggregato" dell'Opus Dei, una vocazione al celibato apostolico, rimanendo a pieno titolo nel mondo e nel suo ambiente sociale, che egli abbracciò e visse con convinzione e generosità.
Che cosa è stato il Risorgimento? Nella vulgata recepita nei testi scolastici diversi conti non tornano. Uno per tutti: com’è possibile che, in nome della libertà e della Costituzione, i governi liberali decidano la soppressione di tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Roma, quando il primo articolo dello Statuto dichiara il Cattolicesimo «religione di Stato»? Sta di fatto che 57.492 persone vengono messe sul lastrico, cacciate dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Non a caso i papi Pio IX e Leone XIII individuano nel Risorgimento un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», messo in atto dalla massoneria.
A centocinquant’anni dall’unità in Italia non solo si stenta ad ammettere questi fatti, documentati nell’evidenza delle fonti, ma si continua, da Nord a Sud, a combattere la comune identità cattolica quasi fosse l’ostacolo che preclude a un’autentica coesione nazionale.
L’Autrice – coraggiosa antagonista di ogni ideologia, come spiega mons. Luigi Negri nella sua introduzione – si muove da concezioni opposte: perché l’Italia possa riacquistare l’unicità che la caratterizza nella storia ha bisogno di riconoscere il peccato originale da cui è stata originata: l’attacco frontale alla tradizione cristiana e alla Chiesa cattolica.
La tragedia Processo e morte di Stalin – la cui stesura risale al 1960-1961 – venne rappresentata per la prima volta a Roma il 3 aprile 1962 al teatro della Cometa, dalla Compagnia Stabile di Diego Fabbri. Due anni più tardi, nel 1964, l’opera venne tradotta in lingua russa, e nel 1969 in lingua polacca da esuli dissidenti di quelle nazioni. Il testo russo ha avuto la rara sorte di circolare nell’Unione Sovietica attraverso il samizdat (o autoeditoria clandestina), quello polacco è valso all’autore l’onorificenza di «Cavaliere di Polonia», da parte del governo democratico polacco, che in quegli anni ancora sopravviveva in esilio a Londra. Nel frattempo si era venuto sempre più affermando nella cultura italiana – fino a conquistarvi una sorta d’egemonia – l’indirizzo promarxista. Ciò ha comportato l’isolamento e l’emarginazione di quest’opera. Molto più tardi, costretti dalle rivelazioni dei capi russi, i comunisti e i progressisti italiani hanno dovuto riconoscere come veri tutti i fatti che costituiscono materia della presente opera, e li hanno pubblicamente deprecati. In ogni caso rimane il fatto che in queste pagine l’autore ha non solo individuato con decenni d’anticipo, e con straordinaria lucidità, il fallimento inevitabile del comunismo, ma ne ha anche indicate le ragioni con una chiarezza alla quale in seguito non sono pervenuti né i teorici russi, né gli studiosi occidentali.