
Una donna cerca risposta agli interrogativi che la morte della sorella ha lasciato insoluti: perché, senza un motivo apparente, aveva cominciato a detestarla? Perché, pur essendo in tutto più dotata, si sentiva inferiore a lei? Perché sembrava tenere la vita a distanza, "come se scansasse del cibo dall'odore nauseante"? E nel secondo pannello di questo dittico di racconti un'altra donna, per sfuggire a un'esistenza che la intossica, a poco a poco si trasforma in una pianta: la sua inquietudine si placa, il suo corpo sofferente fiorisce e dà frutti - prima di appassire, forse per sempre. Ci sembra di conoscerle, queste figure femminili che richiamano i motivi e l'aura della Vegetariana, ma non cessano di stupirci per la loro straniata singolarità. Creature dolenti, sedotte dal richiamo dell'autoannientamento come unica forma di difesa dalla violenza insita nel nutrirsi, nel sentire, nel vivere. "Presto, lo so, perderò anche la capacità di pensare, ma sto bene. È da tanto tempo ormai che sognavo questo, di poter vivere solo di vento, sole e acqua". Col suo tocco elusivo, la prosa scabra di Han Kang sfiora ancora una volta l'orrore senza spiegarlo e ci lascia, attoniti, a contemplare la disturbante malìa del rifiuto di sé.
«È tutt'altro che un'opera ascetica: è un romanzo pieno di sesso ai limiti del consenziente, di atti di alimentazione forzata e purificazione - in altri termini di violenza sessuale e disordini alimentari, mai chiamati per nome nell'universo di Han Kang ... Il racconto di Han Kang non è un monito per l'onnivoro, e quello di Yeong-hye verso il vegetarianesimo non è un viaggio felice. Astenersi dal mangiare esseri viventi non conduce all'illuminazione. Via via che Yeong-hye si spegne, l'autrice, come una vera divinità, ci lascia a interrogarci su cosa sia meglio, che la protagonista viva o muoia. E da questa domanda ne nasce un'altra, la domanda ultima che non vogliamo davvero affrontare: "Perché, è così terribile morire?"». (The New York Times)
Robert Eisler è stato il più misconosciuto fra i grandi visionari eruditi del Novecento. Studioso geniale e atipico, sempre ai margini del mondo accademico, ha lasciato un'opera multiforme e inclassificabile. E questo libro ne rappresenta l'estremo, grandioso epilogo. Influenzato da Jung e dalla sua teoria degli archetipi, si presenta come un'indagine socio-antropologica sulla crudeltà e l'aggressività umane, che ha l'audacia di suggerire una derivazione storica, o meglio preistorica, per ogni crimine e ogni violenza, «dall'attacco alla singola vita noto con il nome di assassinio o omicidio a quella forma di uccisione collettiva organizzata che chiamiamo guerra». La tesi di Eisler non potrebbe essere più concisa: se l'uomo moderno è sul piano biologico «la più spaventosa di tutte le bestie da preda» - secondo la definizione di William James -, e se al contrario il suo antenato era un primate frugivoro, a un certo stadio dell'evoluzione deve essersi verificata in lui una mutazione irrevocabile «dalle conseguenze disastrose e permanenti». È questa la «Caduta» che si cela dietro al misterioso fenomeno psichico denominato «licantropia», nonché ad altre manifestazioni patologiche. Sono poche, densissime pagine sorrette da una documentazione impressionante, una foresta di note dove proliferano miti, riti e leggende dei luoghi più disparati del pianeta - e che fanno di questo libro uno dei viaggi più inquietanti nei recessi di quella che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare «natura umana».
Il dialogo con l'India che soggiace a tutti gli scritti di René Daumal nasce quando a vent'anni decide di dedicarsi allo studio del sanscrito: ne scaturirà una personale "Grammatica sanscrita", assoluto capolavoro, che testimonia l'unicità e l'originalità della sua interpretazione del mondo indiano, da lui sempre restituito con la massima trasparenza. Il progressivo percorso di assimilazione e di penetrazione nella lingua e nelle dottrine indiane non è mai per Daumal un'operazione di semplice erudizione, ma un vero e proprio lavoro su di sé. I temi vengono sempre affrontati in funzione del «che fare» e del «come fare», e i trattati di poetica vanno intesi non solo in termini estetici, ma come ricerca del «corpo della poesia», per inseguire l'analogia fra «poema» e «uomo» in una cultura dove «le scienze del linguaggio risultano incluse fra i principali mezzi di liberazione». Le traduzioni e i saggi raccolti in questo volume - in gran parte inediti -, oltre a rendere comunicativi, quasi cantanti, testi ritenuti inaccessibili, forniscono una preziosa chiave per affrontare l'opera dello stesso Daumal. Il ventaglio delle traduzioni è estremamente ampio: dai più complessi inni del "Rgveda" alle Upanisad, alle "Leggi di Manu", alla "Bhagavadgita", fino alla più alta poesia e alla fiaba. «Lo stato di uomo è difficile da raggiungere in questo mondo» recita un verso dell'"Agnipurana" che Daumal trascrive e traduce più volte. E queste pagine inducono a pensare che Daumal vi sia riuscito.
«Alle cinque ero là, come gli altri giorni... Stavo mandando giù un sandwich, e intanto mi guardavo intorno distrattamente... E a un tratto ho notato una donna che mi osservava sorridendo... «Non sono un dongiovanni, mi creda... Mi è sempre bastata mia moglie... «Ma quella lì... Mi sono subito chiesto che ci facesse in un locale così popolare... Le capita di andare al cinema, no?... Ha presente le dive americane, le vamp, come le chiamano?... «Be', dottore, avevo davanti agli occhi una vamp!...».
«L'universo» scrive George Musser introducendo la sua sorprendente incursione nelle acquisizioni della fisica contemporanea «è un luogo selvaggio e capriccioso, pieno di insidie e di arbìtri»; eppure, su quello sfondo, «le leggi del mondo brillano per la loro rassicurante regolarità». Una regolarità che passa per vincoli come quello della «località», cui Einstein associava due aspetti chiave – la «separabilità» tra due oggetti e il loro interagire solo per contatto – e che rappresenta «l'essenza stessa dello spazio». Ma negli ultimi decenni la fisica sta dimostrando come, a un livello più fondamentale, il discorso muti, con le coppie di particelle sottoposte a quella che Einstein stesso definiva «un'inquietante azione a distanza», e che ora possiamo ricondurre al principio di «non-località». In certi esperimenti tali coppie si comportano come «monete magiche» in grado di far uscire sempre testa o croce in sinergia, a prescindere dallo spazio che le separa: possono cioè «allontanarsi fino alle estremità opposte dell'universo, e comportarsi lo stesso all'unisono». Ed è solo l'inizio: diverse tipologie di non-località sembrano agire molto al di sopra del livello subatomico (nei «paradossi» dei buchi neri o nella struttura «su larga scala» dell'universo), tanto da risultare decisive in una riformulazione della teoria unificata delle forze. Ma le conseguenze più profonde investono la natura stessa dello spazio, che secondo le nuove conoscenze potrebbe non essere «la base ultima della realtà fisica».
Otto, il protagonista di questo racconto che segnò l'esordio letterario di Márai, è un formidabile, agghiacciante esempio di abiezione spontanea, naturale e ragionevole: uccidere animali in un mattatoio o soldati nemici in guerra non fa una grande differenza per lui, anzi corrisponde a una sorta di vocazione. Che si manifesterà in seguito in una forma brutale. Anticipando la Figura di Moosbrugger, il memorabile criminale dell'Uomo senza qualità di Musil, Márai ha saputo concentrare in un personaggio l'incontenibile sommovimento psichico che condusse alla prima guerra mondiale e devastò gli anni successivi. Ma racconta tutto questo con la pacatezza, lo scrupolo e la concisione di un cronista - come qualcosa che appartiene a una nuova, terrificante normalità.
Nell'Inghilterra vittoriana Sukey Bond, appena uscita dall'orfanotrofio, viene mandata a servizio in una fattoria dell'Essex. Nulla di meno fiabesco, verrebbe da pensare. Eppure la scrittura obliqua e onirica di Sylvia Townsend Warner ci fa vivere, in questo romanzo, una delle più enigmatiche ed emozionanti storie d'amore che sia dato leggere - dedicata, non a caso, ad Amore e Psiche. Perché nella fattoria lavora un giovane bellissimo ed elusivo, che nei loro rari, furtivi incontri guarda Sukey «con un'espressione di splendente trionfo». Tutti dicono che è «un idiota», ma Sukey lo vede solo «ilare e candido», sapendo che lei, e solo lei, potrà renderlo felice. E quando Eric le verrà rapito, Sukey capirà che il suo futuro non è più «una regione inesplorata fatta di nuvole», e andrà a cercarlo con infinita de terminazione. Cosi come infinite saranno le sue peripezie, al termine delle quali, con ironica maestria, ci verrà restituita una delle cose più preziose: la fiducia nell'impossibile.
Quando, in una notte di pioggia scrosciante, Pierre Chave attraversa illegalmente la frontiera tra il Belgio e la Francia (dov'è ricercato per diserzione), non ignora che la sua sarà una corsa contro il tempo: per evitare che una bomba scoppi in una fabbrica di aerei nella periferia di Parigi, facendo decine di vittime innocenti, deve a ogni costo riuscire a trovare Robert, il «ragazzino» fragile, infelice e bisognoso di affetto - Robert che, dopo averlo venerato come un maestro, si è sottratto alla sua influenza lasciandosi indurre a compiere un attentato. Lo scopo di Chave non è soltanto salvare gli operai della fabbrica, ma impedire che Robert si macchi di una colpa orrenda. Perché, pur credendo fervidamente nell'ideale anarchico, aborre la violenza, ed è persuaso che il terrorismo come metodo di lotta politica sia una strada senza uscita. L'uomo è consapevole che la sua è una missione quasi disperata: su di lui pesano infatti i sospetti della polizia, e insieme quelli dei suoi stessi compagni, convinti di essere stati traditi. Un romanzo à bout de souffle, uno dei pochi di Simenon, ha scritto André Gide, in cui il protagonista agisce dall'inizio alla fine «spinto da una volontà ferrea».
Come sappiamo dalle sue strepitose lettere, nonché dalla leggenda che circonda la sua carriera di attore, Groucho Marx era Groucho in ogni sua manifestazione, e la comicità che irradiava sullo schermo si nutriva delle ricche assurdità della sua vita. Così, un'autobiografia di Groucho non poteva certo somigliare alle tediose elencazioni di travolgenti successi che spesso costituiscono le vite delle star. E alla fine, usciremo da questo libro storditi e felici come dopo aver visto uno dei suoi migliori film.