
«Grande romanzo, Il treno: per la capacità del suo autore di concentrare in meno di centocinquanta pagine l'affresco storico e la vicenda privata; per la straordinaria efficacia dei dialoghi... per la sapienza con la quale (bastano talvolta pochi tocchi: un corpo nudo sotto il vestito, un paio di mutandine stese al sole) l'immaginazione sa nutrire l'erotismo.» (Giorgio Montefoschi)
«Una sera, in una linda casetta di provincia come si vedono nei film, c'è il professor Ashby, solo. Lavora al tornio, macchina rumorosa, a fare basi per lampade; la moglie è andata da certi amici. Rientra Belle Sherman, ragazza diciottenne che i coniugi Ashby ospitano. La mattina dopo Belle viene trovata soffocata e violentata. Siamo a pagina 28. Da quel momento Ashby è il sospettato numero uno, l'uomo sul quale si abbattono i martellanti interrogatori del procuratore. Quella tremenda pressione fa riaffiorare in Ashby il lontano ricordo di un osceno turbamento giovanile: il ricordo diventa incubo erotico e l'incubo una spirale attorno alla quale comincia a girare in cerchi sempre più stretti, fino a quando... È curioso come, al fondo del racconto, ci sia una forte componente di vita, autobiografica,» (Corrado Augias)
«È un giovane di nome Gilles Mauvoisin il viaggiatore che sbarca nel porto di La Rochelle, in faccia all'Atlantico, da un cargo proveniente da Trondheim, in Norvegia. Il giovane indossa un lungo cappotto nero e un berretto di lontra anch'esso nero. A Trondheim ha perso entrambi i genitori, artisti giramondo di varietà, asfissiati dalle esalazioni di una stufa. Ora quell'orfano povero e smarrito si trova a La Rochelle come unico erede di una fortuna immensa: così ha disposto il fratello di suo padre, il temibile, solitario, inaccostabile Octave Mauvoisin ... "Monsieur Atmosphère", come Simenon è chiamato, ha già messo in moto la sua infallibile macchina romanzesca. C'è "un mondo bianco e grigio nel quale i suoni, soprattutto le sirene delle navi, diventano più penetranti, struggenti perfino" e intorno il groviglio di torbidi interessi, di sospetti, di velate minacce, di ipocrisie, di viltà, di ambigui ritorni del passato, che l'arrivo di Gilles ha scatenato». (Giulio Nascimbeni)
Le avventure di Mickey nel regno fatato dove ogni bambino sognerebbe di rifugiarsi, quando scende il buio: una meravigliosa panetteria.
Secondo la visione comunemente accettata della selezione naturale, perché un carattere si evolva è necessario che sia adattativo, che aumenti cioè la probabilità di sopravvivenza dell'individuo. Con uno scarto audace rispetto all'ortodossia dominante, Richard Prum ipotizza invece in questo libro che alcuni tratti, soprattutto quelli coinvolti nel corteggiamento, siano frutto di scelte arbitrarie: una specie manifesterebbe una preferenza per un certo carattere giudicato bello, e in base a quella preferenza uno dei due sessi (in genere quello femminile) effettuerebbe la scelta del partner. La prole della coppia erediterebbe così non solo il carattere ritenuto attraente, ma anche la preferenza. In effetti nell'Origine dell'uomo Darwin aveva delineato una visione puramente estetica della selezione sessuale: ma i tempi non erano maturi, e per i suoi colleghi dell'epoca vittoriana l'idea che le preferenze femminili - l'«immorale capriccio femminile», come veniva allora chiamato - potessero rappresentare una pressione selettiva determinante era inconcepibile. Centocinquanta anni dopo, con indiscutibile autorevolezza, Prum conferisce nuova vita alla teoria rivoluzionaria di Darwin, ma si spinge oltre: spaziando tra biologia evolutiva, filosofia e sociologia, riscrive la teoria dell'evoluzione (che si tratti dell'evoluzione delle penne del pavone o di quella dell'orgasmo femminile), riscatta il ruolo della bellezza e del desiderio, e ci offre una nuova, affascinante storia naturale incentrata sull'arbitrio femminile e il senso del bello contrapposti alla legge della lotta e al dominio del più forte.
Formidabile personaggio Yasha Mazur, soprannominato il Mago di Lublino: illusionista, saltimbanco, ipnotizzatore, capace di liberarsi da qualunque corda e di aprire qualunque serratura - ma anche minacciato dalla noia, malato di irrequietezza, sempre affamato di «nuovi trucchi e nuovi amori». E, come altre figure magistralmente tratteggiate da Singer, combattuto fra insaziabili appetiti carnali e nostalgia degli antichi riti della sua religione. Di donne, oltre alla moglie che lo aspetta pazientemente nella casa di Lublino, Yasha ne ha almeno tre o quattro, e di una di loro, una vedova cattolica, è innamorato al punto di volersi convertire per sposarla (ma gli piace parecchio anche la figlia: certo, ha solo quattordici anni, ma basta che cresca un po'...). Con lei vorrebbe partire per l'Italia, che in questo scorcio del diciannovesimo secolo sembra potergli offrire tutte le opportunità che non avrà mai nel suo paese. E tuttavia non sa decidersi, i dubbi lo tormentano «come uno sciame di locuste». Finché un giorno non accadrà qualcosa - qualcosa di terribile - che indurrà il Mago di Lublino a intraprendere un cammino che non avrebbe mai immaginato di percorrere.
«Pierre è tutto forza, muscoli, salute. Charles è il cervello della famiglia!» diceva la gente. Tant'è che se Pierre aveva preso il brevetto di capitano era stato solo grazie all'aiuto di Charles. Dei gemelli Canut, tutti preferivano Pierre, «Pierre che viveva appieno la vita, Pierre che era bello, che era forte, Pierre che sorrideva sereno scrutando l'orizzonte e ispirava una fiducia immediata, un'immediata simpatia!». Mentre Charles, che era debole di petto e non poteva lavorare sui pescherecci come la maggior parte degli uomini di Fécamp, rimaneva nell'ombra del fratello. Per di più, era uno che «temeva di offendere le persone, di dar loro un dispiacere» - uno che non faceva altro che scusarsi. Eppure, il giorno in cui Pierre viene arrestato con l'accusa di aver ucciso l'ultimo dei superstiti del naufragio in cui il padre, trent'anni prima, aveva perso la vita in circostanze mai chiarite (si sospetta un caso di antropofagia), Charles decide di «sbarazzarsi di se stesso, di quel Canut timido e dimesso» che è sempre stato e di dimostrare a tutti di che cosa è capace: sarà lui a smascherare il vero assassino e a salvare il fratello! Ma nessuno come Simenon sa che non ci si sottrae al proprio daimon, e che gli dèi si divertono a vanificare i nostri sforzi più generosi. Due ragazzi segnati dalla morte atroce del padre, una madre impazzita dal dolore, un feroce omicidio: questi gli ingredienti di un romanzo di fenomenale potenza.
«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari)
Tra il 1917 e il 1919 Max Weber tenne due conferenze dal titolo Die geistige Arbeit als Beruf, che potremmo tradurre «Il lavoro dello spirito come professione». Formulazione quanto mai pregnante, perché rappresentava l'idea regolativa, il progetto e la speranza che avevano animato il mondo della grande cultura borghese tra Kant e Goethe, tra Romanticismo e Schiller, tra Fichte e Hegel, e avrebbero costituito il filo conduttore dello stesso pensiero rivoluzionario successivo, da Feuerbach a Marx. Il «lavoro dello spirito» è il lavoro creativo, autonomo, il lavoro umano considerato in tutta la sua attuosa potenza, e volgersi alla sua affermazione significa liberazione di ogni attività dalla condizione di lavoro comandato, dipendente, e cioè alienato. Ma il suo dissolversi nella forma capitalistica di produzione, nell'universale macchinismo, che fagocita quella Scienza che pure è l'autentico motore dello sviluppo, finisce col delegittimare la stessa autorità politica, che nella «promessa di liberazione» trova il proprio fondamento. La «gabbia di acciaio» è destinata dunque a imprigionare anche quel «lavoro dello spirito» che è la prassi politica? Lo spirito del capitalismo finirà col destrutturare completamente lo spazio del Politico, riducendolo alla forma del contratto? O tra Scienza e Politica sono ancora pensabili e possibili relazioni che ci affranchino dal nostro «debito» nei confronti del procedere senza mete né fini del sistema tecnicoeconomico? Sono le attuali domande che, un secolo fa, nessuno ha posto con la drammatica chiarezza di Max Weber - e con le quali, oggi, Massimo Cacciari si confronta.
Lungo l'intera storia del pensiero, il legame tra biografia e speculazione filosofica si è spesso rivelato determinante, ma mai come in Giordano Bruno, che guardava alla propria vita come a un dono degli dèi, in vista di un destino eccezionale. Lo testimonia questa documentata biografia, che, scritta dal massimo interprete di Bruno, offre anche la migliore chiave d'accesso al nucleo più profondo della sua esperienza filosofica. Un'esperienza, e una vita, eminentemente rinascimentali, indagate e raccontate con maestria, fino al culmine del celebre processo; e qui, prendendo le distanze dal mito di un Bruno pronto a immolarsi quale martire del libero pensiero, Ciliberto lo mostra impegnato a giocare tutte le proprie carte per salvarsi. Solo dopo ottanta mesi di prigionia e di travaglio interiore, Giordano Bruno sceglierà la morte - e riuscirà nello stesso tempo a capovolgere il rapporto con gli inquisitori, ergendosi a giudice e riducendo la Congregazione al ruolo di imputato davanti al tribunale della verità.