La riflessione etica è davvero separabile da un’indagine sulla natura dell’uomo, come ritiene gran parte della filosofia morale contemporanea? Non è questa l’opinione di Charles Taylor, uno dei più importanti filosofi contemporanei: in questo volume, che riunisce per la prima volta in traduzione italiana un’ampia selezione degli scritti di etica e di antropologia filosofica, lo studioso canadese chiarisce come i due piani del discorso – quello etico e quello antropologico – si intersechino e si combinino costantemente e fruttuosamente. Da questo intento principale trae origine una riflessione ricca di spunti e temi in cui trovano spazio questioni filosofiche fondamentali come la comprensione dell’agire umano, la definizione di persona, la relazione tra emozioni e ragione e tra la natura umana e il linguaggio, le aporie dello scetticismo e del relativismo etico, la diversità dei beni umani, i limiti dell’utilitarismo e delle etiche procedurali. Il tutto in uno stile di pensiero originale che unisce il rigore dell’approccio analitico e l’ampiezza di orizzonti della filosofia continentale.
Charles Taylor (Montreal, 1931) è professore di Filosofia e Diritto alla Northwestern University di Chicago e professore emerito di Filosofia e Scienze politiche alla McGill University di Montreal. È autore, tra l’altro, di Hegel e la filosofia moderna (Bologna 1984), Radici dell’io (Milano 1993), Il disagio della modernità (Roma-Bari 1994), La modernità della religione (Roma 2004), Modern Social Imaginaries (Durham 2004).
Paolo Costa (Milano, 1966) è dottore di ricerca in Antropologia filosofica. Svolge attività di ricerca presso l’Istituto per le Scienze Religiose di Trento. È autore, tra l’altro, di Verso un’ontologia dell’umano. Antropologia filosofica e filosofia politica in Charles Taylor (Milano 2001) e ha curato l’edizione italiana di La modernità della religione.
Nell’accesa discussione sui rapporti tra mondo islamico e Occidente, questo saggio di Roger Scruton propone una tesi che coglie con immediatezza alcuni aspetti innegabili della questione. Alla radice delle attuali difficoltà nelle relazioni tra islam e Occidente stanno differenze costitutive intorno alla concezione dell’ordine politico. Nella tradizione occidentale esso è fondato sulla laicità, sul concetto di contratto sociale, sull’idea di cittadinanza. Nel mondo musulmano, al contrario, a legittimare la politica è il richiamo - o addirittura l’adesione - alla tradizione coranica.
Questa netta divergenza non rappresenta certo una novità. Ma la globalizzazione, che diffonde nelle nazioni islamiche immagini, prodotti e figure delle democrazie liberali secolarizzate, radicalizza tale opposizione, provocando effetti deflagranti e scontri violenti. D’altro canto, il credo islamico garantisce ai suoi membri la certezza dell’appartenenza comunitaria a una fede, mettendo in luce, per contrasto, la debolezza dei legami sociali in Occidente, frutto di una concezione esasperatamente individualistica della libertà.
Convinto della validità della tradizione liberale democratica, e delle forme di organizzazione sociale e politica da essa alimentate, Scruton ci offre una riflessione estremamente lucida che arricchisce il dibattito sull’incontro/scontro tra le civiltà, che troppo spesso sembra cedere a stereotipi e luoghi comuni, anziché privilegiare un’analisi argomentata e scevra da pregiudizi.
Filosofo, scrittore e giornalista, Roger Scruton è stato professore al Birkbeck College di Londra e all’Università di Boston. Tra le sue molte pubblicazioni: Thinkers of the New Left (London 1985); A Land Held Hostage: Lebanon and the West (London 1987); An Intelligent Person’s Guide to Modern Culture (trad. it. Guida filosofica per tipi intelligenti, Milano 1997); Modern Philosophy: An Introduction and Survey (trad. it. La filosofia moderna. Un compendio per temi, Firenze 1998); Spinoza (trad. it. Milano 1998).
Questo volume ricostruisce con accuratezza critica e filologica la vicenda umana e intellettuale di Karl Barth, il maggiore teologo riformato del XX secolo, nei decisivi anni a ridosso dello scoppio della Grande Guerra. Sulla spinta dell’esperienza del cosiddetto ‘socialismo religioso’ e della frattura provocata dal conflitto mondiale nel mondo cristiano e nella stessa teologia, Barth reciderà i suoi legami con la ‘teologia liberale’, alla cui scuola si era formato, e giungerà alla stesura dell’opera più importante del Novecento teologico, il suo commento alla Lettera ai Romani. La ricerca di Alberto Gallas mostra con assoluta originalità come la vicenda intellettuale e biografica qui presa in esame non sia soltanto un momento, per quanto decisivo, di passaggio, ma determini le strutture fondamentali della posteriore teologia barthiana, destinate a restare costanti nel corso di tutta la sua opera.
Alberto Gallas (1951-2003) ha insegnato Storia della teologia all’Università Cattolica di Milano. Curatore dell’edizione italiana degli scritti di Bonhoeffer (Brescia 1994 ss.), ha raccolto il frutto di una lunga attività di studio sul teologo tedesco nella monografia Anthropos téleios. L’itinerario di Bonhoeffer nel conflitto tra cristianesimo e modernità, (Brescia 1995). Tra gli altri suoi centri d’interesse si segnalano la Riforma e Lutero (con il saggio introduttivo e la cura di Martin Lutero, Contro i profeti celesti sulle immagini e sul sacramento, Torino 1999) e Kierkegaard (di cui ha curato l’edizione italiana de L’istante, Genova 2001).
Attento alla diffusione della cultura teologica e al dialogo ecumenico, ha pubblicato articoli, oltre che su numerose riviste scientifiche, su Linea d’ombra, Servitium, La rivista del clero italiano, Esodo, Il Regno, Gioventù evangelica.
Il nesso tra affetti e legami è questione decisiva nell’odierno contesto culturale, sempre più incline a ridurre l’affezione a emozione e la ragione a calcolo. Ne consegue una razionalità astratta senza eros e un’affettività narcisistica senza legami, che minacciano l’unità dell’esperienza, la ricchezza delle relazioni, la realtà familiare, l’affidabilità sociale. Nel rapporto tra pathos e logos, tra affezione e ragione, dove sono implicate l’identità dei soggetti e la capacità di relazione, sta un nodo antropologico dell’Occidente. È possibile una diversa visione dell’uomo, nella quale trovino conciliazione il sentire e il pensare, il coinvolgimento e il giudizio, il patire e l’agire? Si dà un’etica degli affetti, di cui la famiglia sia struttura esemplare?
A queste domande cerca risposte il primo volume dell’Annuario di Etica, concepito come inedito luogo di incontro e di elaborazione teorica, come proposta e confronto sui grandi temi dell’etica, a partire dall’attualità dell’esperienza morale. Esso coltiva una linea che pone a confronto alcune grandi tesi, nella convinzione che è ancora possibile la determinazione della verità e del bene, a fronte di una situazione presente rassegnata ad una pratica indifferenza reciproca dei diversi saperi e credenze, incline alla privatezza della verità e del bene e alla retorica del frammento.
In questa condizione culturale l’etica assume paradossalmente spazio e rilievo, come luogo di interessata ricerca e di possibile intesa, in cui è sollecitato il ripensamento delle premesse antropologiche e dei fondamenti ultimi della realtà.
Francesco Botturi è ordinario di Filosofia morale nell’Università Cattolica di Milano.
Carmelo Vigna è ordinario di Filosofia morale nell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dirige il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (C.I.S.E.).
«La giustizia non può stare senza riferirsi all’orizzonte della reciprocità riconoscente, la reciprocità riconoscente è impraticabile senza la disponibilità alla cura reciproca e quindi alla reciproca responsabilità. Si dirà che queste semplici cose comuni sono molte volte tradite. Ed è vero, purtroppo. La storia ne fa fede. Tanto che qualcuno va, ancora e sempre, dietro alla disperazione politica di tipo hobbesiano, inventando vincoli per costringere gli esseri umani a stare in qualche modo insieme. Almeno per paura. Ma nessuna costrizione costruisce una città. Tutt’al più, fa sopravvivere per qualche tempo una città già costruita. La costrizione, infatti, segue sempre alla rottura di un vincolo di alleanza, e vive solo dei «resti» di quel vincolo. Quando li ha tutti consumati, sparisce anche come costrizione. E con lei sparisce la città. Per nostra fortuna, da qualche parte le forme di alleanza tra gli umani risorgono incessantemente. Non può esser diversamente, perché sono la nostra prima radice. Risorgono quando un uomo e una donna si mettono a vivere insieme; risorgono quando degli amici si danno la voce; risorgono quando ci sono i bambini da crescere; risorgono tutte le volte che qualcuno invita vicini e lontani a condividere la verità e il bene. Allora giustizia, riconoscimento e responsabilità ridiventano parole d’ordine degne della nostra attenzione. Questo libro a più mani è un piccolo invito a esercitare, senza stancarsi, questa attenzione essenziale.»
Egle Bonan è dottore di ricerca; è stata assegnista presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia; si è perfezionata a Parigi, presso l’Ecole Normale Superieure Fontenay/Saint-Cloud. Attualmente svolge attività di ricerca come borsista nell’ambito del Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica. Si occupa principalmente di tematiche connesse all’ontologia, all’antropologia e all’etica, con particolare riferimento alla filosofia contemporanea francese. Ha pubblicato il volume Soggetto ed Essere. Indagini sul pensiero di E. Levinas (Silea 2002) e una serie di saggi.
Carmelo Vigna è ordinario di Filosofia morale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha diretto il Dipartimento di Filosofia e T.d.S. e ha fondato e attualmente dirige il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (C.I.S.E.). Insegna anche presso l’Università Cattolica di Milano. Ha pubblicato Il frammento e l’Intero (Vita e Pensiero, Milano 2000). È curatore e coautore dei seguenti volumi, tutti editi da Vita e Pensiero: Introduzione all’etica (con S. Zamagni, 2001); Multiculturalismo e identità (2002); Etica trascendentale e intersoggettività (2002); Libertà, giustizia e bene in una società plurale (2003); Etiche e politiche della postmodernità (2003). Con F. Botturi ha fondato e dirige l’Annuario di etica.
La pastorale occupa un posto di primo piano nell’autocoscienza della Chiesa dopo il Vaticano II. Si tratta davvero di una ‘rivoluzione’, di una rottura con la tradizione e con un tempo nel quale la cura animarum non aveva avuto il posto che avrebbe meritato, oppure anche nel passato le istituzioni ecclesiastiche cercarono di intercettare i motivi più profondi della religiosità dei fedeli? Se ciò avvenne, con quali modalità si declinò il rapporto fra la gerarchia ecclesiastica e il popolo cristiano? La Regola Pastorale di Gregorio Magno fu uno dei testi più trascritti e diffusi nel medioevo, a dimostrazione della centralità di questo aspetto nella definizione dei compiti che la Chiesa avvertiva come prioritari, ma che cosa significava ‘azione pastorale’ in un contesto dominato dall’esigenza di cristianizzare vaste porzioni della popolazione europea, come accadde nell’alto medioevo, oppure, a partire dal secolo XI, dal bisogno di fronteggiare la diffusione delle eresie? Quali erano i requisiti necessari per essere abilitati all’esercizio della cura d’anime e quale posto aveva la predicazione dei carismatici? Vescovi, monaci e canonici, per rispondere a queste sfide, misero in atto gli strumenti ereditati dalla tradizione, mentre il papato, in coincidenza con l’affermazione del primato romano, elaborava una concezione della pastorale orientata verso l’affermazione della cosiddetta ‘monarchia pontificia’. Fondamentali anche le forme di comunicazione utilizzate dalla Chiesa, nelle sue diverse articolazioni, per trasmettere il messaggio cristiano in un contesto caratterizzato da un forte plurilinguismo. Agiografia, sermoni, testi di diritto e manuali per confessori offrono indicazioni preziose agli esperti di fama internazionale qui riuniti a dibattere questi temi, nella prestigiosa tradizione delle «Settimane della Mendola» organizzate dall’Università Cattolica.
Le «Settimane» del Passo della Mendola, che si sono susseguite con cadenza triennale dal 1959, rappresentano per i medievisti uno dei grandi appuntamenti di rilevanza internazionale.
Le «Settimane» hanno contribuito in maniera decisiva allo studio delle strutture e degli ideali della societas christiana dei secoli XI e XII, talora aprendo nuovi ambiti di ricerca storiografica. I volumi dei relativi Atti, arricchiti dall’apparato degli indici dei nomi propri, delle fondazioni ecclesiastiche, dei manoscritti e delle cose notevoli, costituiscono uno strumento indispensabile per lo studio di un aspetto assai significativo della civiltà medioevale.
Tra le Miscellanee del Centro di studi medioevali sono disponibili presso Vita e Pensiero: «Militia Christi» e crociata nei secoli XI-XIII (1992); Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII (1995); Cieli e terre nei secoli XI-XII. Orizzonti, percezioni, rapporti (1998); Roma antica nel Medioevo (2001).
La fenomenologia francese contemporanea sta vivendo una felice stagione di ricerche e dibattiti grazie ad autori come Lévinas, Henry e Marion che le hanno impresso una curvatura teologica del tutto inattesa e finora mai tentata. Questo percorso è caratterizzato da un ‘ritorno ad Husserl’, cioè un esercizio di appropriazione della fenomenologia husserliana svincolata dall’ipoteca posta dall’ontologia di Heidegger. Rileggendo Husserl si individua come la fenomenologia realizzi la possibilità di un’effettiva apertura all’‘altro’ della filosofia, che può attestarsi solo se la fenomenologia husserliana si libera dei suoi presupposti metafisici, configurati nell’intenzionalità e nel primato della coscienza trascendentale. Invece le analisi husserliane sul tempo, la coscienza impressionale e la donazione, depurate da ogni valenza gnoseologica, costituiscono il punto di partenza per elaborare i percorsi originari con cui Lévinas introduce l’Altro della filosofia occidentale, ed Henry e Marion portano alla luce le verità del Cristianesimo. Radicalizzando i testi husserliani, tali autori costruiscono le proposte teoriche che, nella misura in cui pretendono di superare la metafisica moderna passando attraverso la fenomenologia, incrociano i percorsi dello stesso Heidegger e di Derrida. Il tournant théologique implica, quindi, una presa di posizione sull’essenza stessa della fenomenologia, ma anche sulla possibilità di elaborare una filosofia sul Cristianesimo radicalmente diversa rispetto ai percorsi tradizionali.
Vittorio Perego (Melzo, 1970), dottore di ricerca in Filosofia nell’Università Cattolica di Milano, ha studiato a Friburgo i.B. e a Parigi. Si è occupato del pensiero di Heidegger con il volume Finitezza e libertà. Heidegger interprete di Kant (Vita e Pensiero, Milano 2001) e ha tradotto La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl di Lévinas (2002). È inoltre autore di diversi articoli sulla filosofia contemporanea, in particolare sulla fenomenologia tedesca e francese.
L’incontro tra culture diverse caratterizza le società democratiche nell’era della globalizzazione. La convivenza con gli stranieri pone ovvi problemi giuridico-politici; meno ovvio, forse, è il fatto che i vari tentativi di soluzione siano influenzati dal modo individualistico con cui la modernità ha pensato il soggetto. Lo si vede bene analizzando il concetto di confine: lo spazio concreto in cui l’individualismo moderno ha determinato la spaccatura fondamentale tra ‘noi’ e ‘loro’, assecondando l’illusione di poter fare a meno degli altri. Un confine chiuso, impermeabile alle differenze, sembra essere una china invitante per le moderne politiche multiculturali. La soluzione postmoderna, dal canto suo, appare poco convincente: cancellare i confini, vagabondare nel mondo senza il peso di un’identità da difendere, scongiura il rischio individualistico di escludere l’altro, il diverso; tuttavia, il culto dell’erranza senza meta rende altrettanto impossibile ‘fare società’.
Serve, allora, un’alternativa antropologica che valorizzi la relazione con l’altro come bene primario della soggettività in quanto umana. Infatti, solo a partire da un’etica della relazione è possibile pensare e attuare una politica di reale accoglienza: non un’apertura indiscriminata delle frontiere, o una generosità a senso unico, bensì l’attuazione di legami di riconoscimento che impegnano tanto chi dona quanto chi riceve nell’opera comune di ‘essere-insieme’. Un’opera che – non a caso – la Chiesa ha posto al centro del suo magistero sulla multiculturalità. È per questo che un multiculturalismo sensibile al significato etico del riconoscimento dovrebbe guardare con attenzione all’esperienza cristiana del confine. Non come rimedio spiritualistico, ma come indicazione antropologicamente pertinente. Ne potrebbe nascere una politica rinnovata, all’altezza del compito che l’incontro tra culture ci impone.
Paolo Gomarasca, DEA in Filosofia, dottore di ricerca in Filosofia, collabora al corso di Filosofia sociale e alla cattedra di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi lavori: Rosmini e la forma morale dell’essere (Milano 1998); Il linguaggio del male (Vita e Pensiero, Milano 2001); Libertà e colpa, in F. Botturi (a cura di), Soggetto e libertà nella condizione postmoderna (Vita e Pensiero, Milano 2002); Identità e differenze nelle politiche multiculturali, in V. Cesareo (a cura di), L’Altro. Identità, dialogo e conflitto nella società plurale (Vita e Pensiero, Milano 2004).
L’amicizia come «dono» va offerta e ricevuta, come «tesoro» è da ricercare e da custodire. Implica una comunione spirituale, che ha le sue sorgenti nelle ricchezze razionali, affettive, spirituali della persona. È una virtù indispensabile per la vita e la sua felicità; un bene prezioso, che però sembra condiviso da pochi, essendo paghi i più delle conoscenze e delle varie compagnie che non attingono mai l’intimità o la profondità dell’anima. L’amicizia è la «forma etica» dell’amore, da non confondere con la sua «forma erotica»: due sentimenti attigui, ma tali da esigere una formazione distinta. È un fenomeno complesso, appartenente alla ricchezza insondabile del soggetto; per questo sfugge in parte alla sua intelligibilità. Nasce e si struttura nella libertà ed eticità, presenta aspetti singolari collegati agli stadi evolutivi, al genere, alla formazione individuale, al contesto culturale in cui si sviluppa.
Le caratteristiche dell’amicizia sono note: è un vincolo tra persone animate da spirito di mutua dedizione; è una comunità di vita, fondata sulla benevolenza; esige la reciprocità, l’incontro, la frequentazione. Allo stesso modo sono conosciute le sue funzioni: sollecita i bisogni cognitivi e spirituali; sviluppa capacità di rapporti intimi; appaga bisogni di sicurezza e di felicità; favorisce l’equilibrio psicologico. Specifici sono anche i beneficii arrecati: agevola la conoscenza di sé e dell’altro; avvia al dialogo; affina l’ascolto; infonde gioia e serenità; educa il carattere ed il senso morale. L’amicizia pone altresì doveri, come la franchezza e la fiducia, l’integrità e l’ascesa alla perfezione; l’apertura all’ambiente e alle sue necessità sociali e civili.
Come possibile «stato ideale dell’esistenza» è da avvalorare in tutti i suoi aspetti, affinché diventi aiuto e consolazione in tutte le fasi della vita: per questo è necessaria la mediazione educativa.
Norberto Galli, già ordinario di Pedagogia generale dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, è direttore della rivista bimestrale Pedagogia e Vita pubblicata dall’Editrice La Scuola di Brescia.
Un prete dall’inconfondibile fisionomia umana e cristiana, limpidamente ancorato in una profonda spiritualità e totalmente speso in un insonne attivismo, sostenuto dalla vena pulsante di una grande carità: è questa la figura di don Luigi Orione, il sacerdote torinese proclamato Santo da Giovanni Paolo II. Ripercorrere le tappe del suo cammino, nel contesto dei rapidi e profondi mutamenti culturali della nostra epoca, è impegno di una cultura ritornata alla diaconia.
Questo libro pubblica gli Atti del Convegno tenutosi a Tortona dal 14 al 16 marzo 2003. Il taglio privilegia, mediante accurate ricerche in una copiosa messe di fonti archivistiche, la ricostruzione del radicamento e del rapporto di don Orione sia con la realtà locale tortonese sia con la società e la Chiesa italiana e universale. Un’opera che costituisce un contributo attraente, paradigmatico e utile, per l’edificio di un progetto culturale, nel quale è impegnata la Chiesa italiana.
A questo volume hanno collaborato: Giuseppe Betori, Angelo Bianchi, Giuseppe Bonavoglia, Alberto Cova, Roberta Fossati, Vittorio Moro, Flavio Peloso, Luca Rolandi, Giorgio Vecchio, Danilo Veneruso, Annibale Zambarbieri.