
«Mi pare che ancora oggi la mentalità da correggere, e di cui la purezza dell'annuncio evangelico deve temere, è la mentalità dominante nel nostro "mondo cattolico", informato ad una ideologia di tipo individualista e che determina le nostre scelte di ogni giorno, i nostri giudizi, le nostre reazioni. [...] A me sembra che sia avviata la strada per uscire da quel genericismo che favorisce la pigrizia di chi si appella di continuo ai principi: la via della "chiesa locale", la responsabilità cioè della chiesa locale verso i "suoi" poveri, conosciuti ed amati». È questa tensione che caratterizza i diciotto scritti che Camillo Pezzuoli ha via via pubblicato sul quindicinale della Fuci «Ricerca» nei sette anni in cui è stato assistente centrale. Non solo specchio e riflesso di una stagione ricca e complessa come quella del primo decennio postconciliare, segnata dai profondi mutamenti di costume manifestati dal '68, ma anche efficace proposta di discernimento, di educazione a "vedere oltre", sotto la forma di riflessioni e meditazioni all'apparenza lontane dall'effervescenza non solo della cronaca, ma dell'epoca. Riletti a quasi mezzo secolo di distanza, questi scritti conservano, anzi rivelano una singolare trasparenza e quella genuina limpidezza che solo la sapienza del cuore sa emanare. La chiave per intenderli è stata suggerita qualche anno più tardi dall'autore stesso che - all'inizio di una serie di meditazioni tenute per la rubrica «Parole di vita» di Raidue - citava san Paolo: «Non voglio dominare la vostra fede [...] ma soltanto lavorare con voi per la vostra gioia» (2 Cor 1, 24), ed evocava così quella gioia che può e deve contraddistinguere il cristiano e alla quale egli con le parole, gli scritti e le azioni ha incessantemente "lavorato" nel suo servizio sacerdotale fra le giovani generazioni.
In questo trentunesimo volume della collana «Pubblicazioni dell'Istituto Paolo VI» sono raccolti gli Atti dell'XI Colloquio Internazionale di Studio, svoltosi a Concesio (Brescia) nei giorni 24-25-26 settembre 2010 sul tema «Verso la civiltà dell'amore. Paolo VI e la costruzione della civiltà umana». Il tema della civiltà dell'amore fu sempre caro a Giovanni Battista Montini, che, durante il pontificato, si dedicò con particolare impegno e con fede incrollabile al suo sviluppo teologico, magisteriale e pastorale, in una lucida e realistica visione di un mondo sempre più indifferente ai veri valori, sempre più incapace di superare il ristretto ambito personale per ispirarsi alla legge dell'amore, per la realizzazione della quale Cristo si fece uomo e morì sulla croce. Paolo VI cercò di dialogare con questo mondo, senza sovrastarlo, e di esserne un interlocutore paterno e illuminato. L'articolazione del Colloquio si svolge secondo due linee principali, quella storica e quella teologica, e ci guida lungo un cammino che inizia nella prima metà del Novecento dalla «civiltà cattolica», fin verso le varie modulazioni della «civiltà cristiana» (De Giorgi), per approdare, dopo Pio XI, alla ricerca della «civiltà dell'amore» (Veneruso). Questa, necessariamente, deve essere costruita su una «civiltà umana» nella sua accezione più profonda e completa (Durand), formata da uomini in quanto persone e in quanto esseri sociali (Sesboüé). In tale prospettiva una particolare importanza assunsero nel magistero di Paolo VI l'enciclica Populorum progressio e i Messaggi per la Giornata della Pace che egli stesso istituì (Joblin), dove si evince che il superamento armonico del contrasto tra religione e secolarizzazione, nell'interpretazione cristiana della transizione occidentale (Sequeri, conduce alla realizzazione di un nuovo legame sociale, la «civiltà dell'amore» appunto.
Un libro che propone alla cultura italiana e internazionale un contributo importante per una nuova fase di approfondimento del valore culturale e scientifico dell'opera teilhardiana, scritto da un autore parimenti esperto di filosofia indiana e di teologia cristiana. Attraverso un duplice confronto con autori come J. Monchanin o H. De Lubac, e con le religioni delle tradizioni orientali, il saggio sviluppa ed analizza le riflessione di Teilhard de Chardin sul pluralismo religioso attraverso le categorie filosofiche dell'idealismo, del dualismo, del panteismo e del relativismo. Viene così ricostruita l'attenzione teilhardiana verso la mistica delle religioni orientali e il loro "senso cosmico", tematica generale che rientra nel generale interesse verso il mondo, le culture e le religioni vissuto dalla cultura francese negli anni Quaranta.
«Rispetto ai due precedenti volumi dell’epistolario, sembra circolare qui un’aria diversa, una libertà nuova, una sorta di radicalismo missionario che s’impone infine come frutto e insieme causa della piena maturità spirituale e apostolica della Tincani, una sorta di cifra definitiva della sua personalità evangelica e del suo carisma. […] Queste Lettere di missione vedono la luce nell’autunno del 2012, mentre si prepara e ormai si celebra il Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana », come dire che il Sinodo cerca ex professo la terapia adeguata alla crisi. Al riguardo questo carteggio di Luigia Tincani può tuttora risvegliare energie e prima ancora coscienze».
Dall’Introduzione di Mons. Guido Mazzotta
La consulenza genetica è un processo di informazione e comunicazione che precede e segue l'effettuazione di un test genetico. La consulenza genetica non si limita a trasmettere informazioni mediche, ma implica anche il riferimento ad aspetti etici e giuridici che riguardano l'identità della persona e la libertà/responsabilità rispetto a scelte individuali e sociali. L'incremento di informazioni in qualche misura "sovraccarica" eticamente l'uomo, rendendo le scelte problematiche sotto vari profili. Si parla spesso di "appropriata" consulenza genetica. Ma che cosa significa consulenza genetica "appropriata"? Diversi sono i modi di considerare l'"appropriatezza" della consulenza in base al paradigma antropologico ed etico di riferimento. Anche la normativa sulla consulenza genetica lascia ancora aperte diverse problematiche, sia a livello legislativo che giurisprudenziale, nazionale ed internazionale. I contributi raccolti in questo volume consentono di delineare percorsi di riflessione, nel contesto della discussione bioetica e biogiuridica attuale.
"Il volume che presentiamo segna una tappa nuova nell'impegno dell'Istituto nel campo dell'edizione delle fonti relative alla vicenda personale e al ministero ecclesiale di Giovanni Battista Montini-Paolo VI. Prende avvio, infatti, la pubblicazione dell'epistolario generale di Giovanni Battista Montini, che comprende le lettere scritte da lui e a lui indirizzate tra il 1914 e il 1923. Le lettere raccolte in questa edizione documentano la formazione ricevuta da Giovanni Battista Montini nell'ambiente familiare e nel contesto del cattolicesimo bresciano. Esse ci permettono di gettare uno sguardo sul primo manifestarsi e sulla progressiva maturazione della sua vocazione sacerdotale e illustrano i suoi primi passi nell'ambiente romano e l'avvio del servizio alla Santa Sede, che nel breve periodo trascorso alla Nunziatura di Varsavia ha trovato una prima concreta e sofferta attuazione. Nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II, l'Istituto Paolo VI si augura che quest'opera possa contribuire a una conoscenza più fondata e vera dell'uomo e del papa che ha guidato la Chiesa cattolica durante il Concilio e si è dedicato instancabilmente alla realizzazione delle sue indicazioni nei difficili anni seguenti." (L'istituto Paolo VI)
In una straordinaria opera di rivelazione letteraria, Lady Norrington getta nuova luce su un importante personaggio storico: la seconda moglie di Thomas More. Sebbene per più di quattro secoli sia rimasta sullo sfondo come una figura sconosciuta e molto oscura, durante i ventiquattro anni di matrimonio con Thomas More seguì con consumata abilità una delle più considerevoli famiglie in Europa. Riuscì a far ridere il marito dopo tutti questi anni di vita comune, e continuò a farlo ridere durante i giorni bui e pericolosi dei suoi mesi nella torre di Londra: un risultato indubbiamente raro e un trionfo di coraggio e di risolutezza. Questa originale ricerca rivela inoltre che Lady Alice non fu, come molti hanno suggerito, una persona di rango inferiore che More elevò al suo status sociale. Al contrario, troviamo una ricca signora di buona famiglia con il sangue dei re nelle sue vene, che mediante il matrimonio di suo cugino era diventata parente di Enrico VII e di Enrico VIII. La sua famiglia era grande amica dei Tudor molto tempo prima del matrimonio con Moro. Una scoperta ancora più considerevole è che mentre i discendenti di Moro furono per la gran parte proprietari terrieri, preti e monache, i discendenti di Alice, attraverso l'unico figlio sopravvissuto dal suo primo matrimonio si trovano inseriti in alcune delle più aristocratiche famiglie d'Inghilterra, quali Alington, Bray, Savage, Spencer, Stanhope e Strathmore. Si arriva, percorrendo questa strada genealogica, alla discendente più famosa, la Regina Madre, Elizabeth di Glamis e a sua figlia la Regina Elisabetta II.