
Questo testo intende evidenziare e analizzare il contributo determinante che il romanzo di formazione ha dato alla forma-romanzo, all'indomani del grande quindicennio di sperimentalismi degli anni Sessanta e Settanta, attraverso una serie di opere, tra cui Altri libertini, Seminario sulla gioventù, Treno di panna, Camere separate, Gli sfiorati, che diventeranno riferimenti imprescindibili per la letteratura e gli autori successivi. Questi romanzi di formazione, liberandosi gradualmente dal timbro generazionale, offrirono, attraverso il racconto della maturazione dei propri personaggi, giovani irrequieti ed in cerca di identità, una rappresentazione e interpretazione di quel tempo nuovo che furono gli anni Ottanta, il decennio dell'Io, al tempo stesso rinnovando e rilanciando il romanzo italiano. Dopo aver definito il perimetro del romanzo di formazione, e averne tracciato brevemente la storia, europea e italiana, questo libro, partendo da una approfondita analisi del ritorno del romanzo del decennio precedente, ne descrive la parabola vitale lungo gli anni Ottanta, le ragioni della sua affermazione e della sua diffusione, i motivi della sua ancora attuale validità.
Gli antichi romani pensavano che, grazie alla qualità ideale del loro ordinamento giuridico, potessero mirare a realizzare una comunità umana universale. Anche i cristiani, avendo ricevuto un mandato da parte di Dio di riunire tutti gli uomini in un solo popolo, si trovavano con una missione universale in questo mondo. Come coordinare queste concorrenti pretese di universalità da parte dell’Impero e della Chiesa? In questo libro, il bizantinista Endre von Ivánka affronta questa domanda esaminando differenti concezioni di “impero” e di “popolo di Dio” in tre epoche storiche: la prima dall’ascesa dell’imperatore Augusto fino alla caduta dell’Impero d’Occidente nel 476; la seconda dall’affermarsi dell’Impero Bizantino fino alla sua caduta nel 1453. L’ultima considera gli sviluppi all’interno dell’ortodossia russa fino alla Rivoluzione d’ottobre. Secondo von Ivánka, le importanti differenze tra cattolici e ortodossi nella concezione del rapporto tra Chiesa e Stato sono da ricondurre più a fattori storici che a eventuali influssi culturali sui bizantini, estranei alla tradizione europea. Alcuni importanti eventi storici degli ultimi due secoli potrebbero inoltre accendere la speranza di un riavvicinamento dei due ambiti culturali e religiosi.
A dispetto delle lacune storiografiche sul tema, gli anni compresi tra la fine del XIX secolo e la Grande Guerra rappresentano una stagione di grande interesse per la storia della pedagogia cattolica. Oltre alla difesa di una visione educativa coerente con la filosofia e antropologia cristiana, l'impegno dei cattolici si dispiegò soprattutto in campo scolastico, nel tentativo di superarne l'assetto statalista e laicista. In parziale controtendenza rispetto ai decenni precedenti, le battaglie dei cattolici furono segnate, d'un lato, dall'ormai avvenuto riconoscimento delle prerogative governative in campo educativo e, dall'altro, dalla difesa dei diritti educativi della famiglia, dalla rivendicazione della presenza dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e dalla richiesta di una maggiore valorizzazione delle autonomie locali. Con l'obiettivo di lumeggiare i tratti della pedagogia che ne sostiene la militanza, il volume rilegge l'apporto al dibattito scolastico di alcune delle personalità più significative di quegli anni, come i vescovi Geremia Bonomelli e Giacomo Maria Radini Tedeschi, l'attivista e politico Nicolò Rezzara, il fondatore dell'Unione Pro Schola Libera, don Giuseppe Piovano.
Il Sessantotto fu certamente una festa, un anno multicolore, come i vestiti indossati dai ragazzi e dalle ragazze che nelle scuole superiori abbandonarono cravatte e grembiuli, e come le appartenenze che nelle università si mescolarono e si confusero allo stesso modo di striscioni e bandiere. Fu un anno sfacciato e divertente, ma anche acidamente irriverente, un anno irrispettoso come le scritte sui muri e gli slogan dei cortei. Molti giovani provenienti dalle parrocchie e dalle associazioni cattoliche si immersero come i loro coetanei in quella marea inaspettata, vivendo un'esperienza di liberazione e di autonomia, di impegno totalizzante e di soggettività creativa. I saggi raccolti in questo libro ricostruiscono in modo originale e documentato il ruolo dei cattolici europei nelle contestazioni studentesche. Il volume si inserisce così nel dibattito pubblico sul Sessantotto, chiarendo le scelte dei cattolici che parteciparono alle manifestazioni e le reazioni degli ambienti politici ed ecclesiastici di fronte all'imprevista ondata di proteste.
Con il Convegno del 25 ottobre 2018, svoltosi a Roma, al palazzo della Cancelleria, e di cui si pubblicano oggi gli Atti, si è voluta onorare la memoria di una grande personalità ecclesiastica, il Cardinale Attilio Nicora, scomparso il 22 aprile 2017. Attilio Nicora ha ricoperto importanti incarichi nella chiesa ed è stato protagonista della riforma dei rapporti tra stato e chiesa in italia. Nato a Varese il 16 marzo 1937, è Vescovo Ausiliare di Milano dal 16 aprile 1977. Nel febbraio 1984 è nominato Co-presidente della Commissione paritetica italo-vaticana incaricata di predisporre la normativa bilaterale sui beni ed enti ecclesiastici, e gli impegni finanziari dello Stato nei confronti della Chiesa; da allora, per decenni, è incaricato dalla CEI di sovrintendere all'attuazione degli Accordi di revisione concordataria. Dal 1992 al 1997 è arcivescovo di Verona, e nel 2002 è nominato Cardinale, poi Presidente dell'amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). Nel 2011 è Presidente dell'Autorità di informazione Finanziaria (A.I.F.), e dal 2007 è Presidente del Consiglio di Amministrazione della LUMSA. Il Convegno, organizzato per impulso dei Proff. Francesco Bonini e Giuseppe Dalla Torre della LUMSA, e del Prof. Carlo Cardia, di Roma TRE, ripercorre l'impegno di Attilio Nicora nei suoi diversi incarichi, di Vescovo, Cardinale, negoziatore dei rapporti tra Stato e Chiesa, ma riveste anche un altro, importante, significato. Esso riflette l'affetto grande, la gratitudine profonda, che tantissime persone, dentro e fuori la Chiesa, all'interno o attorno alle istituzioni civili, hanno sentito e provano tuttora per averlo conosciuto, condiviso con lui lunghi e decisivi segmenti di vita, personale e istituzionale, per aver ricevuto e assaporato con lui insegnamenti, valori alti, virtù preziose, che non si potranno mai dimenticare. La dimensione etica e spirituale di Nicora è indissociabile dalla sua più profonda identità, e imprescindibile per chiunque voglia conoscere la sua opera, apprezzare l'eredità che ha lasciato. ciascun relatore, i Proff. Carlo Cardia, Giuseppe Dalla Torre, S. E. Mons. Mario Delpini, i Cardinali Giuseppe Betori e Pietro Parolin delineano i tratti più salienti della personalità di Attilio Nicora quali emergono nei suoi diversi impegni di attività e di ministero. E tutti sottolineano la preziosità, e raffinatezza, del suo ruolo di negoziatore per le nuove relazioni ecclesiastiche dell'italia nel secondo Novecento, e del contributo istituzionale e culturale recato alla storia italiana moderna e costituzionale. Si è aggiunta, agli Atti del Convegno, una Appendice di scritti di Attilio Nicora, sia per proseguire nella ricognizione e raccolta delle sue opere, sia per delineare le tematiche nazionali e internazionali ch'egli ha affrontato nel mondo cattolico, dell'associazionismo, dell'Università, a livello istituzionale. Una menzione particolare meritano gli scritti sui due temi che prediligeva, della carità e della laicità.
«La figura di Pier Giorgio ci è scudo contro una delle più forti e sottili tentazioni che attentino alla vita spirituale; [...] o essere moderni o esse- re cristiani: Le due concezioni si escludono! Come essere quindi ancora cristiani? [...] Pier Giorgio risponde con la sua vita» (G. B. Montini - Paolo VI, 1932). «Cercate di conoscerlo [...]. Anch'io nella mia giovinezza, ho sentito il benefico influsso del suo esempio e, da studente, sono rimasto impressionato dalla forza della sua testimonianza cristiana» (Giovanni Paolo II, 1989). «Vi invito a leggere una sua biografa [...] un ragazzo affascinato dalla bellezza del Vangelo delle Beatitudini, che sperimenta tutta la gioia di essere amico di Cristo, di seguirlo, di sentirsi in modo vivo parte della Chiesa» (Benedetto XVI, 2012). «Vi sfido: dite no a una cultura che non vi ritiene forti, che vi ritiene incapaci di affrontare le grandi sfide della vostra vita. Pensate in grande! Il beato Pier Giorgio Frassati affermava: "Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere, ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma Vivere"» (Francesco, 2014).
La Curia romana dell'epoca napoleonica e della Restaurazione fu sottoposta ad una continua pressione causata dall'incalzare degli eventi di quella fase turbolenta della storia. La politica, la cultura religiosa diffusa e le diverse correnti d'idee entrarono in crisi: dall'ancien régime si passò all'ordine napoleonico, fino a trovare un nuovo equilibrio con la Restaurazione. La Chiesa visse lo stesso complesso assestamento con un papa, Pio VI, morto prigioniero in esilio, e il suo successore, Pio VII, deportato per non pochi anni. In quei tempi di cambiamento la Curia romana dovette aiutare il papa a posizionarsi di fronte alle novità sociopolitiche e la vita di Francesco Luigi Fontana può essere considerata come un caso esemplare di questa opera di ricollocamento. Religioso barnabita, qualificato consultore della Santa Sede e solo infine cardinale, Fontana fece coincidere le proprie sorti con quelle del Papato, divenendone in qualche modo un simbolo (nei travagli, nelle difficoltà e nelle tensioni cui andarono incontro i collaboratori di Pio VII). Portatore dell'ormai superata erudizione settecentesca, riuscì ad aprirsi alla nuova cultura postnapoleonica, divenendone un esponente nella Roma papale sotto una particolare declinazione: l'intransigenza. È proprio quest'ultima categoria interpretativa a permettere di indagare le posizioni intellettuali, teologico-politiche ed ecclesiologiche di buona parte degli uomini della Curia romana del tempo. Fontana, infatti, può essere annoverato tra i primi curiali ad incarnare la sensibilità intransigente che nel corso dell'Ottocento si diffonderà ampiamente, fino a diventare uno degli elementi caratterizzanti la storia del Cattolicesimo contemporaneo.
Il carattere pastorale del Vaticano II, nel suo significato più profondo, rimanda al fatto che la riflessione conciliare sulla missione della Chiesa si è confrontata con una realtà umana e storica in mutamento, alla ricerca di una mediazione capace di tenere insieme la fedeltà al vangelo del Signore Gesù e una reale assunzione della realtà umana nella sua concretezza effettiva e nelle trasformazioni storiche cui è soggetta. In questo orizzonte, l'espressione di Paolo VI che presenta la Chiesa esperta in umanità suggerisce che l'ambito dell'antropologia è un terreno decisivo per questo incontro. Nel volume contributi di carattere generale dedicati al Vaticano II e al contesto storico e culturale nel quale si è svolto e con il quale si è misurato si intrecciano con approfondimenti più puntuali dedicati alla riflessione di Paolo VI, alla sua concezione del compito pastorale della Chiesa, ai temi del suo magistero e alla visione antropologica sottesa al suo insegnamento. Particolare attenzione è dedicata ai temi della relazione tra uomo e donna, della generazione, del matrimonio e della famiglia, la cui attualità è confermata dalle due assemblee del Sinodo dei vescovi del 2014 e 2015, così come dall'esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco.
Il sacramento dell'altare rappresenta il tema su cui Martin Lutero più ha scritto nel corso della sua vita. Impegnato polemicamente a difendere il senso evangelico e scritturistico della santa cena dapprima contro i papisti e poi contro l'ala radicale della riforma, Lutero nella Confessione sulla cena di Cristo del 1528 scrive una parola conclusiva sul punto più dibattuto della controversia sorta all'interno del movimento dei riformatori: il realismo del la presenza nel pane e nel vino della cena del corpo e sangue di Cristo in forma fisica, la negazione della quale compromette il senso e il valore della Scrittura e della fede. L'opera è articolata in tre parti. Nella prima Lutero discute l'interpretazione allegorica e simbolica delle parole di Cristo nella cena presente in Zwingli, contestando vigorosamente l'interpretazione del riformatore svizzero circa il senso da attribuire all'espressione destra di Dio e all'affermazione giovannea della carne che non giova a nulla, e confutando la possibilità che l'est delle parole dell'istituzione sia da intendere come signifcato. Segue quindi l'analisi e il rifiuto della posizione di Ecolampadio e della sua visione dei tropi. Nella seconda parte Lutero esamina con attenzione i quattro testi biblici relativi alla cena del Signore. La terza parte, infine, è una confessione di fede, una sorta di testamento spirituale e sintesi di tutta la teologia di Lutero che ha svolto un ruolo importante nel processo di formazione dei testi confessionali luterani.
Il saggio, frutto di un calibrato lavoro di ricerca sulle fonti archivistiche e di una selezione della pubblicistica in materia, propone una ricostruzione dei rapporti fra santa sede e stati Uniti nel XIX secolo e oltre: oltre un secolo di storia, dal 1797 al 1942. attraverso una ricostruzione delle ragioni politico-culturali di questo tortuoso percorso il volume consegna al lettore un il ritratto, a confronto, dell'america "profonda" e della sua amministrazione con l'ultrasecolare diplomazia vaticana. Vi si troverà la diffidenza anticattolica ma anche il lavorìo diplomatico fra le due sponde dell'atlantico. Un processo non lineare che vedrà un punto di svolta negli anni Trenta, con la visita nel 1936 negli Usa dell'allora cardinale Pacelli sino all'invio a Roma di Myron Taylor nel 1940 in veste di rappresentante personale del presidente Roosevelt. Prefazione di Giuseppe Dalla Torre.