
"Il percorso di studi che qui prefiguro è a un tempo disarmante, per la semplicità del suo disegno, e scoraggiante, per la difficoltà della sua costruzione La mia ipotesi consiste nel tentativo di tracciare una via d'uscita alle non simmetriche, ma convergenti impasse in cui si sono cacciate la sociologia, fin dalla sua nascita, e la filosofia, dopo Hegel. Entrambe hanno commesso lo stesso errore, vale a dire non hanno compreso il nesso tra Illuminismo e Democrazia, con il risultato che la filosofia ha perso il proprio oggetto immediato, ovvero il soggetto che percepisce e giudica, e la sociologia non ha (quasi mai) trovato la sua storia. Quanto fin qui abbozzato esita nel presupporre che filosofia e sociologia sono imprescindibilmente legate, nel senso che dove termina l'una inizia l'altra. La non ammissione di questo legame ha causato la rottura del vaso di Pandora, i cui cocci sono sparsi, da una parte, sul terreno (non-filosofico) della filosofia, dall'altra sul terreno non ricchissimo di sedimentazione teoretica della sociologia". (Dalla premessa dell'autore).
Scritti nel 1806, tornati alla luce nel 1961 e pubblicati per la prima volta nel 1980, i "Principi di politica" di Benjamin Constant (spesso confusi con l'opera apparsa sotto il medesimo titolo nel 1815) rappresentano il primo tentativo di ripensare in modo sistematico la teoria liberale dopo il terremoto rivoluzionario. Constant è il primo a rendersi conto che, di fronte alla straordinaria accelerazione storica impressa dalla Rivoluzione francese, il pensiero politico settecentesco è improvvisamente "invecchiato": di qui la critica ai grandi del secolo precedente (Rousseau, ma anche Montesquieu), l'individuazione delle caratteristiche specifiche della libertà moderna, l'ampio spazio riservato alle tematiche economiche e la messa a fuoco di una serie di problematiche (l'eccesso di legificazione e di accentramento, i rischi dell'individualismo privatistico, la necessità di un assetto federale) che apriranno la strada alla riflessione di Tocqueville. Un'opera che rappresenta una tappa decisiva nella storia del pensiero politico: con la loro riscoperta è stato ritrovato, come ha scritto Tzvetan Todorov, l'anello mancante tra lo "Spirito delle leggi" e il "Contratto sociale", da un lato, e la "Democrazia in America" di Tocquville, dall'altro.
Il tema di questo libro è una costante di tutto rilievo nella moderna narrativa italiana, più propriamente quella riconducibile ai proverbiali archetipi di Verga e Pirandello, sullo sfondo però della lunga fortuna della formula definitivamente fissata da loro corregionali quasi altrettanto illustri. Il punto di partenza ideale è il "Verga moderno" che è rimasto a lungo pressoché l'unico esempio nostrano delle innovazioni romanzesche altrimenti riservate alle altre letterature. Dalla sua caratteristica contraddizione, conturbante e classicamente moderna, tra il massimo di immediatezza colloquiale e popolare e la tempra aristocraticamente intellettualistica delle invenzioni e di una proverbiale diffidenza nei confronti delle astrazioni, hanno preso le mosse altri scrittori siciliani, da quelli poco più giovani di Verga, come De Roberto e Pirandello, a quelli delle ultime leve, e un dibattito che ha conosciuto momenti di straordinaria intensità.
Dopo un'ampia introduzione storica, in cui trovano posto studiosi e pensatori di diversa formazione culturale e di differente - quando non opposta ispirazione religiosa e politica, l'autore della ricerca viene a toccare il punto centrale del discorso, cioè l'insegnamento sociale della Chiesa sulla famiglia e sul lavoro, attraverso l'esame dei numerosi documenti apparsi in un secolo e più, dalla "Rerum Novarum" di Leone XIII (1891) alla "Centesimus Annus" di Giovanni Paolo Il (1991), che quella prima e lontana enciclica volutamente richiama, riconoscendola - anche per i tempi in cui apparve - come innovatrice.
Ai credenti viene chiesto oggi il compito di non imporre la loro visione ma di fecondare di senso lo spazio della laicità. Riuscire in questo compito non è certamente semplice e altrettanto complesso risulta indicare una via. Questo volume vuole essere un contributo per dare avvio alla discussione.
La genetica sfida le nostre certezze, mette in questione l'idea stessa di essere umano, il nostro rapporto con la corporeità e con la vita. Sino a che punto siamo il nostro genoma? È possibile che domani sia l'immagine del DNA, e non più quella del nostro volto, ad identificarci? Le possibilità nuove di conoscenza offerte dai test genetici possono cambiare la nostra vita, la proiezione nel futuro, il progetto genitoriale, i rapporti lavorativi e sociali. Nuovi interrogativi si aprono per l'etica e per il diritto: la tensione tra diritto di sapere e diritto di non sapere, tra rispetto della privacy e tutela della vita, i dilemmi etici sollevati dalla diagnosi genetica prenatale. Altre questioni sono poste dal nuovo potere di intervento sulla vita: si può superare il veto posto sinora agli interventi di ingegneria genetica sulle cellule germinali, presumendo il consenso delle generazioni future? È possibile porre paletti fermi tra terapia e trasformazione? E ancora: quali sono i rischi, quali i vantaggi degli OGM? È giusto brevettare le scoperte sulla vita, in particolare sulla vita umana? Problemi complessi che gli autori del testo affrontano in modo diverso: alcuni tendendo più a preservare l'esistente, sulla scia dei principi di responsabilità e di precauzione; altri cercando regole flessibili all'avanzare della scienza; altri, infine, tentando una terza via nell'argomentazione e nel dialogo.
Questo quaderno è pubblicato in un momento di discussione molto accesa sull'audiovisivo, in Europa e in Italia: le regole del sistema sono nuovamente sotto osservazione e ci si interroga su quali siano i nodi fondamentali da sciogliere, come sia cambiato il panorama negli ultimi anni, quali siano i punti fondamentali che è necessario chiarire per indirizzare la crescita e consentire lo sviluppo del settore, in modo da individuare un punto di contatto tra istituzioni, imprese e consumatori-utenti. La rivoluzione digitale dell'audiovisivo è lo sfondo comune a tutti i contributi presentati nel quaderno: sono stati però raccolti punti di vista, esperienze e ragionamenti di professionisti diversi, che guardano al tema da angolazioni giuridico-regolamentari, economiche e di mercato, socio-polititiche. L'obiettivo è di riflettere su singole parti del settore audiovisivo e di offrire, in passaggi successivi, alcune letture possibili dell'attuale trasformazione.
La tesi centrale di questo libro è che il programma culturale della modernità, così come si è sviluppato nell'Europa occidentale, ha sì, manifestato una straordinaria potenza espansiva ma nello stesso tempo esso, fuoriuscendo dal suo terreno di origine, si è differenziato sino a generare originali versioni del suo nucleo primitivo. Di qui l'impossibilità di identificare il processo di modernizzazione con l'occidentalizzazione. L'Europa occidentale ha sì, creato il prototipo della modernità, il quale è stato e continua a essere il punto di riferimento basilare per i paesi - in particolare per il Giappone e l'India - che ne hanno adottato il modello di base; ma varie sono state le interpretazioni che di tale modello sono state date. Ciò ha generato le molteplici modernità che Eisenstadt analizza, le quali, comunque, presentano quanto meno un tratto comune: la progressiva avanzata della secolarizzazione, che ha posto fine alla legittimazione dell'ordine sociale su basi religiose e ha aperto la strada al trionfo della cultura laica.
Dopo l'11 settembre, il governo degli Stati Uniti ha applicato la cosiddetta dottrina Bush che consiste nella difesa preventiva e nella promozione della libertà e della democrazia nei paesi islamici. Tale modo di intendere la politica estera contemporanea pone tuttavia seri problemi etici e politici. Lungo le pagine di questo libro, trentasei grandi intellettuali, da Norman Podhoretz a George Weigel, si interrogano su questi temi dando vita a un dibattito di grande interesse e attualità.

