DESCRIZIONE: Il dramma ruota attorno al decreto di Creonte che vieta la sepoltura di Polinice, e si sviluppa dal contrasto tra le leggi scritte della pólis e le leggi non scritte, da sempre esistenti nell’animo umano. È proprio a queste che si appella Antigone per giustificare il gesto di sepoltura del corpo del fratello. In tale contrapposizione la critica ha visto, di volta in volta, l’alternativa tra i valori dello Stato e quelli della famiglia, tra la politica e la religione, tra il mondo degli uomini e quello guidato e ordinato dagli dei, tra la ragione di Stato e la coscienza individuale. Sono tutte letture possibili e motivate; esse colgono un aspetto della problematica sviluppata dalla tragedia.
Questa nuova edizione commentata mostra la «valenza ossimorica» del testo di Sofocle, il suo declinarsi accostando concetti antitetici: l’uomo è, insieme, éupolis (fa grande la patria) e ápolis (senza patria), pantopóros (capace di tutto dal punto di vista del movimento) e áporos (incapace di muoversi, bloccato), deinós (grandioso e terribile). Una tessitura linguistica che svela l’andamento dialettico della tragedia – una dialettica senza conciliazione divenuta modello della condizione umana.
COMMENTO: La celebre tragedia in un'edizione commentata per il lettore comune, gli studenti, i docenti.
GIAN ENRICO MANZONI è docente di Didattica del Latino nella sede bresciana della Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica e insegna Letteratura greca e latina nel Liceo classico Cesare Arici di Brescia. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche sia di Letteratura greca, riguardanti Omero e Sofocle, sia di Letteratura latina, dedicate ad autori come Ennio, Cinna, Cornelio Gallo, Virgilio, Ovidio, Plinio il Vecchio e Quintiliano. Per la Morcelliana è autore della Postfazione alla nuova edizione del saggio di V. Ehrenberg, Sofocle e Pericle (2001).
DESCRIZIONE: Cresciuto alla scuola di Karl Rahner, del quale rielaborò anche alcune opere, di fronte alla insignificanza "politica" del cristianesimo, Johann Baptist Metz avverte la necessità di superare la teologia trascendentale del maestro per far valere la dimensione pratica della teologia. Diventa così il fondatore di una "nuova teologia politica", nella quale si consideri il mondo come luogo del mostrarsi di Dio e quindi come luogo nel quale la fede cristiana si presenti con la sua valenza politica. Ciò comporta che si esca dalla "religione borghese" e si dia vita a una Chiesa capace di attuarsi come comunità dell’esodo, cioè comunità critica grazie alla memoria sovversiva di Gesù che essa è chiamata a tenere desta, in particolare nei confronti delle vittime. Tra queste in particolare quelle prodotte dalla Shoà, l’evento che segna il secolo XX e impone la necessità di una nuova teodicea: non si può, infatti, non ascoltare l’interrogativo che sgorga da quella tragedia: "Come parlare di Dio dopo Auschwitz?". Teologia in processo quella di Metz, che si è precisata gradualmente, ma che è servita a far uscire la riflessione dalle questioni astratte, relative alle condizioni di possibilità dell’evento cristiano, per farla approdare alla domanda che sale dal male del mondo.
Giacomo Canobbio
COMMENTO: Il ritratto di uno dei più importanti teologi cattolici (nato nel 1928, allievo di Karl Rahner), padre della nuova teologia politica.
DESCRIZIONE: È possibile un amore che non sia egoista? E se è possibile, quale rapporto si instaura tra il puro amore per l’altro e l’amore di sé, fondamento delle inclinazioni naturali? Il problema dell’amore, come quello della conoscenza, si focalizza sul reciproco rapporto tra "sé" e "altro da sé". Se dunque la conciliazione dell’amore di sé e dell’amore per l’altro è possibile, essa si trova nell’amore di Dio.
A partire da questa considerazione, nel Medioevo sono stati proposti due modelli interpretativi del problema dell’amore. La concezione fisica, di ispirazione greco-tomista e fatta propria da Ugo di San Vittore e da san Bernardo, che cerca di stabilire un’armonica continuità tra l’amore-bramosia e l’amore amicale. E la concezione estatica, maturata nella scuola di Abelardo e penetrata nella scolastica francescana, che al contrario considera l’amore tanto più perfetto quanto più pone il soggetto "fuori da sé" e pienamente realizzato nell’assorbimento di chi ama nell’oggetto d’amore.
Grazie a testi particolarmente significativi, questo saggio analizza i lineamenti di queste due teorie medievali dell’amore e le speculazioni sistematiche che ne sono derivate in ambito filosofico e teologico.
COMMENTO: Un classico della storiografia filosofica, che illumina sui molti volti dell'amore (spirituale, terreno, umano).
PIERRE ROUSSELOT (1878-1915), teologo gesuita, ha insegnato all’Institut Catholique di Parigi e ha consacrato le proprie ricerche all’intellettualismo tomista e alla filosofia d’amore. È considerato uno degli iniziatori della teologia fondamentale contemporanea. Dell’autore sono stati tradotti Gli occhi della fede (Jaca Book, Milano 1977) e L’intellettualismo di san Tommaso (Vita e Pensiero, Milano 2000).
DESCRIZIONE: Rudolf Schnackenburg, il Nestore dell’esegesi cattolica del Nuovo testamento, nella controindagine critica sulla figura storica di Gesù ha già elaborato risultati fondamentali. In questo libro ora dà la sua risposta molto personale alla questione dell’attualità del Figlio di Dio: Gesù, vale a dire un amico, un amico per me, per altri, per tutti gli uomini. Sviluppa questo motivo dell’amicizia proponendo alcune modalità attuali di visione della persona di Gesù, ed esaminandole criticamente. Gesù è solo rivoluzionario sociale e pertanto ispiratore della lotta politica oggi? È unicamente un moralista fondamentale e critico dei devoti esemplari e perciò avvocato dei lontani dalla Chiesa? È veramente un esseno di Qumran o, per l’essenziale, prodotto di un mito? Prendendo sul serio questi interrogativi, ma anche facendone risaltare l’inadeguatezza, l’esegeta nella seconda parte del libro può dispiegare la sua visione e la sua esperienza del tutto personale della figura e della significatività permanenti di Gesù.
Sulla base di riferimenti biblici, l’autore mostra Gesù, vale a dire la realizzazione assoluta dell’amicizia in una persona. In lui si avvera tutta la simpatia, l’affezione possibile. Cercare l’amicizia con Gesù è più che la semplice sequela. È l’essere attratti in modo mistico entro la comunione con Dio.
COMMENTO: Una introduzione spirituale alla figura di Gesù, nella sua attualità per noi uomini d'oggi.
RODOLF SCHNACKENBURG (1914-2002) ha insegnato Teologia ed Esegesi neotestamentaria all’Università di Würzburg. Oltre alle numerose pubblicazioni presso l’editrice Herder, è stato curatore delle collane «Quaestiones Disputatae» (tr. it. Morcelliana) e «Herders theologischer Kommentar zum Neuen Testament» (tr. it. Paideia).
DESCRIZIONE: Mosè Maimonide scrisse il Trattato sulla resurrezione dei morti nel 1191 per rispondere ad alcuni critici che avevano insinuato una sua non credenza nella resurrezione, tema sul quale Maimonide si era già soffermato nell’Introduzione al x capitolo di Sanhedrin (anch'esso qui tradotto).
Opponendosi all'opinione diffusa nella cultura rabbinica, che identificava la resurrezione con il ritorno del Messia, Maimonide opera, in primo luogo, una netta distinzione tra la vita del mondo a venire, che pertiene esclusivamente alle anime, e la vita del mondo della resurrezione, che riguarda i corpi. In secondo luogo, pone una differenza tra il mondo della resurrezione e l'era messianica, stabilendo che la resurrezione dei morti non è legata necessariamente alla venuta del Messia né ai prodigi che questi opererà. La resurrezione dei morti non dipenderà dal Messia, ma unicamente dalla volontà imperscrutabile di Dio, che in qualunque momento potrà suscitarla o impedire che si manifesti. Per Maimonide la resurrezione non rappresenta la mèta ultima: essa è, invece, il mondo a venire, dimensione spirituale ed eterna in cui confluiranno le anime dei beati, una volta spogliatesi per la seconda volta dei corpi.
Un classico del pensiero che invita ad andare al di là delle opinioni correnti su un principio cardine dell'ebraismo e delle altre religioni monoteistiche.
COMMENTO: Del grande pensatore ebraico medievale (1135-1204), la prima traduzione italiana dei saggi sulla natura e il fine dell'anima, a cura del suo massimo studioso, Giuseppe Laras, già rabbino capo a Milano.
DESCRIZIONE: Il libro di Stoyanov è la presentazione più completa di un fenomeno religioso fondamentale: il dualismo e cioè quella concezione che vede l’uomo e il cosmo come il terreno di battaglia delle forze contrapposte del bene e del male. Attestato anche presso diverse popolazioni indigene, il mondo delle concezioni dualiste ha recitato una parte importante in molte tradizioni religiose sia politeiste sia monoteiste. Grazie a una non comune conoscenza delle fonti primarie e della letteratura secondaria, l’Autore ricostruisce in modo brillante la storia complessa di queste concezioni, dall’Egitto antico, con i miti di Seth e Osiride, alla centralità che il dualismo ha nella rivelazione del profeta Zarathustra in Iran, nell’Orfismo in Grecia o presso i settari di Qumran. Il cuore del libro è consacrato alla fioritura di miti dualistici presenti nei grandi sistemi dello gnosticismo e del manicheismo e alle reviviscenze medievali, testimoniate dai Bogomili in Oriente e dai Catari in Occidente. Si tratta di una storia tragica quanto appassionante. La lotta sistematica che le varie chiese cristiane hanno condotto contro gli "amici di Dio" bogomili e i "perfetti" catari, che pretendevano di porsi come i "veri cristiani", minacciandone l’esistenza, se si è risolta sul piano storico in una sconfitta tragica di queste eresie, non ne ha segnato comunque la scomparsa definitiva. Uno dei meriti maggiori del libro di Stoyanov, conoscitore profondo del mondo bulgaro e dell’est europeo, sta proprio nel ripensare la storia delle concezioni dualistiche anche alla luce delle emergenze contemporanee. Il suo libro costituisce un contributo prezioso per andare alle radici di un fenomeno che continua a gettare la sua ombra inquietante anche sul nostro mondo. (Giovanni Filoramo)
COMMENTO: La storia dei dualismi religiosi (Dio malvagio/Dio buono; mondo redento/mondo perduto...) scritta dal massimo specialista a livello internazionale, dall'antichità all'età medievale, tra ortodossia ed eresia cristiane.
Per elaborare una "teologia" che non abbia più al proprio centro soltanto l'uomo, ma, assieme a lui, l'animale, e ogni essere vivente, ci voleva un teologo come Paolo De Benedetti. Il cui pensiero si articola non intorno ad assiomi, evidenze, certezze. Ma intorno al "forse". Al dubbio. Alla logica dei "doppi pensieri". Solo chi, come lui, ha un senso così forte della precarietà dei giudizi umani e della imperscrutabilità di quelli divini, può arrivare a elaborare una teologia che metta continuamente in discussione se stessa: fino a spostare il centro della propria attenzione dalla creatura umana, che lo ha da sempre altezzosamente occupato, alle creature "minori", che sempre sono state ai margini. (Gabriella Caramore)
DESCRIZIONE: Che cosa avviene quando esprimiamo un giudizio di valore, quando diciamo: «questo è bene e questo è male»? È evidente che il giudizio implica una relazione, in quanto ogni singolo, ogni ente, è di per sé moralmente indifferente; è pertanto necessario interrogarsi su questa stessa connessione, sempre particolare: con un disvalore e con un valore, con una volontà. Il tema del male, che costituisce l’argomento centrale dei due dialoghi (del 1817), funge anche da pretesto per offrire un esempio di metodologia. Da qui il confronto con la presunta cogenza argomentativa di Spinoza, con la tesi del male radicale di Kant e con il modello idealistico di Fichte nel trovare una fonte prima e ultima del male. Al vuoto formalismo kantiano di una libertà trascendentale e di un imperativo categorico astratto, Herbart oppone il proposito di individuare principi morali che, pur validi universalmente, insieme salvaguardino il particolare.
A tal fine, con tono leggero, stile limpido e sprezzante, Herbart definisce per via di separazione e distinzione cinque «idee pratiche», tutte necessarie, che starebbero a fondamento della morale per far fronte all’incognita del male: libertà interiore, perfezione, benevolenza, diritto, equità.
COMMENTO: La riflessione sul male in forma di dialoghi, scritti da uno dei maggiori filosofi e pedagogisti dell'800 tedesco.
JOHANN FRIEDRICH HERBART (1776-1841), filosofo e pedagogista tedesco allievo di Fichte a Jena, rivendicò la necessità di un ritorno a Kant per confutare l’idealismo tedesco. Tra le sue opere tradotte: La rappresentazione estetica del mondo considerata come compito fondamentale dell’educazione (Armando 1996); Pedagogia generale derivata dal fine dell’educazione (La Nuova Italia 1997); Metafisica generale con elementi di una teoria filosofica della natura. Parte sistematica (Utet 2003); Il fondamento del sistema platonico (Le Lettere 2007).
DESCRIZIONE: Questa traduzione italiana di alcuni tra i più significativi saggi di Ernst-Wolfgang Böckenförde sul rapporto tra cristianesimo, libertà e democrazia si propone un duplice obiettivo: in primo luogo, favorire la conoscenza del pensiero teologico-politico di uno tra i più significativi intellettuali tedeschi contemporanei; in secondo luogo, introdurre nel dibattito civile, che si è aperto nel nostro Paese sul rapporto tra religione e politica, prospettive di pensiero e di azione di ampio respiro, fondate in modo serio e rigoroso su di una profonda cultura giuridica e teologica e nutrite costantemente da un’attenta analisi storica. Rispetto ai vari ideologismi che infestano la discussione pubblica su questi temi, i saggi di Böckenförde rappresentano una ventata di aria fresca che ci auguriamo possa contribuire a collocare il dialogo tra le diverse posizioni al livello alto che è richiesto dalla posta in gioco non banale – ossia la convivenza civile pacifica, ordinata ai princìpi di libertà e giustizia.
Chi ama l’intreccio singolare tra cristianesimo, libertà e democrazia che le tradizioni occidentali hanno saputo costruire e coltivare potrà trovare in queste pagine ragioni teoriche e concreti orientamenti per rendere fecondi questi temi nelle condizioni attuali del nostro vivere. (Michele Nicoletti)
COMMENTO: Un classico di "teologia politica" che tocca le categorie di libertà, coscienza e autorità, i temi della secolarizzazione (rapporto Chiesa-Stato nell'età moderna), l'etica e la sua intersezione con cristianesimo e democrazia e infine una disanima del concetto di teologia politica.
L'AUTORE (1930) ha insegnato presso le Università di Münster, Heidelberg, Bielefeld e Freiburg i.B. Dal 1983 al 1996 è stato giudice del Tribunale Costituzionale tedesco. Tra le sue opere ricordiamo: La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono: problematica e modelli dell’epoca (Giuffrè 1970); Stato, Costituzione, Democrazia (Giuffrè 2006). Presso la Morcelliana: La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione (2006).