
A cosa servono le biblioteche? O meglio, le biblioteche servono ancora? Nell'era del digitale e di Internet la loro esistenza ha ancora un senso? Non sono forse luoghi improduttivi, destinati a soccombere sotto i colpi dell'austerità? Le vittime sacrificali dell'ignoranza assurta oggi a valore e motivo di vanto? A ben guardare, però, l'accesso pubblico e immediato ai libri, e quindi alla cultura e alla conoscenza, è sempre stato sotto attacco. Fin dall'antichità, infatti, le biblioteche hanno conosciuto alterne fortune: alle distruzioni e ai saccheggi hanno fatto seguito epoche di splendori e di scoperte straordinarie, e la magnificenza dei loro tesori è spesso poi svaporata nell'oblio. È una storia affascinante quella che Stuart Kells, scrittore ed esperto di libri rari, ripercorre in questo volume. Una storia che inizia ben prima dell'invenzione della scrittura, e affonda le proprie radici nella cultura orale delle antiche civiltà, passa per i rotoli della Biblioteca di Alessandria e le preziose raccolte di codici in pergamena degli scriptoria medievali, lambisce le collezioni dei testi greci e latini salvati dagli umanisti alle soglie dell'età moderna e celebra i fasti della rivoluzione gutenberghiana, l'avvento della stampa e della produzione editoriale. Secoli di innovazioni e cambiamenti - nei progetti e nelle soluzioni architettoniche, negli arredi, nelle tecniche di conservazione e nei sistemi di catalogazione -, ma anche secoli di lotte per il potere, distruzioni, furti, confische e prosaica trascuratezza di cui le grandi biblioteche, insieme ai loro fondatori e finanziatori, sono state testimoni. Di tutto questo, Kells ci consegna un ricco catalogo di avvenimenti e aneddoti. Così, accanto ai migliori «custodi di libri» e bibliofili vediamo sfilare personaggi controversi e truffaldini, bibliotecari eccentrici, librai e bibliomani che, spinti da alti ideali, pantagruelici appetiti o basse ambizioni, si sono mossi nella cornice di più grandi rivolgimenti culturali, politici, sociali e religiosi, mentre ogni segreto delle biblioteche, dei loro artefici e dei loro abitanti ci viene svelato, trasportandoci attraverso stanze e nicchie nascoste, fra volumi finti, fortunosi ritrovamenti e collezioni «depravate» e proibite. Più che un viaggio avvincente nel mondo dei libri, "La biblioteca" è un vero atto di fede e di amore: verso un luogo di civiltà e conoscenza, e verso quegli autori - da Borges a Bradbury, da Tolkien a Eco - che, attraverso le loro costruzioni letterarie e immaginifiche, hanno saputo comprenderne il significato, moltiplicando così la nostra aspirazione all'immortalità.
Lorenzo Baglioni, quello delle canzoni sulle leggi di Keplero e de "Il congiuntivo", portata a Sanremo, ha scritto questo libro insieme al fratello Michele come risposta a anni e anni di sfottò. Cresciuto a Greve in Chianti (FI), ha coltivato la sua passione per le discipline scientifiche in un paese dove perlopiù si coltiva la vite per fare il vino. Liceo scientifico e poi laurea in matematica all'Università di Firenze, generando in amici e conoscenti un moto perpetuo rettilineo uniforme di sarcasmo dritto in faccia: «Roba inutile...», «Pippe mentali...», «Prr, io in matematica ho sempre avuto 3!», affermato con un certo orgoglio. E invece sapere la matematica aiuta davvero a vivere meglio, come si accorgerà il lettore di questo libro, grazie agli utilizzi pratici proposti dall'autore. Le disequazioni servono, ad esempio, a capire se lei/lui ci sta, semplicemente mettendo in rapporto le aree dei messaggi inviati in chat. I logaritmi ci spiegano come cambia la percezione che abbiamo della bellezza delle ragazze quando si muovono in gruppo, aiutandoci a trovare quella che ci ruberà il cuore. E che dire della distribuzione binomiale di probabilità, che ci spiega come mai non riusciamo mai a trovare il decimo giocatore per una partita di calcetto? O del fatto che, tramite l'utilizzo di vettori e funzioni, siamo in grado di calcolare in maniera più precisa quanto sono efficaci i nostri post sui social network? Questo libro è la grande rivincita di tutti coloro che hanno studiato al liceo scientifico, erroneamente considerati inferiori a quelli che hanno fatto il classico. Baglioni dimostra che chi sa di logaritmi, funzioni, equazioni e disequazioni è in grado di descrivere la realtà come e più di chi sa il latino e il greco antico.
«Se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidilo per primo» recita una frase del Talmud, il testo fondamentale dell'ebraismo. E fin dalla sua nascita, nel 1948, Israele pare aver fatto di questo insegnamento la propria parola d'ordine, forse a causa del trauma della Shoah e della sensazione, condivisa dai suoi leader e cittadini, che il Paese e l'intero popolo ebraico siano in costante pericolo di annientamento. Per tutelare la propria sicurezza, Israele ritiene quindi che la prevenzione e la deterrenza siano le armi vincenti, tanto che molto spesso i suoi capi politici hanno scelto di ricorrere agli omicidi mirati di potenziali nemici, affidandone l'incarico a quello che, probabilmente, è il più formidabile apparato di intelligence al mondo. Proprio nei meandri dei servizi segreti israeliani si è addentrato l'analista militare Ronen Bergman, che per anni ha cercato di penetrare la pesante cortina di riservatezza che avvolge l'attività del Mossad (la temutissima agenzia di raccolta informazioni), dell'IDF (le forze di difesa) e dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interna). Scontrandosi a ogni passo con la rigida censura militare e con un'ovvia omertà, Bergman ha realizzato centinaia di interviste e raccolto materiale davvero scottante. Grazie alle sue fonti - uomini di Stato quali Shimon Peres, Ehud Barak, Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu, capi di agenzie di intelligence, ma anche molti agenti operativi che hanno chiesto l'anonimato -, ha potuto ricostruire nel dettaglio le tante operazioni volte a contrastare il terrorismo suicida dell'intifada palestinese o a eliminare personaggi di spicco di organizzazioni terroristiche antisraeliane come Hamas, Hezbollah o il Movimento per il Jihad islamico in Palestina. Come in un'autentica spy story, fra intercettazioni, travestimenti e agguati mortali di spietata temerarietà, costati la vita anche a cittadini innocenti, "Uccidi per primo" racconta le fasi cruciali e le sofisticatissime tecniche di una campagna di esecuzioni extragiudiziali (senza tacere i brucianti interrogativi etici che essa pone) la cui escalation ha plasmato il volto attuale di Israele, del Medio Oriente e del mondo intero.
I tovagliolini dei bar che non asciugano, i cartelli stradali che ti abbandonano sul più bello, le calze che si bucano appena le metti, la paletta della scopa che lascia sempre una striscia di polvere ("la sottile linea grigia"), l'apertura impossibile del tonno in scatola, le date di scadenza illeggibili, i tubetti di pomata che appena li apri esplodono... Questo nuovo libro di Luciana Littizzetto è un manifesto sull'importanza trascurata di quelle piccole cose che potrebbero facilitarci la vita e invece ce la complicano. Un piccolo capolavoro di letteratura umoristica che diventa anche un elogio della delicatezza, della sensibilità, dell'attenzione. Contro la prepotenza, la superficialità, l'incuria. "Sarò la portavoce, l'ambasciatrice, la paladina delle micro-rotture del quotidiano, le incongruenze con le quali tutti, tutti i giorni, abbiamo a che fare. Quelle che ti fanno dire: 'Ma perché? Ma ti sembra normale che? Non sarebbe più facile se?'. I piccoli e grandi scontri con un reale che sembra lontano dalla logica e dal buon senso. Vedrei con favore un partito che si occupasse delle cose quotidiane, che promettesse di risolvere minuzie che intossicano giorno dopo giorno il nostro tran tran abituale. Il partito delle Picicì, Piccole Cose Certe." I grandi comici e gli scrittori migliori hanno il potere di osservarci quando crediamo che non ci veda nessuno, mentre ci incagliamo nella vita e nei suoi inciampi. Per questo ridiamo così tanto con Luciana Littizzetto, perché ci sentiamo meno soli.
Attacismo, caransèbico, quèstico, zeissiano... sono solo alcune delle parole che costellano questo dizionario. Ma non affrettatevi a cercarne altrove il significato: non lo troverete, per il semplice fatto che non esistono. Viceversa, esistono eccome gli stati d'animo che queste nuove parole definiscono: un catalogo di umanissime sfumature delle nostre emozioni. Ed è proprio per dar voce a questa variopinta tavolozza che Stefano Massini si è inventato un "Dizionario inesistente", che dalla A alla Z ci accompagna in un viaggio letterario, in un rincorrersi di racconti straordinari. Da una carrellata di personaggi reali Massini crea un ventaglio di nuovissimi sostantivi, verbi, aggettivi. Ed ecco dunque sfilare l'inventore della penna a sfera László Biró (da cui "birismo"), i tenaci guerriglieri cileni Mapuche (che porteranno al verbo "mapuchare"), ma anche mostri sacri come Leonardo e Galileo, Leopardi e Kafka, passando per nobili del Seicento e miniere sudafricane, instancabili bugiardi e scienziati camerieri.
"Io questo libro non lo volevo fare. Non avevo nessunissima intenzione di impicciarmi in questa storia." E invece, il romanzo alla fine su carta ci è arrivato lo stesso. Ma cos'aveva di particolare "questa storia" per disturbare tanto l'autore Antonio Pennacchi, e allo stesso tempo per convincerlo a impicciarsi? Tutto inizia ad Agora, un "paesaccio" sull'Agro Pontino, che una notte di fine febbraio diventa il teatro di un cruentissimo delitto: Loredana ed Emanuele, giovani fidanzati, vengono ritrovati uccisi da centottantaquattro coltellate. A scoprire i cadaveri sono il padre e il fratellino della ragazza, insieme a Giacinto, un amico delle vittime, ovviamente le prime tre persone informate sui fatti che la polizia interroga. Presto però arriva il turno di parenti, amici e semplici conoscenti, un caleidoscopio di voci che l'autore di "Canale Mussolini" rincorre e restituisce, un coro disarticolato da cui piano piano emergono discrepanze di orari, comportamenti incongruenti, alibi poco attendibili, tutte cose che mal si combinano con l'urgenza tipica dell'essere umano di trovare sempre e comunque un colpevole... anche a costo di accanirsi su probabili innocenti. Ispirato a fatti realmente accaduti ma rielaborati con le armi della scrittura e dell'invenzione letteraria.
La Teogonia è uno dei testi fondanti della civiltà greca, perché racconta il Principio e la genesi delle divinità primigenie, sino al dominio di Zeus, dando a esse un nome. Genesi, cioè generazione. Non Creazione, della quale, come anche di un Dio creatore dal nulla, non vi è traccia in Esiodo. Gli esseri primi semplicemente «vennero ad essere»: Caos, Terra, Tartaro ed Eros, «il più bello fra gli dèi immortali, / che scioglie le membra». L'immane vuoto, il Caos, nel quale campeggia la materia prima, la Terra; il fondo «caliginoso» del mondo sotterraneo, Tartaro, nel quale verranno poi confinati i Titani sconfitti. E, su tutto regnante, l'Amore. Di questi mattoni originari è fatto il cosmo, per Esiodo: sono essi che generano le entità successive: da Caos nascono Erebo e Notte, e da loro, unitisi «in amore», Etere e Giorno. Terra, d'altra parte, genera, «uguale a sé, Cielo stellato», affinché tutt'intorno la copra e per gli dèi beati sia sede sicura sempre. Primo di tutti i racconti cosmogonici classici, la Teogonia non si ferma alla genesi degli dèi, ma nella versione che ci è pervenuta giunge, dopo le vicende di Prometeo e la guerra contro i Titani e Tifeo, addirittura sino a Ulisse: il quale con Circe genera Agrio e Latino, che regnano sui Tirreni. Ma soprattutto, la Teogonia inizia e termina con le Muse: «Le Muse eliconie cantiamo per prime», recita l'apertura del poema. Le Muse, figlie di Zeus e Memoria, formano danze belle e seducenti, ondeggiando sui piedi. «Velate di fitta bruma», esse vanno nella notte, «versando una voce bellissima» e celebrando gli dèi. Sono loro che ispirano Esiodo: a lui che «pascolava gli agnelli ai piedi dell'Elicona divino» esse hanno dato per scettro un ramo d'alloro, e impongono di cantare il «vero», perché egli glorifichi «ciò che sarà e ciò che prima è stato»: e di celebrare «la stirpe dei beati che sempre sono, ma di cantare loro all'inizio e alla fine sempre». Un parallelo implicito viene così stabilito nella Teogonia tra l'inizio del mondo e quello del canto, della poesia. Perché anche le Muse cantano, glorificando «la stirpe venerabile» degli dèi, «dal principio, quelli che Terra e il vasto Cielo generarono». Allora «ride» la dimora del padre «alla voce di giglio delle dee» e le Muse, come Esiodo, cantano il Principio.
La modernità sta davvero fallendo? O non riusciamo forse ad apprezzare il progresso e gli ideali che lo rendono possibile? Il ventunesimo secolo sembra sprofondare nel caos, nell'odio e nell'irrazionalità. Eppure Steven Pinker dimostra che questa è un'illusione, un sintomo di amnesia storica e fallimenti statistici. Guardando infatti alle tendenze e non ai titoli, risulta evidente che le nostre vite si sono allungate, siamo più sani, più felici, il mondo è più sicuro e più pacifico e questo è vero non solo in Occidente ma dappertutto. Questo progresso non è il frutto del caso: è il risultato di un sistema di valori coerente e stimolante che molti di noi abbracciano senza nemmeno rendersene conto. Questi sono i valori della ragione, della scienza, dell'umanesimo e del progresso. Le sfide che affrontiamo oggi sono formidabili, tra cui disuguaglianza, cambiamenti climatici e tensioni religiose. Forse non avremo mai un mondo perfetto, ma, grazie alla scienza, possiamo continuare a renderlo migliore.
Generoso con gli umili, insofferente con i rivali, attaccatissimo al soldo, ascetico, trasgressivo, Michelangelo Buonarroti è il primo artista veramente moderno, capace di opporsi a tutto e a tutti, pontefici compresi, pur di esprimere se stesso. Scultore, pittore, architetto, poeta, durante la sua lunghissima vita (morì a quasi 89 anni) fu acclamato, strapagato, imitato, odiato. Troppo spesso, fu solo. Per necessità, per scelta, per destino. Senza lasciarsi intimorire né abbagliare dal mito del genio assoluto, Giulio Busi segue le tracce dell'uomo Michelangelo, che si sentiva fuori posto sia nelle botteghe di pittori e scultori sia nei salotti dei principi. Figlio di un'antica famiglia cittadina impoverita, nasce in provincia, tra i monti dell'Appennino toscano, dove il padre Lodovico è podestà di Caprese e Chiusi. Lui dovrebbe studiare latino e invece diviene apprendista di Domenico Ghirlandaio. Lo scopre Lorenzo il Magnifico, che gli dà protezione, mezzi, fiducia in se stesso. Innamorato di Firenze, se ne va appena può, per cercare fortuna a Roma. Affascinato dal moralismo visionario di Savonarola, lavora per i cardinali e scolpisce per i nemici del frate domenicano. Insofferente all'autorità, si piega al volere del terribile papa Giulio II, e per lui progetta una tomba fastosa (gli ci vorranno quarant'anni per finirla) e affresca la smisurata volta della Sistina. Sopporta a stento i Medici, i suoi benefattori, e ne riceve committenze e ricchi incarichi. Ama la bellezza maschile, si lascia affascinare da giovanotti eleganti e da qualche ragazzo di vita, ma s'infiamma d'amicizia per Vittoria Colonna, gran dama e specchio di virtù. Sempre insoddisfatto, inquieto, inarrivabile. Lungo le pagine di un racconto storicamente documentato e sorretto da una felice vena narrativa, Busi rivisita tutte le tappe di uno straordinario percorso creativo (dalla dolorosa bellezza mistica della Pietà vaticana, al titanismo della Cappella Sistina fino al dialogo con la morte della Pietà Rondanini) e di un egualmente straordinario percorso biografico. Da un amore all'altro, dal trionfo all'amarezza, arte e vita s'intrecciano, si fondono, si scontrano, in un'avventura esistenziale compiuta, come Michelangelo stesso ebbe a scrivere, «con tempestoso mar, per fragil barca».
Ottobre 1946, Mississippi. Pete Banning, cittadino modello di Clanton, reduce di guerra pluridecorato, patriarca di una nota famiglia locale proprietaria di campi di cotone, amato padre di famiglia e fedele membro della locale comunità metodista, in una fresca giornata di ottobre si alza presto, sale in macchina e si dirige verso la chiesa. Entra nello studio del pastore, il suo amico reverendo Dexter Bell, e con calma e determinazione gli spara e lo uccide. Da quel momento, l'unica cosa che Pete ripete a tutti, familiari, avvocati, uomini di giustizia, è "non ho niente da dire". Qualunque sia stato il motivo del suo inconcepibile gesto non verrà svelato. Pete non ha paura della morte e viene giustiziato portando il suo segreto nella tomba, lasciando incredula l'intera comunità di Clanton. Ma perché l'ha fatto? In questo romanzo, John Grisham accompagna il lettore in un viaggio alla scoperta della sua verità, dagli Stati del Sud alla giungla delle Filippine durante la guerra degli americani contro i giapponesi, a un claustrofobico manicomio pieno di segreti fino all'aula del tribunale dove l'avvocato del protagonista cerca invano di salvarlo senza la sua collaborazione, mostrando gli effetti che può avere a lungo termine un crimine terribile e inspiegabile.