Joshua ha quattro anni quando ascolta attento l'inizio di una storia terribile, quella della nonna Andra, sopravvissuta ad Auschwitz insieme a sua sorella Tatiana e ad altri cinquanta bambini. L'epilogo di quella fiaba crudele arriva dopo molti anni, ma intanto dentro Joshua nasce una domanda: quale voce racconterà la Shoah quando non ci sarà più alcun testimone vivente? L'occasione per trovare una risposta si presenta quando a scuola gli viene chiesto di raccontare un'esperienza per lui importante. Joshua quell'esperienza decide di viverla e annuncia ai professori che si calerà per una settimana nei panni di sua nonna bambina, quand'era prigioniera in un campo di sterminio. Così, per sette giorni, Joshua si rinchiude nel garage di casa dove patisce freddo, fame, fatica, solitudine, noia. E alla fine, anche se solo in parte, comprende quello che hanno passato la nonna e tutti coloro che sono stati deportati come lei. E racconta. E non smette di raccontare, perché nessuno dimentichi. Età di lettura: da 12 anni.
A pochi chilometri da Lucca, dalla pianura s'alza il Colle di Santa Maria delle Grazie. In cima c'è il manicomio. Il paese più vicino si chiama Magliano. Così «venire da Magliano», per la gente del luogo, significa portare il segno della pazzia, di una vita attraversata dal vento sublime e dannato della sofferenza mentale. In un reparto psichiatrico femminile, negli anni precedenti l'età degli psicofarmaci e ben prima della contestata riforma Basaglia, un medico vive con le «libere donne di Magliano»: donne aggressive, tristi, erotiche, disperate, orrende, miti, malate o semplicemente fuggite dal mondo. Capolavoro di Mario Tobino, Le libere donne di Magliano è «il libro sulla sua vita» oltre che il poema della profondissima e unica atmosfera che pervade le stanze della follia: perché «il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli». E perché «anche i matti sono creature degne d'amore», come lo stesso autore volle scrivere sulla fascetta della prima edizione del romanzo (Vallecchi 1953). Arricchiscono il volume due inserti iconografici che mostrano com'era e com'è oggi l'Ospedale Psichiatrico di Maggiano, nel quale lo scrittore psichiatra Mario Tobino abitò due camerette della Casa Medici dal 1943 al 1990 e in cui operò come responsabile del settore femminile fino al 1980.
"Il mondo là fuori, con il suo rumore e il suo caos, proverà sempre a entrarti dentro. Arriveranno pensieri nuovi, difficili da affrontare. Non affrontarli, allora. Torna all'origine: calma la mente. Sdraiati su un prato e guarda lassù. Tu non sei le nuvole, che vanno e vengono e sono sempre in movimento. Tu sei il cielo. E il cielo è leggero proprio perché non trattiene niente. Il cielo è saggio. Sa lasciare andare ciò che lo attraversa. Se vuoi essere sereno come un buddha, non essere una nuvola. Sii il cielo. Il buddhismo è stato la mia guarigione. Mi ha mostrato che la vita è tutta una questione di punti di vista: a seconda di come la guardi, la tua esistenza può essere bella o brutta, giusta o sbagliata, fortunata o sfortunata. Prima di volerla cambiare, dobbiamo essere noi a guardarla con occhi diversi, più consapevoli. Dobbiamo essere noi a cambiare. È stato proprio attraverso questo processo che il buddhismo mi ha aiutato a trasformare il periodo più difficile della mia vita in una inaspettata e miracolosa rinascita. Il mio augurio è che anche tu, ovunque stia leggendo queste parole, possa trovare tra queste pagine l'ispirazione e i metodi per diventare la persona che meriti di essere. Saggia, innanzitutto. E poi compassionevole, presente, calma, positiva, gentile. Libera dalla sofferenza. Felice, finalmente." In "Profondo come il mare, leggero come il cielo", Gianluca Gotto condivide gli incontri, le esperienze e i tanti insegnamenti che lo hanno salvato nel momento più buio della sua vita. Un libro intimo e generoso, pieno della saggezza millenaria - ma quanto mai attuale - del Buddha e di consigli pratici per trasformare la sofferenza in un terreno fertile in cui la felicità possa mettere radici.
«Sembriamo tutti giudici mancati, ma Dio perdona chi non giudica i fratelli.» Così, in una messa a Santa Marta, papa Francesco sottolinea come il giudizio verso l'altro sembra aver sostituito la misericordia cristiana. Lo stesso papa, del resto, è costantemente criticato; alcuni lo hanno addirittura bollato come eretico, chiedendone le dimissioni. Una storia per molti versi speculare a quella di san Francesco d'Assisi che, nel corso della sua vita, dovette passare attraverso ben tre processi. Il primo, mosso dal padre Pietro di Bernardone, terminò con uno dei gesti più eclatanti e significativi mai raccontati nelle vite dei santi, la «spoliazione». Il secondo, noto come il processo del «Signor Papa», ha come protagonista Innocenzo III ed è una parte centrale del complicato percorso che portò all'approvazione della Regola. Il terzo, infine, scatenato dai dissidi sull'interpretazione della Regola che avevano causato numerose dispute tra i frati, terminò con la decisione di Francesco di rassegnare le dimissioni dalla guida del suo stesso Ordine. Partendo dal racconto di questi tre episodi, Enzo Fortunato riflette sulle somiglianze tra la vita del Santo e quella di papa Francesco. Entrambi, come Gesù, non giudicano mai l'altro, ma sono continuamente sotto giudizio. Il ritorno dello spirito francescano veicolato dal papa, infatti, ha scosso dalle fondamenta una Chiesa arroccata e autoreferenziale che rischiava di perdere di vista il messaggio più autentico del Vangelo: l'amore verso gli ultimi. Come scrive il cardinale Matteo Maria Zuppi, «una delle chiavi di lettura offerta da padre Enzo Fortunato sta nel modo in cui entrambi - il Santo e il papa - rispondono ai loro accusatori. O, come sarebbe meglio dire, il modo in cui non rispondono. Non si tratta di eludere il confronto, ma di ribaltare il piano e la logica dell'accusa. Questa, infatti, alimenterebbe soltanto l'odio e il rancore. La logica del cuore apre invece lo spazio a un altro modo di intendere la relazione umana».
La signora Mirtilla è orgogliosa dei suoi elettrodomestici che sono moderni, splendenti e iperefficienti. Ma questi, un giorno, protestano: ognuno pensa di svolgere al meglio il lavoro dell'altro. La Lavatrice vuole sfornare un pan di Spagna, il Frullino vuole stirare le camicie, il Tostapane produrre ghiaccioli e la Caffettiera il gelato... In un attimo la cucina va in tilt. Max è un ragazzo felice, se non fosse che desidera più di ogni altra cosa al mondo un vestito, un vestito solo, però buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni. Ma un giorno il postino bussa alla porta per consegnare un pacco... Nei versi fantasiosi di "A letto, bambini!" i più piccoli scopriranno con sorpresa che il lettino non è solo morbido, pulito, ben rincalzato e perfetto per sognare, ma può essere anche un posto davvero speciale. Conosciamo Sylvia Plath per le sue poesie, ricche di immagini e di metafore, ma quanti sanno dei suoi libri per bambini? Queste tre storie dalla prosa semplice e dolcemente ironica, tradotte da Bianca Pitzorno, sono impreziosite dalle immagini di Carlo Muñoz, di Rotraut Susanne Berner e di Quentin Blake che illustrò la leggerezza dei versi di "A letto, bambini!" già nella prima edizione inglese. Prefazione di Frieda Hughes. Età di lettura: da 8 anni.
Tutti lo sanno: Antoine de Saint-Exupéry ha scritto "Il piccolo principe", uno dei romanzi più popolari del mondo. Quello che tutti non sanno è che Antoine, famigliarmente Tonio, è un personaggio che vale da solo una grande storia. Ed è la storia che Romana Petri ha scritto con la febbre e la furia di chi si lascia catturare da un carattere e lo fa suo, anzi lo ruba, tanto che il documento prende più che spesso la forma dell'immaginazione. Orfano di padre, Tonio vive un'infanzia felice nel castello di Saint-Maurice-de-Rémens, amato, celebrato, avviluppato al mostruoso quasi ossessivo amore per la madre; un'infanzia che gli resta incollata all'anima per tutta la vita, fin da quando, straziato, vede morire il fratello più giovane. L'infanzia lo tallona come un destino quando, esaltato, comincia a volare, pilota civile e pilota militare, quando si innamora tanto e tante volte, quando si trasferisce in America, quando scrive, persino quando si schiera e sceglie di combattere per un'idea di Francia che forse è sua e solo sua. Dove sia andato Tonio, non sappiamo, nei cieli in fiamme del 1944. Sappiamo che ci ha lasciato le stelle della notte, il sogno di una meraviglia che non si è mai consumata, il bambino che lui ci invita a riconoscere eterno dentro di noi. Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d'avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell'infinito.
Nisha vive nel lusso grazie al matrimonio con un ricco uomo d'affari fino al giorno in cui, di punto in bianco, lui le chiede il divorzio e la estromette dalla sua vita, privandola di tutto ciò che fino a quel momento possedeva. Benché Nisha sia determinata a tenersi stretti i suoi privilegi, ciò che le rimane è solo una borsa da palestra di un'altra donna con dei vestiti a buon mercato che non le appartengono. Sola e abbandonata, comincia a capire cosa significhi non avere più nulla, il peggiore dei suoi incubi, e dover ripartire da zero. Sam, invece, sta vivendo una profonda crisi. Suo marito è disoccupato e depresso, sua figlia sembra non accorgersi neanche di lei e non ha nessuna soddisfazione sul lavoro. Sam è una donna dall'animo gentile, che si è dimenticata di se stessa per soddisfare solo i bisogni degli altri. Quando si accorge di aver preso per sbaglio la borsa di un'estranea in palestra e si trova costretta a indossare delle provocanti scarpe rosse di coccodrillo di Christian Louboutin per partecipare a una serie di riunioni di lavoro, inizia a rendersi conto che qualcosa deve cambiare: incredibilmente quei tacchi vertiginosi la portano a una svolta. Jojo Moyes ha un talento speciale nel parlare dritto al cuore delle donne, descrivendo con sensibilità le loro fragilità e la loro grande forza. La mia vita nella tua è una commedia ricca di sorprese e colpi di scena, ma soprattutto una storia sul valore dell'amicizia al femminile.
Nell'India del XIV secolo, dopo una sanguinosa battaglia tra due regni ormai dimenticati, una bambina di nove anni ha un incontro divino che cambierà il corso della storia. La giovanissima Pampa Kampana, distrutta dal dolore per la morte della madre, diventa un tramite per la dea sua omonima, che non solo inizia a parlare attraverso la sua bocca, ma le accorda enormi poteri e le rivela che sarà determinante per la nascita di una grande città chiamata Bisnaga (letteralmente "città della vittoria"). Nei 250 anni successivi, la vita di Pampa Kampana si intreccia profondamente con quella di Bisnaga: dalla creazione resa possibile grazie a un sacchetto di semi magici alla tragica rovina provocata dall'arroganza dei potenti. E sarà proprio il racconto sussurrato a mezza voce dalla nostra eroina a dar vita, via via, a Bisnaga e ai suoi cittadini, nel tentativo di portare a termine il compito che la dea le ha assegnato: garantire alle donne un potere paritario in un mondo patriarcale. Ma tutte le storie hanno un modo per rendersi indipendenti dal loro creatore, e Bisnaga non farà eccezione. Con il passare degli anni, con l'avvicendarsi dei governanti, delle battaglie vinte e di quelle perse, il tessuto stesso di Bisnaga diventa un arazzo sempre più complesso, al centro del quale resta però comunque la nostra eroina. Strutturato come la traduzione di un'antica epopea, La città della vittoria è una saga di amore, avventura e mito e una testimonianza del potere della narrazione.
"Quando torni io non ci sarò già più." Sono le ultime parole di S. a Matteo, pronunciate al telefono in un giorno d'autunno del 1998. Sembra una comunicazione di servizio, invece è un addio. S. sta finendo di portare via le sue cose dall'appartamento di Matteo dopo la fine della loro storia d'amore. Quel giorno Matteo torna a casa, la casa in cui hanno vissuto insieme per sette anni, e scopre che S. si è tolto la vita. Mentre chiama inutilmente aiuto, capisce che sta vivendo gli istanti più dolorosi della sua intera esistenza. Da quegli istanti sono passati quasi venticinque anni, durante i quali Matteo B. Bianchi non ha mai smesso di plasmare nella sua testa queste pagine di lancinante bellezza. Nei mesi che seguono la morte di S., Matteo scopre che quelli come lui, parenti o compagni di suicidi, vengono definiti sopravvissuti. Ed è così che si sente: protagonista di un evento raro, di un dolore perversamente speciale. Rabbia, rimpianto, senso di colpa, smarrimento: il suo dolore è un labirinto, una ricerca continua di risposte - perché l'ha fatto? -, di un ordine, o anche solo di un'ora di tregua. Per placarsi tenta di tutto: incontra psichiatri, pranoterapeuti, persino una sensitiva. E intanto, come fa da quando è bambino, cerca conforto nei libri e nella musica. Ma non c'è niente che parli di lui, nessuno che possa comprenderlo. Lentamente, inizia a ripercorrere la sua storia con S. - un amore nato quasi per sfida, tra due uomini diversi in tutto -, a fermare sulla pagina ricordi e sentimenti, senza pudore. Ecco perché oggi pubblica questo libro, perché allora avrebbe avuto bisogno di leggere un libro così, sulla vita di chi resta. Ma c'è anche un altro motivo: "In me convivono due anime" scrive, "la persona e lo scrittore". La persona vuole salvarsi, lo scrittore vuole guardare dentro l'abisso. Per vent'anni lo scrittore che c'è in Matteo ha cercato la giusta distanza per raccontare quell'abisso. E quando si è trovato nel punto di equilibrio, da lì, da quella posizione miracolosa, ha scritto queste parole, che, seppur lucidissime, sgorgano con la forza e la naturalezza dell'urgenza. Ciò che stiamo consegnando nelle mani di chi legge è un dono, sì, ma un dono di straordinaria gravità. Eppure, ognuna di queste pagine contiene un germe di futuro, la testimonianza di come, persino nelle pieghe di un dolore indicibile, la scrittura possa ancora salvare.
Tutto inizia con una pietra d'inciampo vicino casa. Alessandro Milan la scorge in un giorno di ottobre, quasi per caso. Riporta il nome di Angelo Aglieri, impiegato del «Corriere della Sera», arrestato nel maggio 1944 con l'accusa di aver introdotto in redazione una bomba a mano, poi condotto al carcere di San Vittore e da qui deportato al campo di Fossoli. Determinato a ricostruirne la storia, Milan inizia la sua ricerca. A quella vicenda però se ne intrecciano presto molte altre: la storia di chi allora era soltanto un ragazzino, come Sergio Temolo, e perse il padre per mano fascista il 10 agosto 1944 nell'eccidio di piazzale Loreto, o di chi mise a disposizione il proprio coraggio, come Carmela Fiorili, portinaia del palazzo in viale Monza 23 - noto come il «Casermone» -, staffetta partigiana insieme alla figlia, Francesca, e per mesi punto di riferimento sicuro per la resistenza meneghina. Il risultato è un grande affresco di uomini e donne che, pur non conoscendosi, si trovano legati da un filo invisibile, protagonisti e testimoni della Storia. Le loro vite si sfiorarono tra le strade dello stesso quartiere, della stessa città, Milano, sempre più devastata dai bombardamenti e dalle macerie. Quello di Milan è il racconto di una pagina della resistenza milanese, ma anche un racconto universale che, con accuratezza storica e un brillante passo narrativo, restituisce un pezzo di storia del nostro Paese. Un racconto che parte da Milano e si dipana nel resto d'Italia, dal campo di prigionia di Fossoli a Riva del Garda fino alle campagne vicentine di Arzignano. Un racconto che parla di noi, del nostro passato e del nostro presente.