
È una limpida notte di luna piena, una notte di gioia e di festa, quando il Villaggio Alto subisce l'improvviso attacco di un manipolo di spietati cavalieri che portano morte e devastazione. In pochi sopravvivono: tra questi la giovane Ailis, mentre la sua migliore amica Vevisa viene rapita. Seguendo il folle proposito di vendicare la furia distruttrice che ha falcidiato il suo popolo e ritrovare Vevisa, Ailis, che è poco più di una bambina ma ha lo spirito audace e temerario di un guerriero, intraprende la sua lunga e perigliosa ricerca. Attraversando lande sconosciute e meravigliose conoscerà la schiavitù, la battaglia, le illusioni della magia e dell'amore, vedrà le molte facce della morte e capirà che senza questo iniziatico viaggio non avrebbe mai sollevato il velo sulle proprie arcane origini e sul proprio enigmatico destino: da lei potrebbe infatti dipendere l'equilibrio e il futuro stesso delle Terre Occidentali. Il primo volume di una saga che mescola fiaba, azione, epica cavalleresca e mito classico.
Le diciotto apparizioni della Vergine Maria nella Grotta di Massabielle, presso Lourdes, sono da più di centocinquant'anni motivo di accese polemiche, soprattutto sulla credibilità dell'unica testimone, la quattordicenne Bernadette Soubirous. Lei sola ha visto, ha sentito, ha riferito. Ma davvero questa ragazzina misera e analfabeta, sulle cui fragili spalle grava il peso del maggior santuario del mondo (cinque milioni di pellegrini ogni anno, sempre in aumento), avrebbe colloquiato a tu per tu con Colei che si definì l'Immacolata Concezione? Le sue non sono forse allucinazioni di un'isterica o, peggio, invenzioni suggeritele dalla vanità di adolescente frustrata, da genitori interessati oppure da qualche ambiguo membro del clero? Molti hanno sostenuto e tuttora sostengono simili tesi. Nel suo impegno per la riscoperta di un'apologetica pacata e rigorosa, Vittorio Messori indaga da decenni sulla verità della testimonianza di Bernadette, attribuendole un valore religioso decisivo. Il risultato è questo libro, segnato dal consueto equilibrio tra il rispetto del credente per il Mistero e il rispetto dello storico per il rigore della ricerca. Nessuna elevazione misticheggiante, qui, nessuno scandalo o invettiva, bensì una mole impressionante di dati e notizie talvolta inediti, spesso nascosti o dimenticati; sempre, comunque, vagliati alla luce della ragione.
Odette, Clarice e Barbara Jean sono amiche da quarant'anni. Cresciute negli anni Sessanta, e soprannominate "le Supremes" dagli amici, hanno sempre vissuto nella stessa cittadina dell'Indiana e hanno condiviso gioie e dolori che la vita ha riservato loro, aiutandosi con una buona dose di humour e non solo: segreti dolorosi, scelte difficili, drammi familiari, incomprensioni e tradimenti dei mariti. Le tre donne sembrano comuni, in realtà sono parecchio originali. Odette, coraggiosa e a volte un po' troppo schietta, ha l'abitudine di parlare di cose che puntualmente accadono con l'amata e stravagante madre ormai morta da tempo, come se fosse una presenza reale, ma decide di non farne parola con nessuno, neanche con l'adorato marito. Clarice, la sua migliore amica, cresciuta con il culto della buona reputazione e vittima del conformismo, è in realtà afflitta dai continui tradimenti del marito, ma fa di tutto per mostrare al mondo intero che il suo è un matrimonio perfetto. La bellissima Barbara Jean, con un passato difficile alle spalle, si è sposata con un uomo molto ricco e più vecchio di lei, ma pensa ancora al suo primo e unico amore. Le tre hanno l'abitudine di ritrovarsi ogni domenica dopo la messa in un ristorante con i loro mariti ed è proprio durante una di queste riunioni che il loro piccolo mondo inizia a sgretolarsi..
9 luglio 2006: l'epica serata della finale dei mondiali Italia-Francia, una serata estiva accarezzata dalla brezza elettrizzante dell'attesa. Una partita indimenticabile, la vittoria ai rigori e l'esplosione imprevedibile della testata di Zidane a Materazzi, avvenimenti unici che deflagrano sul campo dell'Olympiastadion di Berlino e risuonano nelle vite di tutti coloro che assistono all'evento dal divano del proprio soggiorno, da una piazza gremita, dai tavolini di un bar. In queste ore magiche il comune senso della realtà è sospeso e trova spazio "l'oceano delle possibilità": le priorità vengono stravolte, la prudenza è spazzata via dall'azzardo, e "il presente, sempre costretto a stringersi in se stesso, a farsi sparuto tra passato e futuro come un passeggero qualsiasi, può stiracchiarsi e dilatarsi a dismisura fino a occupare l'intero palcoscenico". Mentre i calciatori - eroi del nostro tempo, gladiatori in un'arena solo appena più civilizzata - si sfidano per il titolo di campioni del mondo, altre partite decisive si giocano per le strade della città. Così è per Mario, gestore di un piccolo supermercato che somiglia a Tyrone Power e, come lui, sogna di pescare perle nei mari del Sud; per Manuela, infermiera innamorata del primario, che tutto vorrebbe salvo tornare nel paesino del Messico da cui è partita anni prima; e soprattutto per Andrea e i suoi genitori, stretti in un groviglio di conflitti repressi ma anche di grandi, segrete attese, per cui è in palio il bene più prezioso.
II Meridiano propone un'ampia scelta di narrativa breve e lunga, a partire da "Itinerario di Paolina" del 1937, "ricordi di una donna che rievocava, in terza persona, la sua infanzia e la sua adolescenza". Tra i romanzi, il più famoso è "Artemisia" (1947), che ripercorre la vita della pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, "una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale". Anche gli altri romanzi presentati sono ciascuno una perla: "Il bastardo" (1953), una "storia di famiglia", espressione di una società "intimamente logorata"; "Noi credevamo" (1967), ispirato alle vicende del nonno rivoluzionario calabrese; "La camicia bruciata" (1973), in cui la Banti colloquia con Marguerite d'Orléans; "Un grido lacerante" (1981), pagine scritte a dieci anni dalla scomparsa di Longhi, compagno di una vita. Inframmezzati ai romanzi, in ordine cronologico, sono collocati i racconti, tratti da raccolte che spesso già nel titolo dicono l'appartenenza alla "rivoluzione" femminile e il profondo interesse dell'autrice per le "epoche di profonda crisi".
Figlio di un idraulico scozzese, Rod Stewart nasce a Londra nel 1945. Dopo aver tentato diversi lavori, dal becchino al giocatore di calcio professionista, è la musica che cattura definitivamente il suo cuore. Rod esordisce all'inizio degli anni Sessanta, suonando nei club della scena R&B di Londra, fino a quando la sua voce roca e particolare giunge all'orecchio del mitico cantante Long John Baldry, che lo avvicina una notte mentre sta suonando alla stazione. A questo incontro fanno seguito periodi di collaborazione con gruppi pionieristici come gli Hoochie Coochie Man, gli Steampacket e i Jeff Beck Group, fino ai cinque anni turbolenti con i Faces, i cui eccessi a base di alcol, stanze d'albergo distrutte e groupies sono ormai entrati nella leggenda. In questa vita intensa e sregolata, Rod ha trovato il tempo di scrivere moltissime canzoni, tra cui capolavori come Maggie May, nel 1971, che lo impone come star, di iniziare una carriera da solista di grande successo, di vendere circa duecento milioni di dischi, di essere ammesso per ben due volte alla Hall of Fame e di tenere il più grande concerto di tutti i tempi. Non male, come dice lui, per uno con una rana in gola. E poi c'è la vita privata: matrimoni, divorzi e relazioni con alcune delle donne più belle del mondo - Bond girls, star del cinema e top model - e la terribile esperienza di un cancro alle corde vocali che ha rischiato di fargli perdere tutto.
"La buona cucina è un agente morale. Per buona cucina intendo la preparazione coscienziosa del semplice cibo quotidiano, non la più o meno talentuosa elaborazione di oziosi banchetti e piatti eccentrici. Il proposito di un libro di cucina è uno e inequivocabile. Il suo unico obiettivo concepibile non può essere che accrescere la felicità degli esseri umani." È sorprendente scoprire che l'autore di queste righe è Joseph Conrad, nella prefazione al libro di ricette pubblicato nel 1923 da sua moglie Jessie. "A capotavola" è intessuto di sorprese simili a questa: perché scruta attraverso la lente della passione gastronomica le vite di una galleria di personaggi straordinari - dalla A del copista arabo Muhammad Al-Baghdadi alla Y dello scrittore cinese Yuan Mei, passando per Pellegrino Artusi, André Michelin, Agatha Christie, Georges Simenon, fino ad Ave Ninchi, Elena di Sparta e Margherita di Savoia. Entrare a far parte del firmamento dell'alta cucina è oggi il sogno di tanti aspiranti "master chef". Ma le storie golose raccolte da Laura Grandi e Stefano Tettamanti ci rivelano come spesso a battezzare ricette, metodi di preparazione e "filosofie" gastronomiche siano stati personaggi che dietro ai fornelli non ci sono mai stati. "A capotavola" è una piccola enciclopedia illustrata - del tutto personale e cosparsa di quei buchi che rendono ottima una buona fetta di groviera - della storia della cucina e, insieme, del mutamento del gusto e del costume, non solo alimentare, attraverso il tempo.
"Ottima è l'acqua e l'oro come fuoco che avvampa rifulge nella notte più di ogni superba ricchezza." È l'apertura dell'"Olimpica I" "il più bello fra tutti i canti", come di essa scriveva Luciano sei secoli dopo la sua composizione. Un inizio solenne, nel quale regnano la trasparenza e il bagliore: quelli che più tardi si sarebbero riassunti nella parola claritas. E che subito riverberano nei versi successivi, nei quali splende l'astro fulgido del sole che arde "nell'etere deserto". A voler cantare gli agoni, sostiene Pindaro, si deve per forza scegliere i migliori, le Olimpiadi: che sono come l'acqua, l'oro, il fuoco, il sole, e che ebbero luogo in Grecia per oltre mille anni, dal 776 a.C. a quel 393 d.C. nel quale l'imperatore Teodosio e il vescovo Ambrogio li proibirono. Pindaro, oltreché delle "Pitiche", delle "Istmiche" e delle "Nemee", è anche - nell'immaginazione dei lettori e dei poeti dei due millenni e mezzo che da lui ci separano - il grande poeta, il poeta per eccellenza, delle "Olimpiche". Con esse, celebra di volta in volta la vittoria degli atleti nelle gare di Olimpia. Ma i suoi epinici sono famosi per la luce che li pervade, la velocità fulminea dei passaggi tematici (i celebri "voli pindarici") intercalati a brevi sentenze di saggezza, l'esaltazione degli ideali di eroismo e gloria, la descrizione incisiva dei fenomeni naturali. Commento a cura di Carmine Catenacci, Pietro Giannini e Liana Lomiento.
Petacco ricostruisce la storia dell'"emigrazione politica" dei comunisti italiani riparati in Unione Sovietica dopo l'avvento del fascismo: attraverso grandi e piccole vicende umane, tratteggia l'atmosfera irrespirabile del Club degli emigrati di Mosca, una sorta di dopolavoro dove le riunioni si erano trasformate in processi inquisitori. Rivela come le schede compilate e inviate dal PCI, in cui venivano elencati gli "errori" politici commessi e poi corretti, si fossero rivelate delle denunce che ponevano gli sventurati alla mercé degli inquisitori di Stalin. Descrive il clima ambiguo e inquietante del Lux, l'albergo dove alloggiavano i compagni "dirigenti" e dove l'acqua scorreva nei lavandini anche la notte per confondere le "cimici" nel caso qualcuno parlasse nel sonno. E, non ultimo, la misera sorte di tanti bambini i "figli del partito" -rimasti senza genitori e spediti negli istituti organizzati dal Comintern per forgiare gli "uomini nuovi". La vita di tanti italiani si concluse drammaticamente con la fucilazione o la deportazione nel gulag. Gli emigrati che chiesero l'"onore" della cittadinanza sovietica furono i più sfortunati, perché persero ogni diritto, mentre a coloro che rimasero italiani andò un po' meglio: qualcuno tornò a casa, sia pure a prezzo del silenzio.
Navigare è da sempre sinonimo di vivere e conoscere. Un'immagine che l'era informatica ha reso ancora più familiare e ricca di significati. Più che mai incerta, tuttavia, si è fatta la rotta per un'umanità spaesata che "naviga nel mare di Internet come un Ulisse che non ha, però, alle spalle nessuna Itaca e, quindi, non sa dove volgere la prua della nave per puntare a una meta". Ha ancora senso, allora, inseguire un approdo o bisogna rassegnarsi a procedere a vista? Gianfranco Ravasi ci propone un percorso di ricerca in cui una sapienza antica si confronta criticamente con i dubbi dell'uomo contemporaneo. Il tragitto si snoda, in un crescendo emotivo e spirituale, lungo la direttrice che collega tre grandi porti: la "città secolare", la moderna metropoli, vorticosa e disincantata, che ha relegato il sacro fuori dai suoi confini e nella quale anche Dio, se dovesse presentarsi sulla sua piazza principale, "al massimo verrebbe fermato come un estraneo a cui chiedere di esibire i documenti d'identità"; la "città dell'uomo", "affascinante e scintillante di luci" ma spesso "devastata dalle sue scelte storiche", un luogo dal forte valore simbolico, che può diventare segno e anticipazione dell'incontro col divino o inaridirsi nell'illusione di bastare a se stessa; e infine "la città di Dio", il traguardo ultimo della nostra peregrinazione, che si può abbracciare solo con lo sguardo della fede.