"Madame Bovary", apparso a puntate sulla "Revue de Paris" nel 1856 e in volume l'anno seguente, incontrò subito un grande successo di pubblico, dovuto anche al clamore del processo a cui il suo autore, incriminato per oltraggio alla morale e alla religione, fu sottoposto. Incentrato sulla superba figura di Emma Bovary - donna inquieta, insoddisfatta, simbolo di un'insanabile frustrazione sentimentale e sociale - e giocato su un antiromanticismo ideologico e formale di fondo, fin dal primo apparire questo romanzo si impose all'attenzione della critica come il capolavoro assoluto della narrativa moderna: come ha scritto Vladimir Nabokov, "senza Flaubert non ci sarebbe stato un Marcel Proust in Francia, né un James Joyce in Irlanda. In Russia, Cechov non sarebbe stato Cechov". Introduzione di Antonia S. Byatt. Con una nota di Charles Baudelaire.
Pubblicato nel 1802, "Ultime lettere di Jacopo Ortis" è un'opera ricca e stratificata, nella quale coesistono diversi libri: romanzo-verità, nel senso che si muove da un dato documentario (il suicidio "vero" del giovane Ortis) per rielaborarlo fantasticamente a specchio dell'esistenza biografica del giovane Foscolo, fortemente tentato dall'idea del suicidio; romanzo-saggio, nel senso che recupera, nella struttura epistolare, autocitazioni da lettere e opere giovanili e calchi da infinite letture, italiane e straniere; romanzo degli affetti, cioè itinerario labirintico tra due passioni fondamentali, il furor di patria e l'amore, di un prototipo, civile e politico, di Eroe Impossibile. Questo e altro rappresentano le "Ultime lettere di Jacopo Ortis", uno dei libri più sperimentali della letteratura italiana. Introduzione e commento di Guido Davico Bonino.
"Non avrà fortuna questo libro, perché troppo dotto per gli umili e troppo umile per i dotti; è di moralità ipocrita, e perciò non potrà vivere." Con questo poco lungimirante giudizio Vincenzo Monti salutava l'uscita dei "Promessi sposi". Come ben sappiamo, si sbagliava. Perché fin dalla sua prima apparizione nel 1827 e con la successiva rielaborazione del 1840-42 (quella che qui si pubblica), "I Promessi sposi" si impose come il grande romanzo nazionale che all'Italia mancava. Nella vicenda seicentesca dei due fidanzati che solo dopo infinite peripezie riescono a convolare a nozze, infatti, è racchiuso quanto di meglio la letteratura possa dare: una trama che ancora cattura, una finezza psicologica che stupisce, un'ironia tanto sottile quanto irresistibile, l'incanto di una lingua raffinata e popolare, un profondo senso della morale e della storia. Con un saggio di Italo Calvino. Introduzione di Gabriella Mezzanotte.
Scritto nel 1904, pietra miliare della narrativa del XX secolo, "Il fu Mattia Pascal" narra la vicenda di Mattia, sfaccendato bibliotecario di un ipotetico paesino della Liguria, odiato da moglie e suocera e connotato da un occhio strabico, simbolo inequivocabile di uno sguardo deformante sul reale. La vicenda si svolge tutta sotto il segno del fortuito e dell'imprevisto. Imprevisto è il suo stesso matrimonio, cui finisce obbligato dalla sua eccessiva disponibilità alle occorrenze del caso. Ma sarà ancora il caso (o il diavolo?) a sottrarre Mattia alle infelici conseguenze dei suoi atti fortuiti: un'eccezionale vincita al gioco e un provvido sbaglio di persona (o meglio, di cadavere) lo renderanno improvvisamente ricco e libero. A completare questo bagno nell'irrazionale e nel fantastico, la rinascita di Mattia si snoda lungo una dimensione esoterica che lo porterà a vivere un universo misterico popolato da ombre e forze occulte. Introduzione di Marziano Guglielminetti. Cronologia di Simona Costa. Note e appendici di Laura Nay.
Nel più celebre dramma di Luigi Pirandello, rappresentato per la prima volta nel 1921, sei personaggi si presentano a un Capocomico e raccontano di essere stati inventati da un autore che li ha abbandonati senza risolvere la loro storia nelle forme dell'arte. Creature vive e autonome quali ormai sono, essi soffrono il fatto di dover imprigionare negli schemi generici e convenzionali del linguaggio scenico le proprie vicende, pur avendo nella finzione teatrale l'unica fonte di salvezza. Lo stesso motivo, ricco di pathos, del contrasto tra arte e vita, anima l'"Enrico IV", scritto nel 1921 e rappresentato l'anno seguente: la tragedia del giovane improvvisamente impazzito che crede di essere l'imperatore di Germania ed è costretto a fingersi tale anche dopo aver riacquistato la ragione. Due classici del teatro universale, dall'altissima significazione poetica, caratterizzati da un'ardita tecnica scenica e da un desolato scavo dell'animo umano.
Scritte e rappresentate all'epoca della Seconda guerra punica, queste due commedie sono ancora oggi godibili e divertentissime per la vivace inventiva di situazioni comiche e la capacità di creare un linguaggio di inesauribile fantasia e ricco di giochi di parole di forte carica parodistica. La prima, "Miles gloriosus" ("Il soldato spaccone") vede come protagonista una delle figure chiave del teatro plautino, il soldato fanfarone, millantatore di grandi imprese mai compiute, che si presenta come grande conquistatore di nemici e di donne, salvo essere prontamente smentito dagli avvenimenti della commedia. La seconda, "Aulularia" ("La commedia della pentola") è invece incentrata su un personaggio destinato ad avere enorme fortuna nei secoli, il vecchio avaro, maschera chiave del teatro rinascimentale. Introduzione di Niall W. Slater.
Edito nel 1820, Ivanhoe fu un autentico bestseller ante litteram, destinato a incidere in modo profondo sui gusti e sull'immaginario dell'intero Ottocento: Alexandre Dumas padre, Victor Hugo e Alessandro Manzoni - per citare solo i nomi più celebri - gli sono profondamente debitori. In questo libro avvincente e pittoresco Scott realizza infatti una mirabile fusione tra il realismo del romanzo storico e la fantasia del racconto di avventure. Ambientato a cavallo tra XII e XIII secolo, il libro racconta le vicende del valoroso cavaliere sassone Wilfred di Ivanhoe e della sua amata Rowena. Con le sue foreste popolate da nobili fuorilegge e signori arroganti, sullo sfondo del sanguinoso conflitto tra Sassoni e Normanni, Ivanhoe costituisce ancora oggi una delle rappresentazioni letterariamente più vive dell'Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone, di Giovanni Senzaterra e di Robin Hood. Con un saggio di Mario Praz. Introduzione di Francesco Marroni.
Composta tra il 1600 e il 1602, "Amleto" è forse l'opera più nota di Shakespeare e della storia del teatro intero. La "maschera Amleto", dietro la quale si cela il volto di Shakespeare stesso, percorre l'intero itinerario teatrale del bardo e ha messo a dura prova per secoli l'ingegno dei critici più illustri: Goethe vi ha visto il prototipo dell'eroe romantico, sensibile e tormentato; Eliot un uomo dominato da emozioni inesprimibili; Coleridge un individuo incapace di agire, bloccato da un'eccessiva attività del pensiero e dell'immaginazione, costretto dalla situazione a contravvenire alla propria natura. Certo è che la forza del personaggio - e dell'opera - sta proprio in questo suo essere così ricco di sfumature, sfuggente e complesso, saldamente ancorato nel suo tempo eppure capace di far risuonare le corde più profonde del lettore e dello spettatore di ogni epoca. Con uno scritto di Samuel Taylor Coleridge. Saggio introduttivo di Anna Luisa Zazo.
Ispirato alla novellistica italiana, "Romeo e Giulietta" intreccia numerosi elementi nella vicenda dei due innamorati "nati sotto contraria stella". Dalla "morta viva", che affascinò e ispirò i preromantici e i romantici, al drammatico scontro tra due generazioni - la lotta tra le ragioni dell'odio e le ragioni dell'amore - il dramma si arricchisce di temi la cui complessità va oltre la vicenda d'amore. Tuttavia, è questa a fare di "Romeo e Giulietta", scritto tra 1594 e 1596, l'opera forse più celebre e più amata di Shakespeare. Nel contrasto tra la purezza, l'appassionata consapevolezza dell'amore e l'inesorabile concatenarsi delle circostanze funeste va cercata la grandezza del dramma e la chiave della sua autentica dimensione tragica. Con un saggio di Harold Bloom. Introduzione di Paolo Bertinetti.
Nell'estate del 1816 un gruppo di poeti e letterati, guidati dal già celebre Lord Byron, si trovò isolato per il maltempo in una villa sul lago di Ginevra. Spinto dalla noia e suggestionato dalla lettura di una storia di fantasmi, Byron propose a tutti i suoi amici di comporre ciascuno un racconto che fosse il più terrificante possibile. Nacque così "Frankenstein, o il moderno Prometeo", scritto dalla diciannovenne Mary Wollstonecraft Godwin, che poco più tardi avrebbe sposato Percy Bysshe Shelley. Colpita dall'ipotesi, ventilata dalla scienza di quegli anni, che grazie al galvanismo si potesse ridare la vita ai cadaveri, la giovane creò la storia dello scienziato Victor Frankenstein, che riesce ad animare una mostruosa creatura ma paga il risultato scientifico con la perdita di tutti gli affetti. Una storia angosciante, una favola potente e terribile che fin dal suo primo apparire, nel 1818, si è imposta nella cultura occidentale con la sua forza di mito antico e contemporaneo. Con uno scritto di Muriel Spark.