
Profondo, perfino inquietante, estremamente "vero": "Il Principe" di Machiavelli, scritto nel 1513, è un capolavoro del pensiero e della letteratura, un testo classico da leggere, rileggere, gustare nella sua prosa rapinosa e avvincente. Le rivoluzionarie intuizioni di Machiavelli, rimaste attraverso i secoli di provocante attualità, sono tese soprattutto a mettere in luce l'indipendenza delle categorie dell'utile e del pratico rispetto a quelle etiche e religiose. Su questa indispensabile premessa si basa il ritratto del Principe, individuo virtuoso, creatore assoluto dello Stato inteso come compiuta costruzione "artistica": un uomo nuovo che, con il suo individualistico sforzo creativo, attua la sintesi di virtù e fortuna, un profeta armato capace di realizzare il controllo razionale del progetto e della prassi politica, ponendosi come antitesi alla forza devastatrice del Caso. Introduzione di Vittore Branca. Commento di Tommaso Albarani.
"L'Odissea" è l'opera che più ha influito sulla psicologia e sulla letteratura europee: senza il racconto omerico Cervantes, Defoe, Stevenson, Kafka, Joyce non avrebbero scritto i loro capolavori. È il poema epico al quale l'Occidente ha affidato il senso più profondo della ricerca, del viaggio, della fantasia, del sogno, della lucidità, dell'ironia, della maschera, dell'infinita capacità di metamorfosi: esso riveste una posizione preminente e un'importanza senza eguali nella formazione dell'identità occidentale. Il testo di Omero viene qui presentato nella traduzione di G. Aurelio Privitera, estremamente fedele alla lettera, al tono, alla lentezza e alle improvvise concentrazioni dello stile di Omero. Introduzione di Alfred Heubeck. Indici a cura di Donato Loscalzo.
Socrate, l'intellettuale stravagante che parla nelle strade e nelle piazze dell'Atene del V secolo. Socrate, che ha insegnato all'umanità la religione della ricerca. Socrate, e la sua ossessione per la verità. È lui il protagonista di questi quattro dialoghi platonici disposti in un ordine volutamente narrativo: il "Simposio" ritrae il filosofo nel fervore dell'insegnamento; "l'Apologia" riporta l'autodifesa pronunciata davanti al tribunale che l'avrebbe condannato a morte; il "Critone" lo fa vedere in carcere, mentre rifiuta la possibilità di fuga offertagli da un discepolo influente; il "Fedone" infine è il resoconto sobrio e commovente delle sue ultime ore, con l'indimenticabile lezione sull'immortalità dell'anima. In tutti rifulge la lingua di Platone, di una naturalezza disarmante nel modo in cui, tra domande e risposte, fluiscono le più vertiginose questioni filosofiche: la natura e il senso dell'amore, l'impulso alla verità, l'etica e il dovere, l'anima e la sua immortalità.
Secondo Edgar Allan Poe la forma ideale della letteratura è il racconto breve. E davvero ipnotici, capaci di impossessarsi dell'attenzione e dell'anima di chi li legge, sono i suoi racconti. Questo volume, seguendo l'edizione del 1845 composta dallo stesso Poe, raccoglie i "Racconti del terrore"; narrazioni in cui lo scrittore fa ricorso a tutto il più abusato armamentario gotico (segrete di castelli, case in rovina, cadaveri in putrefazione, tombe e torture...) e sviluppa i vari aspetti della più agghiacciante paura, da quello esteriore e immediato a quello che scaturisce dall'incerto altalenare tra la vita e la morte, fino all'ansia paralizzante della sepoltura da vivi. Arrivando infine a ritrarre la disgregazione della psiche e la più profonda angoscia esistenziale. Con un saggio di David Herbert Lawrence. Introduzione di Sergio Perosa.
"Il De brevitate vitae", uno tra i più famosi dialoghi filosofici di Seneca (composto tra il 49 e il 55), è dedicato a un tema di perenne attualità: la fugacità del tempo e la brevità della vita. Che però, sostiene Seneca, appare tale solo a chi, non sapendone afferrare la vera essenza, si disperde in mille futili occupazioni. Di fronte a questa massa di occupati, "assediati" dalle proprie inutili attività, Seneca propone il modello umano del saggio. Questi sceglie di dedicarsi all'"otium", vivendo in prima persona l'alternativa etica alla violenza della società e trovando nella riflessione filosofica il metodo per ristabilire l'equilibrio morale e recuperare la salute dello spirito. La conoscenza di sé diventa il punto di partenza per dare un significato nuovo al proprio agire nel mondo.
Scritto tra 1605 e 1608, dopo "Otello" e "Re Lear", "Macbeth" mette in scena la vicenda di Macbeth che, già vassallo di re Duncan di Scozia, divorato dall'ambizione e dalla brama di potere dopo che tre streghe gli hanno profetizzato un futuro da sovrano, insieme alla moglie progetta e porta a compimento il regicidio per salire al trono. Definita dagli studiosi, di volta in volta, tragedia dell'assassinio, del male, della dannazione, dell'ambizione, della paura, l'opera è dominata dalle figure di Macbeth e di Lady Macbeth. Grandi nell'infamia, ma non monolitici nella loro crudeltà, i due protagonisti sono preda di contraddizioni e incertezze che conferiscono loro quella grandezza tragica in cui si manifesta la sublime capacità di Shakespeare di indagare l'animo umano. Con un saggio di Yves Bonnefoy. Introduzione di Paolo Bertinetti.
Commedia fantastica, "Sogno di una notte di mezz'estate" fonde con un'immaginazione sovranamente libera mitologia greca, leggende cavalleresche e folclore celtico, in una vicenda fatta di filtri d'amore, suggestioni della filosofia neoplatonica e farsesche rappresentazioni teatrali. Scritto negli ultimi anni del XVI secolo, questo insolito e fiabesco dramma intreccia le vicende delle nozze di Teseo, duca d'Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni, con quelle di due coppie di innamorati che si perdono e si inseguono in un bosco-labirinto popolato di fate e folletti. In quel luogo, in quella notte, il mondo dei mortali entra in contatto con quello degli spiriti e le due dimensioni finiscono per rispecchiarsi l'una nell'altra, confondendosi, in un'esaltazione del potere dell'immaginazione e della teatralità della vita nella quale è impossibile capire cosa sia sogno e cosa realtà. E se non sia il sogno la vera realtà. Con uno scritto di Hugo von Hofmannsthal. Introduzione di Anna Luisa Zazo.
Le tre tragedie "tebane" presentate in questo volume non costituiscono una trilogia vera e propria, ma risalgono a momenti diversi della vita di Sofocle: "Antigone", l'episodio conclusivo, è stata scritta per prima, nel 442; "Edipo Re" è di poco anteriore al 425; mentre "Edipo a Colono" è l'ultima opera, rappresentata postuma nel 401. I casi del re di Tebe - inconsapevole assassino del proprio padre e sposo della propria madre, quindi fratello della propria figlia - e della sua discendenza ammoniscono che nell'agire umano è sempre presente un limite; ma insegnano anche che l'uomo resta in ogni caso protagonista della propria vita. Ed è proprio la dualità della natura umana, tesa da un lato all'estatica visione della divinità e coinvolta dall'altro nelle dolorose piaghe dell'esistenza, a costituire il nucleo di questi tre capolavori del teatro classico.
Il romanzo racconta la tragica passione che una elegante e tormentata dama dell'aristocrazia russa, sposata senza amore a un alto funzionario dell'apparato statale, prova per il fascinoso ma superficiale conte Vrónskij. Attorno a questo nucleo si muovono altre figure e altre vicende, tra cui l'amore soddisfatto di Lévin e di Kitty, felice soluzione al problema morale che inquietava allora Tolstòj. Sullo sfondo di una grandiosa pittura d'ambiente - i salotti aristocratici di Mosca e Pietroburgo, la quieta campagna russa - e di un attento studio psicologico dei caratteri, Tolstòj costruisce quella che a molti lettori, Dostoevskij per primo, è parsa come "l'opera d'arte assolutamente perfetta". Con uno scritto di Vladimir Nabokov. Introduzione, cronologia e bibliografia di Igor Sibaldi.
Le lotte per il potere economico e politico, la rottura dell'ordine sociale per la decadenza della classe nobiliare e per l'ascesa di uomini nuovi sono i motivi dominanti del "Mastro-don Gesualdo", insieme impiegati a delineare la figura del protagonista: eroe epico nella prima metà del libro, tragico nel fatale fallimento psicologico-affettivo e nella malattia fisica nella parte finale. Il romanzo, capolavoro del verismo italiano, nasce nel grande decennio della narrativa verghiana, tra il 1880 e il 1890, con una gestazione lunghissima e tormentata che porta alla revisione finale del 1889, una vera riscrittura del libro. Questa edizione documenta la genesi del "Mastro-don Gesualdo" attraverso una scelta dei testi che lo precedono, e presenta anche ciò che resta della "Duchessa di Leyra", testimonianza dell'estrema crisi espressiva che ridurrà lo scrittore a un silenzio pressoché totale.