
"Le cause della maggior parte delle malattie croniche si nascondono nella nostra vita quotidiana. In tutto il mondo le istituzioni scientifiche e sanitarie sono purtroppo chiamate a rispondere a leggi di mercato che hanno interesse a mantenerci in vita ma non in salute: non possiamo, per ora, contare su di loro per ridurre il rischio di ammalarci. Ci sono d'altra parte sempre più prove scientifiche che indicano come opportune scelte nutrizionali e di esercizio fisico, associate a tecniche di training cognitivo, di respirazione e di meditazione, siano essenziali per rallentare i processi d'invecchiamento, favorire una longevità in salute, prevenire le malattie croniche tipiche della nostra era o facilitarne la guarigione. Traendo spunto dal Codice europeo contro il cancro e da recenti studi sperimentali, in questo libro illustreremo come alcune conoscenze empiriche di molte tradizioni culturali e le attuali conoscenze scientifiche stanno convergendo nel dimostrare che la chiave per mantenere e riacquistare la salute è la combinazione di pratiche per nutrire il corpo con la giusta quantità di cibo sano, mantenerlo in forma con un esercizio fisico regolare e adottare tecniche per coltivare la mente, lo spirito e la felicità interiore. Abbiamo scritto in base alla nostra esperienza scientifica e clinica, con gratitudine e rispetto per le migliaia di persone che hanno partecipato ai nostri studi scientifici e per i pazienti che ci hanno affidato la loro speranza di guarigione. Ci auguriamo che il nostro libro contribuisca a proteggere i lettori da informazioni distorte e interessate e dai venditori di magici piani nutrizionali o integratori miracolosi. Il nostro metodo è semplicemente di proporre quello che l'antica saggezza dei popoli ha tramandato e che la ricerca scientifica ha confermato." (Franco Berrino e Luigi Fontana)
Stavano così bene insieme, cosa è successo alla loro vita? Cosa è successo ai due chiusi in una camera d'albergo con il cartello "non disturbare" sulla porta? Dove sono finite la passione, la complicità? Il romanzo è un'immersione nella vita quotidiana di una coppia, nell'evoluzione di un amore. Racconta la crisi che si scatena alla nascita di un figlio e, ancora di più, racconta di quando qualcosa rompe l'incantesimo tra due innamorati. E suggerisce, lascia intravedere una risposta, una via d'uscita. È come se i protagonisti dei suoi romanzi più amati, "Il giorno in più" o "Il tempo che vorrei", si ritrovassero ad affrontare quello che viene dopo l'innamoramento, la responsabilità e la complessità dello stare insieme per davvero. Volo sorprende per la capacità di fotografare e dare un nome ai sentimenti, perfino quelli meno nobili e non per questo meno comuni. Si tratta di un romanzo diretto, sincero, spudorato. Leggendolo capita di ridere e commuoversi, come quando qualcosa ci riguarda da vicino.
Ama veramente chi è capace di non amare troppo. Questo ci insegna la filosofia: pur sapendo bene che l'amore «è sopra ogni cosa» ed è persino alle radici della filosofia stessa. Grazie all'Eros povero e scalzo impersonato dal più grande e atipico dei maestri, Socrate, la filosofia ci insegna ad amare, ma non troppo. Ovvero, ci invita ad amare, e in definitiva a vivere, facendo un buon uso delle nostre passioni e dei nostri piaceri senza lasciarci trascinare dagli eccessi dell'innamoramento, una delle poche follie che godono di un'ampia legittimazione sociale. Per far questo, e per vivere bene, abbiamo bisogno di un'etica che dell'amore ci faccia evitare i fanatismi e i picchi totalizzanti di entusiasmo. L'amore, ha scritto Ovidio, è come andare «per la prima volta soldato in una terra sconosciuta», ma a ben vedere ciò è vero per tutta la nostra vita morale e per i dilemmi che quotidianamente ci pone il nostro rapporto con gli altri che, proprio come l'amore, diceva Sartre, può trasformarsi in un inferno. Armando Massarenti, attingendo alla sapienza classica e moderna - da Platone a Ovidio, da Wittgenstein a Iris Murdoch - ma anche a spunti provenienti dalle neuroscienze, coniuga filosofia, logica ed epistemologia al fine di proporre al lettore una bussola per orientarsi in quella terra sconosciuta. Una filosofia pratica in grado di regalarci un bene prezioso: la possibilità concreta di stare bene con gli altri.
Iniziato con ogni probabilità nel 1306-07, l'Inferno è la prima delle tre cantiche che compongono la Commedia dantesca. In questi trentaquattro canti il poeta racconta l'inizio del suo viaggio ultraterreno, a partire dallo smarrimento nella "selva oscura", dove incontra il poeta latino Virgilio che sarà sua guida, giù giù per i diversi gironi, fino all'orrenda visione di Lucifero e quindi alla faticosa risalita "a riveder le stelle". Un itinerario nell'animo umano lungo il quale Dante incontra decine di indimenticabili personaggi, alle cui tristi vicende egli sa guardare con fermo giudizio ma anche con una suprema pietas che è forse il maggior segno del suo profondo atteggiamento di estrema modernità.
Un mistero - o un paradosso - avvolge l'India contemporanea: il paese vanta un indiscusso primato per l'eccellente preparazione dei suoi tecnici e professionisti, i suoi «primi della classe» altamente competitivi sul mercato del lavoro occidentale, eppure il suo sistema scolastico esclude o trascura la gran parte di coloro che dovrebbe educare e che, non a caso, appartengono alle categorie sociali più svantaggiate, i poveri e le donne. Perché l'iniquità e la disuguaglianza non riguardano solo la scuola, ma tanti, troppi ambiti della vita sociale indiana, dall'assistenza sanitaria alla previdenza sociale, fino alle svariate e clamorose forme di discriminazione castale, tuttora ampiamente vigenti. Nei brevi saggi raccolti in queste pagine, Amartya Sen fissa alcune priorità nella serie di problemi che ostacolano il pieno sviluppo economico e democratico del suo paese e delinea condizioni e modi per farvi fronte: le questioni della giustizia sociale, della povertà, delle disuguaglianze, della parità tra i sessi, dell'istruzione, dei diritti d'espressione e del ruolo dei media sono, fra le tante, al centro della sua riflessione appassionata e partecipe, illuminata da una vasta competenza e sempre ispirata a principi di equilibrio e di apertura antidogmatica alla molteplicità delle prospettive. Ma non è solo all'India - ai preziosi contributi che la sua civiltà millenaria ha dato all'umanità nel passato e al suo presente difficile ma anche ricco di iniziative e di grandi potenzialità - che Sen dedica le sue attenzioni, poiché anche il mondo globale contemporaneo è afflitto, e su scala molto più larga, dalle medesime piaghe: ingiustizia, fame, dispotismo, guerra, esclusione, sfruttamento. Nell'invocare la piena realizzazione dei diritti di tutti nella prima e più grande democrazia dell'Asia, Sen ci mostra che «ciò che dovrebbe toglierci il sonno» non riguarda solo l'India, ma anche tutte le altre zone del pianeta, dove applicare un'idea concreta di giustizia, ovvero centrata sulla realizzazione più che sui princìpi o sulle istituzioni ideali, equivarrà sempre a promuovere la vita umana e a migliorare il mondo in cui viviamo. Una lezione che ci viene da uno dei maestri del pensiero contemporaneo e che è doveroso ascoltare.
"Quando, dopo la sua morte, ho letto il diario che aveva custodito nel segreto per tutta la vita, mi è parso di avere una percezione più chiara del tormento che ha dilaniato per decenni mio padre fascista, prigioniero a Coltano dopo aver combattuto, ventenne o poco più, dalla parte dei 'ragazzi di Salò'. Ho capito che cosa abbia rappresentato per lui il dolore di essere stato internato in quel campo per i vinti della Rsi vicino alla 'gabbia del gorilla' in cui era rinchiuso Ezra Pound. Ho capito quanto abbia sanguinato il suo cuore di sconfitto, di 'esule in Patria' nell'Italia in cui era un borghese integrato, maniacalmente attaccato alla civiltà delle buone maniere, ma covando il sentimento di un'apocalisse interiore da cui non si sarebbe mai affrancato. Ho capito quanto sia stata aspra e dolorosa la mia rottura con lui e quanto mi pesi, ancora oggi, il fardello di una riconciliazione mancata. Allora ho pensato che fosse giunto il momento di raccontare, con i miei occhi e il mio modo di sentire le cose della vita, chi fosse mio padre fascista e cosa pensasse nell'Italia che non credeva più nei miti in cui lui era cresciuto. Che rapporto ricco e difficile avesse instaurato con i suoi figli. Che cosa abbia significato per me essere figlio di un fascista, e vergognarsi di avere provato vergogna per i padri che abbiamo tradito andandocene da un'altra parte, e che invece hanno vissuto con dignità, coraggio e coerenza la loro solitudine."
Ivano è un uomo come tanti. Per tutta la vita ha cercato di costruire la sua felicità e ha sempre creduto di esserci riuscito. Il lavoro di ingegnere, una bella famiglia: un piccolo capolavoro di stabilità, proprio come le dighe che ha progettato in ogni parte del mondo. Finché Sofia, sua moglie, viene a mancare e lui si trova improvvisamente libero e solo, incapace di capire se esista ancora un Ivano senza Sofia. Decide allora di partire per Santo Domingo, dove il fratello si è ritirato dopo anni di lavoro nella finanza. Lì incontra Liliana, una donna spontanea e fragile come una bambina, e se ne sente attratto. Sull'isola, però, Ivano intuisce che qualcosa non va: il fratello, con il quale ha sempre avuto un rapporto di grande complicità, si comporta in modo strano, sembra un altro. Riconsiderandoli a distanza, molti fatti e persone della sua vita gli appaiono diversi da quello che ha sempre creduto. Prima tra tutti sua moglie, un enigma affascinante e indisponente, nonostante quarant'anni di vita insieme. E poi la figlia Anna, rimasta a Milano: reticente, ostile, asserragliata in una vita che il padre non ha mai compreso. Quello che Ivano scoprirà riguardo al passato finirà per rompere gli argini in cui la sua esistenza è sempre scorsa tranquilla. Eppure, quando tutto è sul punto di crollare, si prospetta una seconda occasione, la possibilità di un nuovo inizio. Con una lingua duttile, devota all'incanto semplice e maestoso della realtà, una scrittura mobile in cui ci si immerge come nell'acqua - limpida, avvolgente, misteriosa -, Gaia Manzini racconta le illusioni intorno alle quali creiamo la nostra felicità e dà voce a una generazione che negli anni del Boom si è costruita un'idea luminosa di futuro a costo di rifiutare le proprie radici, lasciando dei conti in sospeso. Ma Ultima la luce è anche la storia di un tempo di mezzo, dell'attesa di un nuovo ordine delle cose: una famiglia si è disgregata, una nuova famiglia sta per nascere. Il passato è alle spalle, davanti c'è solo la luce.
Novant'anni fa, il 1° febbraio 1927, s'insediava a Roma, nell'Aula IV del Palazzo di Giustizia, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, un organo composto da magistrati e giudici in camicia nera reclutati tra gli squadristi. Mussolini, dopo il discorso del 3 gennaio 1925 e l'introduzione delle «leggi fascistissime» - che avevano soppresso la libertà di stampa, di associazione e il diritto allo sciopero -, mostrava il suo vero volto, quello di un dittatore disposto ormai a tutto. Per i nemici del regime, ma anche per i semplici cittadini che osavano criticarlo, non c'era più spazio per il dissenso. Anzi, non c'era più spazio per la libertà. Agli imputati, condotti di fronte alla corte e rinchiusi in un gabbione, non rimaneva che attendere il verdetto: d'altra parte, come potevano difendersi se l'istruttoria era segreta? Fino al luglio 1943 la magistratura, sottoposta agli ordini del duce, processerà migliaia di oppositori politici (tra loro, Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Altiero Spinelli, Sandro Pertini, solo per citarne alcuni) e persone comuni, accusate di spionaggio, contrabbando valutario, mercato nero... Le condanne a morte, mediante fucilazione alla schiena, saranno un'ottantina. Eppure, la storia del Tribunale speciale dello Stato è rimasta sostanzialmente sconosciuta. Poco studiata. Persino l'imponente biografia mussoliniana di Renzo De Felice, punto di riferimento irrinunciabile per chiunque si occupi del Ventennio, gli dedica meno di due pagine. Il libro di Mimmo Franzinelli, basato su fonti d'archivio sinora inesplorate, riempie questo «vuoto», e lo fa documentando attività e funzioni del Tribunale, svelando l'intreccio tra persecutori e perseguitati, raccontando i segreti, assai poco commendevoli, della magistratura di regime: gli scandali su cui fu imposto il silenzio, le ruberie dei giudici, la corruzione degli avvocati, le sentenze palesemente truccate, la terribile situazione in cui vennero a trovarsi le donne, vittime di una giustizia ferocemente maschilista (il solo essere figlia, sorella o moglie di un sovversivo comportava l'arresto, senza riscontri oggettivi di reato). Ma Franzinelli dedica pagine efficaci, ricche di dettagli e informazioni, anche ad altri aspetti, non meno inquietanti, dell'intera vicenda, come il potenziamento del Tribunale speciale durante la seconda guerra mondiale e, soprattutto, il colpo di spugna che dopo il 1945 «perdonerà» quasi tutti i responsabili. In nome della continuità dello Stato, si doveva archiviare (e dimenticare) un passato troppo scomodo.
Il terrorismo, vale a dire l'uso indiscriminato della violenza contro civili, è una tattica adottata spesso nel corso della storia da gruppi armati decisi a sfidare un nemico più forte per raggiungere obiettivi politici o militari, ma anche da governi dittatoriali per garantirsi l'assoluta sottomissione dei propri cittadini. Ma l'attuale moltiplicarsi di attacchi e attentati terroristici di matrice islamista sempre più efferati e cruenti ha creato in Occidente un diffuso clima di insicurezza e di paura, esacerbato dalla sensazione di essere in balìa di un avversario invisibile e incontrollabile. Come si può scongiurare una simile minaccia al tempo stesso incombente e sconosciuta? Benedetta Berti, analista di politica internazionale, tenta di rispondere a tale interrogativo esaminando la genesi e le attività dei numerosi gruppi jihadisti che quasi ogni giorno sono alla ribalta della cronaca, a partire da quello più noto e più potente, autoproclamatosi Stato Islamico di Iraq e Siria: l'isis. Dallo studio delle sue radici e rivendicazioni, del contesto in cui sono nati e si sono affermati, dei modi in cui si finanziano e fanno proseliti emerge uno scenario molto lontano dallo stereotipo del terrorista islamico clandestino, armato di kalashnikov e nascosto in una grotta. Come le multinazionali sul mercato globale, molti gruppi armati hanno sviluppato complessi modelli di business per arricchirsi; come i partiti politici moderni, hanno capito l'importanza del consenso; come le agenzie pubblicitarie di successo, hanno ideato campagne di marketing basate su un'ottima conoscenza della Rete. Fino ad assumere i compiti e le funzioni di un vero e proprio Stato: dalla gestione dell'«ordine pubblico» alla raccolta dei rifiuti, alla costruzione di scuole e strutture sanitarie. In un quadro così complesso, le armi non sono l'unico, né forse il più efficace strumento per sconfiggere il terrorismo. È invece necessario, secondo Benedetta Berti, prosciugare le fonti che lo alimentano e, in particolare, rimuovere la causa prima di ogni forma di ribellione e insurrezione, in Medio Oriente come altrove: l'esistenza di Stati inefficienti e corrotti, dove la forbice della diseguaglianza sociale è eccessivamente ampia e il dissenso viene soffocato con il carcere e la tortura.
«Forse si invecchia veramente solo quando non ci si stupisce più, quando si dà tutto per scontato e la vita sembra non riservare più sorprese. Ma si può essere vecchi e mantenere il gusto della conoscenza e sapersi ancora meravigliare degli insoliti colori di un tramonto, di un fiore che si schiude o di una bambina che ti sorride con aria divertita.» Il nuovo libro di Massimo Ammaniti è una riflessione sulla terza e quarta età, e più in generale sulla vecchiaia, stimolata anche dalle testimonianze di ottantenni e novantenni protagonisti della vita culturale e politica del nostro paese (come Andrea Camilleri, Raffaele La Capria, Aldo Masullo, Mario Pirani, Alfredo Reichlin, Luciana Castellina, Angela Levi Bianchini) che ora raccontano di come e quanto è cambiato il loro modo di vivere i sentimenti e le esperienze propri della vita di ogni essere umano: la famiglia, l'amore, l'amicizia, il senso del tempo, i sogni, il desiderio, i ricordi, i lutti. Ammaniti ci mostra che non lasciarsi sopraffare dalla rabbia e dal rancore, non ripiegarsi su se stessi, ma continuare a coltivare affetti, interessi e passioni, a rimanere agganciati al presente e a fare progetti per il futuro, magari condividendo in modo partecipe quelli di figli e nipoti, è il segreto per far sì che la vecchiaia non corrisponda al tetro stereotipo di periodo di inquietudine e sconforto, di abulia e rassegnazione, insomma di vuota attesa della morte. Come l'anziano professor Borg, l'indimenticabile protagonista del film "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman, anche le persone intervistate rivisitano la storia della propria vita per rintracciare il filo rosso che l'ha attraversata e, con esso, la direzione e il significato del percorso compiuto. Così la dimensione anagrafica ed esistenziale della vecchiaia ritrova la sua verità, quella di una stagione indubbiamente difficile, irta di insidie fisiche e psicologiche, di paure e di perdite, ma che, se affrontata accettando la propria condizione senza risentimento né eccessivi rimpianti, e con la lucidità dovuta a una maggiore consapevolezza di sé e a un minor coinvolgimento emotivo nelle vicende del mondo, può rivelarsi una fase di straordinario arricchimento interiore e affettivo. Come quando il giorno concede al tramonto la sua luce più intensa e più vera.