
Costellata da rotture radicali con la tradizione, la storia della musica coincide con le esistenze spesso tumultuose di personalità che hanno rivoluzionato il nostro modo di «ascoltare il mondo», dandogli una forma e un senso sempre diversi. In un itinerario affascinante nelle segrete «stanze della musica», con divagazioni storiche, letterarie e poetiche, l'autore fa rivivere la Venezia di Monteverdi, la Lipsia di Bach, la Parigi di Gabriel Fauré e la New York di Igor Stravinskij, le atmosfere della Mitteleuropa di Haydn e della Russia del primo Rachmaninov, in un appassionante viaggio tra amori folli e imprese ardite, debiti verso maestri e cruenti parricidi. Emergono personalità come Ravel, noto per il Bolero ma la cui prima opera accompagnò i funerali di Proust; Mahler, capace di tradurre nelle sue sinfonie «il ricordo felice di una giornata di sole»; Rossini che, pressato dai committenti, ripropose più volte brani già presentati, tra cui la sinfonia del Barbiere. Con stile narrativo, l'autore traccia i profili di protagonisti e figure secondarie, e fornisce una mappa delle svolte epocali, spaziando dal teatro mozartiano alle invenzioni foniche di Berlioz, fino all'avvento della musica contemporanea con Varèse e Schönberg, John Cage e Frank Zappa.
La periferia romana dove sorge la scuola che è al centro di questo romanzo è la Rebibbia raccontata da Zerocalcare. Nel liceo si parla romano, e le aule sono abitate da strani esseri viventi: alcuni disegnati sui muri, alcuni umani ma dalle cui bocche escono suoni incomprensibili alla professoressa, che non ha mai pensato di avere la vocazione all'insegnamento e invece ce l'ha, solo che non è una vocazione, è un mestiere. La professoressa, infatti, non ama la vocazione, ama l'inglese. La professoressa è un'intellettuale. La professoressa ha studiato in Italia e all'estero. La professoressa cammina, cammina, cammina perché Roma è grande e perché camminando pensa. Gli studenti e le studentesse, invece, non camminano, vanno in motorino o in macchina, e non studiano. Gli studenti e le studentesse - e tutti lo siamo stati - sanno valutare, pesare le persone che siedono dietro la cattedra e, nonostante non abbiano voglia di aprire i libri, sentono, piano piano, il desiderio di capire la professoressa, e di esserne capiti. Danilo Dolci ha scritto che si cresce solo se sognati, e l'autrice di questo romanzo chiosa che si può crescere anche se sei l'incubo di qualcuno. Tra i professori di Frank McCourt e Domenico Starnone, passando per gli studenti in piedi sul banco nell'Attimo fuggente, sta la professoressa di Gaja Cenciarelli, convinta sì che la cultura sia qualcosa di quotidiano, convinta sì che certe parole dialettali o certe squadre di calcio, certe sigarette fumate insieme agli studenti prima che la lezione cominci facciano parte del lavoro di chi insegna e di quello di chi impara, ma disillusa che l'istruzione possa - come si sente dire spesso - salvare il mondo. Ciò nonostante, in questo romanzo di Shakespeare e spaccio, la professoressa il mondo lo salva. Perché il mondo è le persone che incontriamo. Specialmente a scuola.
«Non ho mai guardato agli eventi dal punto di vista dei governi, sempre con gli occhi dei più umili, di chi ne paga il prezzo in prima persona.» Davanti alle tragedie collettive degli ultimi mesi Michele Santoro sente il bisogno di lanciare un grido d'allarme contro l'orrore che ci lascia ormai indifferenti. In questa sconvolgente e appassionata denuncia non fa sconti e sottopone a una feroce critica tutte le grandi contraddizioni che ci hanno condotto sull'orlo del baratro: una democrazia bloccata da una politica inconcludente e impreparata, che non vede alternative se non affidarsi a tecnici e cavalieri salvifici; la parabola del populismo che ha mostrato tutti i suoi limiti nella disfatta del Movimento 5 Stelle, che pure era emerso come forza dirompente in grado di smuovere le acque di una politica insensibile ai problemi dei cittadini; un'informazione ormai megafono della propaganda, da cui è bandito non solo il dissenso ma qualsiasi interrogativo, e che si riduce a inseguire e ingigantire questioni pretestuose, senza incidere sulle sorti del paese. Un j'accuse che chiama in causa tutti, per ridare un senso alla parola «democrazia» ripartendo dalle domande giuste.
Nell'estate del 2003, mentre gli americani stanno invadendo l'Iraq, a Stoccolma un arbitro di calcio di origini afgane viene picchiato a morte. Dell'omicidio è accusato Giuseppe Costa, uomo dal temperamento focoso, nonché padre di uno dei giocatori della squadra. Ma, al solito, non c'è nulla di definitivo. Di fronte alle insistenze di Costa, che continua a dichiararsi innocente, il capo della polizia decide di chiedere aiuto a Hans Rekke, professore di psicologia ed esperto mondiale di tecniche di interrogatorio, noto per aver trovato in passato la soluzione di enigmi apparentemente indecifrabili. Rekke fa parte dell'alta società di Stoccolma, è sofisticato, colto, grande esperto di logica e musica, ma è anche dipendente dai farmaci, ed è un uomo fragile. Dopo un avvio non particolarmente fruttuoso, si ritrova a collaborare gomito a gomito con Micaela Vargas, giovane poliziotta di origine straniera, cresciuta nei bassifondi della capitale e tirata dentro all'indagine quasi per caso. Una coppia decisamente originale, che decide di andare a fondo di un caso che li trascina nella caccia della Cia ai terroristi e nella guerra dei talebani contro la musica. Chi era davvero l'arbitro ucciso? E ragionevole considerarlo una vittima? La ricerca della verità costringerà Rekke e Vargas a cambiare continuamente prospettiva, in un crescendo di suspense e colpi di scena.
A distanza di tre decenni fatichiamo ancora a inquadrare Mani pulite e in che misura abbia creato l'incerto presente politico che viviamo. Se è vero che, come scrive Filippo Facci, «non aveva mai attecchito un vero senso dello Stato, e tantomeno una disposizione a scandalizzarsi per condotte poco etiche», da che cosa ebbe origine il clamore intorno a un'indagine che, in apparenza partita da un comune caso di corruzione, ha cambiato per sempre l'immaginario della nazione? All'epoca giovane cronista, l'autore ha seguito le tracce e le crepe prodotte da quel terremoto, scavando nelle versioni improbabili - la favola del magistrato onesto che smaschera i corrotti, l'epurazione delle mele marce - e in altre non meno improbabili e complottiste legate a scenari internazionali. Da quel lavoro emergono oggi risvolti inaspettati che si ricollegano a eventi e fenomeni vicini e lontani, tra cui il maxiprocesso di Palermo, che avrebbe dovuto essere salutato come la vera svolta e invece venne attaccato da più parti, e il bombardamento mediatico, con giornali e talk show impegnati a tenere vivo il clima emergenziale, spianando la strada all'antipolitica. Tra protagonisti e comprimari, reazioni a caldo e insospettabili derive, rimuovendo ogni patina di ipocrisia, Facci restituisce un impietoso ritratto del paese che siamo stati e che forse siamo ancora, spingendo a domandarci: è giunto il momento di ammettere, con il procuratore capo Borrelli, che «non valeva la pena buttare all'aria il mondo precedente per cascare in quello attuale»?
«Ma in che mondo viviamo? Abbiamo perso il senso del presente e non riusciamo più ad avere una visione generale della realtà. È come se fossimo sotto una cappa. Ne avverti il peso, anche se non ha fattezze e non ha confini, è ineffabile e avvolgente. La Cappa occulta la bellezza, la grandezza, il simbolo, il mito, il sacro, il mondo reale». Proseguendo nella sua indagine sulle radici del nostro vivere, Marcello Veneziani si interroga sulla scomparsa della realtà, della tradizione, della natura. Ci invita a prendere coscienza di un'adesione automatica al canone dominante, tra divieti, obblighi e cancellazioni veicolati da media e poteri. «Tutto perde contorno, consistenza, memoria e visione», scrive l'autore. «I sessi sconfinano e mutano, le differenze scolorano e si uniformano, la natura è abolita, la realtà è revocata; la nuova inquisizione censura e corregge, il regime di sorveglianza globale traccia e controlla la vita tramite l'emergenza e la priorità assoluta della salute, domina il vivere a ogni costo. Ma anche il passato sparisce, tramonta ogni civiltà; svaniscono i luoghi, compresi quelli di lavoro, in una società delocalizzata, senza territorio. La schiavitù prosegue a domicilio, con l'home working. Perdendo il mondo ripieghi su te stesso, in un selfie permanente; la Cappa favorisce il narcisismo solitario e patologico di massa». Un excursus ragionato tra le follie odierne e i tabù vigenti, un serrato esercizio di critica per vivere il presente e non subirlo. Con il proposito finale di tentare un nuovo assalto al cielo per liberarlo dalla Cappa.
Ci sembra di sapere tutto della storia di Circe, la maga raccontata da Omero, che ama Odisseo e trasforma i suoi compagni in maiali. Eppure esistono un prima e un dopo nella vita di questa figura, che ne fanno uno dei personaggi femminili più fascinosi e complessi della tradizione classica. Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide, ma è tanto diversa dai genitori e dai fratelli divini: ha un aspetto fosco, un carattere difficile, un temperamento indipendente; è perfino sensibile al dolore del mondo e preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Quando, a causa di queste sue eccentricità, finisce esiliata sull'isola di Eea, non si perde d'animo, studia le virtù delle piante, impara a addomesticare le bestie selvatiche, affina le arti magiche. Ma Circe è soprattutto una donna di passioni: amore, amicizia, rivalità, paura, rabbia, nostalgia accompagnano gli incontri che le riserva il destino - con l'ingegnoso Dedalo, con il mostruoso Minotauro, con la feroce Scilla, con la tragica Medea, con l'astuto Odisseo, naturalmente, e infine con la misteriosa Penelope. Finché - non più solo maga, ma anche amante e madre - dovrà armarsi contro le ostilità dell'Olimpo e scegliere, una volta per tutte, se appartenere al mondo degli dèi, dov'è nata, o a quello dei mortali, che ha imparato ad amare. Poggiando su una solida conoscenza delle fonti e su una profonda comprensione dello spirito greco, Madeline Miller fa rivivere una delle figure più conturbanti del mito e ci regala uno sguardo originale sulle grandi storie dell'antichità.
Fino agli anni ottanta del secolo scorso, il ruolo del presidente della Repubblica era perlopiù simbolico. Quando il modello della democrazia rappresentativa entra in crisi, con la fine della Prima Repubblica e il tramonto dei partiti che ne hanno animato la scena, per rispondere al vuoto istituzionale, l'azione della più alta carica dello Stato cambia decisamente passo. Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella si sono sentiti costretti ad allargare le prerogative loro assegnate dalla Carta costituzionale, imponendosi di restare il più possibile arbitri neutrali, ma ritrovandosi spesso a vestire i panni di «soggetti governanti» e usando, magari con iniziale riluttanza, poteri di direzione politica molto intensi. Spesso soli e sotto assedio diventano di fatto dei «capi senza Stato». Tutti e cinque hanno provato - ciascuno secondo il proprio stile, formazione, identità culturale e temperamento - almeno a ridurre il danno che cresceva in un parallelo conflitto, alimentato dagli intrighi, dalle ipocrisie e dalle resistenze di un vecchio mondo che arretrava e dai fermenti populisti di nuovi soggetti politici che si facevano largo, anticipando una svolta profonda nella società. Da una patologia all'altra, è nata così una Seconda Repubblica sfociata poi in un ibrido che - nell'ipotesi di una futuribile vasta riforma costituzionale - potrà forse domani diventare una Terza Repubblica.
«Mi definisco “amministratore” perché tale mi sento. Non mi sono mai nascosto: ho avuto anch’io paura, soprattutto nei primi giorni della pandemia; l’ho condivisa con tutti i cittadini e abbiamo capito insieme, strada facendo, che le “istruzioni per l’uso” non le conoscevamo semplicemente perché non c’erano». Il ragazzo della Marca trevigiana diventato ministro delle Politiche agricole a soli quarant’anni è cresciuto. È l’uomo riconfermato alla guida della Regione Veneto per il terzo mandato consecutivo. Riflettere sulle scelte compiute nelle drammatiche ore dell’emergenza Covid-19 gli ha fornito lo slancio per ripercorrere le tappe fondamentali in cui si sono formati e consolidati valori e principi della sua attività istituzionale. Luca Zaia si confronta con le sue umili origini, in una famiglia segnata dall’esperienza dell’emigrazione e del duro lavoro, racconta gli anni degli studi e la scoperta della vocazione al servizio delle istituzioni come riscatto per la sua gente, dall’incontro con la Liga al legame con il territorio, dai successi delle Colline del Prosecco patrimonio Unesco al confronto serrato con le catastrofi climatiche, fino alla gestione di un sistema sanitario d’eccellenza, che ha dato il massimo davanti alle sfide della pandemia ed è stato indicato in ambito internazionale come un esempio da imitare. Infine, ritornando sulle lezioni apprese e sul ruolo trainante del Veneto come laboratorio di buone pratiche e innovazioni, fa il punto sui più importanti cambiamenti in atto, dalla semplificazione amministrativa alla collaborazione tra sindaci e governatori, fino alla madre di tutte le riforme, quell’autonomia che è la chiave per la transizione verso un federalismo regionale e che appare ancora più urgente oggi, per ridare speranza alla comunità e non sprecare una preziosa occasione di rinascita.
Dopo la felice soluzione del caso del bambino scomparso, il commissario Buonvino si gode la quiete ritrovata del parco di Villa Borghese e le gioie dell'amore. Ma è una tregua di breve durata: un cadavere abbandonato nel rettilario del Bioparco, il giardino zoologico della capitale, rappresenta una brutta gatta da pelare per il nostro eroe, che si dà il caso sia erpetofobico e provi un terrore atavico per qualsiasi tipo di rettile. Come ci è finito il corpo di un uomo nudo dentro la teca dell'anaconda? E com'è finita nella pancia del gigantesco serpente la testa di quella persona? Sono solo alcuni degli interrogativi senza risposta tra i quali il commissario e i suoi impavidi quanto scombinati agenti si barcamenano nel tentativo di risolvere quello che appare un vero e proprio rompicapo. Quasi ci trovassimo nel più intricato dei gialli di Agatha Christie, Buonvino dovrà dar fondo a tutto il suo acume e alle sue capacità deduttive per sbrogliare i fili di una complessa indagine in cui gli indizi scarseggiano e i sospettati abbondano, smascherando infine il colpevole.