
L'Occidente ha sempre coltivato e trasmesso un'immagine di se stesso come terra della libertà. Si tratta di un'autorappresentazione potente e ancora oggi attuale, profondamente radicata nella nostra cultura a partire dalla Grecia antica: basti pensare all'orazione funebre pronunciata da Pericle per i morti del Peloponneso e riportata da Tucidide nelle sue Storie. Attraverso la lettura di alcuni dei testi più significativi sulla libertà prodotti dal pensiero politico occidentale, dallo stesso Tucidide fino alla teoria della giustizia di John Rawls, questo volume propone un percorso che tocca tutte le declinazioni assunte dalla tematica della libertà e del mondo "libero".
Perché gli alpini sono diventati un mito così popolare nell'immaginario degli italiani, passando indenni attraverso due guerre mondiali, la dittatura, la guerra civile, la guerra fredda, mentre il resto della forze armate perdeva molto del proprio prestigio e della propria capacità di attirare consenso? Le origini di questa straordinaria fortuna, unica in Europa, deve forse essere ricercata in una complessa interazione tra testi letterari di successo, capaci di riutilizzare il preesistente mito delle Alpi di origine romantica, e una potente rete associativa, l'Associazione Nazionale Alpini, capace di farsi promotrice del mito, collettore di consenso, e di mobilitare negli ultimi cinquant'anni decine di migliaia di persone in grandi feste pubbliche e patriottiche.
I testi raccolti in questo volume, a firma di tre grandi nomi dell'economia italiana, sono un contributo di valore alla riflessione, sempre attuale, sul riformismo e il socialismo liberale, punto di partenza obbligato per riproporre e sviluppare il pensiero di Paolo Sylos Labini nel campo politico e civile. Si tratta di tre relazioni pronunciate in occasione del primo convegno indetto dall'Associazione Paolo Sylos Labini, fondata nel 2006 a un anno dalla scomparsa del grande economista. Il primo saggio, di Massimo Salvadori, fornisce il quadro di base ripercorrendo la storia del socialismo liberale da Carlo Rosselli fino a Norberto Bobbio e illustrando in questo modo le caratteristiche centrali di questa concezione politica. Il secondo, di Alessandro Roncaglia, ripercorre il pensiero politico di Paolo Sylos Labini, nel collegamento con il suo pensiero economico, il suo rigore etico e la sua passione civile. Il terzo scritto, di Pietro Rossi, affronta un aspetto particolare ma vitale del pensiero socialista e liberale, la laicità, oggetto di tanti attacchi nel nostro Paese e spesso trascurata nella sua importanza dalle stesse forze politiche progressiste.
Il tramonto delle ideologie ha determinato la solitudine dell'agire politico. Si è quasi in obbligo di dichiararsi non-ideologici, anti-ideologici, post-ideologici. Cosi la politica, smarrita nella quotidianità e povera di orizzonte culturale, si trova stretta fra economia e fedi religiose, fra tecno-crazia e clero-crazia: le due potenze che in Italia riempiono il deserto lasciato dalle ideologie. Ecco la tenaglia, che la preme e serra con inaudita energia. "c'è modo di rompere la morsa e di restituire dignità di pensiero alla vita politica?"
"C'è in noi un potenziale di vitalità che, a forza di frustrazione, passa sul piano dell'atto aggressivo." In pochi giorni, in maggio, nasce un grande movimento rivoluzionario. Rivoluzionario perché contesta i fondamenti, i postulati primi della nostra società. E tutta una civiltà cui si ingiunge di spiegarsi. Dalle commissioni di lavoro, dai comitati di base, dalle assemblee generali nascono nuove forme di intervento e un linguaggio politico originale: la volontà di affrontare di petto i problemi essenziali, di procedere a una revisione totale, senza debolezza, senza cedimenti di fronte all'inerzia e all'abitudine. Istigato anche dalla repressione, il movimento trova la sua unità nella contestazione. Contestazione dell'università oppressiva per i suoi metodi, arcaica nelle sue strutture, inadatta nel suo contenuto. Contestazione di una società insipida nelle sue ambizioni, inumana nei suoi rapporti, alienante nella sua organizzazione.
Tra il 1967 e il 1968, la crisi dell'università, in cui si rispecchiano crisi ben più vaste e laceranti, è esplosa quasi in tutto il mondo. Con caratteristiche e metodi di lotta svariati da paese a paese, ma su di un unico fronte rivendicativo globale e intransigente. Quello dato dall'insofferenza totale, dalla negazione, dalla opposizione decisa e assai spesso violenta, ispirata da un giacobinismo che non ammette compromessi, verso una struttura didattica e pedagogica ove si riflettono le strutture stesse di una società in cui i giovani non sono disposti a lasciarsi integrare. In Italia non c'è università che non abbia avuto la sua occupazione. Questo libro raccoglie i documenti più significativi che siano stati elaborati dagli studenti nel corso di questa fase della lotta: le analisi del sistema sociale nel suo insieme e nelle sue implicazioni accademiche, le proposte di riforma - viste però in funzione transitoria sulla via del mutamento radicale del sistema - e le elaborazioni tattiche concernenti la lotta. Tutto il materiale viene pubblicato così come è stato elaborato e ordinato dagli stessi protagonisti del movimento.
"Guardati dai capi, dagli eroi, dagli organizzatori, da tutta questa roba. Guardati dai tipi del sistema: non hanno alcuna capacità di capire. Sappiamo che il sistema non funziona, poiché viviamo in mezzo alle sue rovine. Sappiamo che i nostri capi sono dei buoni a nulla, poiché hanno saputo portarci soltanto a questo presente, i buoni capi come quelli cattivi. (...) Quel che il sistema chiama organizzazione - organizzazione lineare - è soltanto il modo di ingabbiarci sistematicamente, che limita arbitrariamente il campo del possibile. Non ha mai funzionato. Ha soltanto prodotto questo presente." C'è tutta la cultura hippie in questa antologia della stampa underground americana, i fogli del dissenso e della controcultura giovanile che, a cominciare dal "Greenwich Village Voice" di New York, entro la metà degli anni Sessanta si erano diffusi a tutti gli Stati Uniti, e specialmente in California. Ingenui, idealisti, provocatori, ribelli, gli articoli raccolti in questo volume raccontano in presa diretta il farsi di un movimento epocale, che ha cambiato per sempre il corso della storia. I capelloni, con le loro chitarre, l'amore libero, le droghe, il misticismo, il pacifismo, la lotta non violenta contro ogni tipo di censura e convenzione borghese, la critica radicale verso gli aspetti degenerativi della società repressiva del benessere, evocano nuovamente in queste pagine il loro sogno di un mondo nuovo e migliore, quell'aspirazione che è stata all'origine dello youthquake.
Il Seicento è il secolo aureo del teatro francese, quello che ha visto succedersi sulle scene le opere di Corneille, Molière e Racine. Questo volume offre un ritratto dei tre grandi drammaturghi, riletti e spiegati sullo sfondo della vita teatrale e del contesto politico e sociale della Francia dell'epoca. Il manuale combina due prospettive abitualmente separate negli studi teatrali: quella filologica, che valorizza gli aspetti letterari del testo, e quella spettacolare, che si concentra sulle questioni relative alla messa in scena. Nozioni tradizionali della storia letteraria, come "barocco" e "classicismo", oggi molto contestate dalla critica, vengono ridiscusse e approfondite alla luce delle pratiche letterarie, scenografiche, ma anche degli stili recitativi.
Il periodo compreso tra la fine del Cinquecento e quella del Settecento, tra Montaigne e Chamfort, a cavallo della frattura epocale rappresentata dalla fine dell'Ancien Régime, è unanimemente riconosciuto come la grande stagione dei moralisti classici. La moralistica non è un genere forte, come il teatro, la poesia e la narrativa. Accoglie scritti nati da riflessioni etiche, di costume, esistenziali, politiche, collocandosi al confine tra letteratura e filosofia, spiritualità e scienza, esperienza mondana e introiezione.
"Malgrado il perseguimento della repressione antimafiosa - che ha portato all'arresto di molti capomafia come, soltanto nel 2006, Bernardo Provenzano che dal 1993 aveva preso il posto di Salvatore Riina - non si può dire affatto che la situazione sia cambiata in senso positivo. Inoltre, basta ricordare che, a livello parlamentare, soltanto uno dei partiti della sinistra si è opposto, peraltro senza fortuna, all'inclusione nella nuova Commissione parlamentare antimafia di due deputati (gli onorevoli Vito e Pomicino) condannati in maniera definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione. Non c'è insomma a oggi, pur dopo la vittoria elettorale del centrosinistra, una sensibilità comune che ponga la legalità, e quindi la lotta alla mafia, al primo posto. Di qui la sensazione, diffusa nella pubblica opinione democratica, che la lotta alla mafia sia rimasta ancora in una condizione di stallo e di vera e propria impotenza. Eppure attraversiamo, senza dubbio alcuno, un momento decisivo per il futuro del nostro paese." (Nicola Tranfaglia).