"Il Rinascimento è, innanzitutto, un fatto di cultura, una concezione della vita e della realtà che opera nelle arti, nelle lettere, nelle scienze, nel costume. La positività del Rinascimento intrinseca alla sua stessa denominazione, i suoi aspetti tipici, i suoi valori, i suoi significati nel corso della civiltà moderna, vengono indicati sempre nell'ambito delle lettere, del pensiero, dell'educazione. Anzi, proprio in Italia, dove - prima che negli altri paesi, e in modo tanto evidente - si ebbe lo sviluppo del Rinascimento, non può dirsi che al rigoglio culturale corrispondesse un momento ugualmente felice in sede economica o politica": Eugenio Garin parte da queste considerazioni per delineare una interpretazione globale del grande movimento che, tra Tre e Cinquecento, segnò la nascita della cultura occidentale moderna. La tesi centrale del volume è quella dell'unità e coerenza di fondo della civiltà rinascimentale: rinnovamento della vita civile, prime espressioni della moderna teoria politica, scoperta di una visione laica del mondo e dell'uomo. Ma soprattutto - e qui è il contributo più originale di Garin - unità e coerenza fra lo spirito e gli atteggiamenti della cultura letteraria e i concetti e i procedimenti della nascente scienza sperimentale moderna. Nella sintesi dello storico si compongono quindi insieme, illuminandosi a vicenda, tutti gli aspetti e i protagonisti della cultura rinascimentale, da Leonardo a Erasmo, da Ficino a Valla e Savonarola.
«Non appena in Occidente si sparse la voce della prossima uscita della flotta turca, papa Pio V decise che quella era l'occasione buona per realizzare un progetto che sognava da tempo: l'unione delle potenze cristiane per affrontare gli infedeli in mare con forze schiaccianti, e mettere fine una volta per tutte alla minaccia che gravava sulla Cristianità. Quando divenne sempre più evidente che la tempesta era destinata a scaricarsi su Cipro, il vecchio inquisitore divenuto pontefice, persecutore accanito di ebrei ed eretici, volle affrettare i tempi.»
È la primavera del 1570. Un anno e mezzo dopo, il 7 ottobre 1571, l'Europa cristiana infligge ai turchi una sconfitta catastrofica. Ma la vera vittoria cattolica non si celebra sul campo di battaglia né si misura in terre conquistate. L'importanza di Lepanto è nel suo enorme impatto emotivo quando, in un profluvio di instant books, relazioni, memorie, orazioni, poesie e incisioni, la sua fama travolge ogni angolo d'Europa.
Questo libro non è l'ennesima storia di quella giornata. È uno straordinario arazzo dell'anno e mezzo che la precedette. La sua trama è fatta degli umori, gli intrecci diplomatici, le canzoni cantate dagli eserciti, i pregiudizi che alimentavano entrambi i fronti, la tecnologia della guerra, di cosa pensavano i turchi dei cristiani e viceversa. Per tessere i suoi fili ci sono volute la prosa appassionante e la maestria rara di Alessandro Barbero.
Se il lavoro vale meno economicamente e come collante sociale, anche la sinistra politica e le rappresentanze sindacali hanno le loro responsabilità e insieme, forse, l'onere della ricostruzione. Tornare a riconoscere il valore sociale del lavoro è la prima missione di una classe politica che sappia davvero interpretare la novità del XXI secolo, e ricostruirne il valore economico è il progetto più moderno del quale possa dotarsi.
Corsaro per l'indipendenza, generale per la libertà, difensore della Repubblica romana, combattente della guerra d'indipendenza, liberatore del Regno delle due Sicilie, capo delle spedizioni per strappare Roma al governo del pontefice, soccorritore della Repubblica francese e poi deputato, agricoltore e simpatizzante per le prime lotte d'emancipazione dei lavoratori. Per mare e per terra, le imprese dell'eroe dei due mondi, un mito che sembra legare gli italiani nel tempo.
«Se possiamo sentirci solidali gli uni agli altri e amici di tutti gli abitanti del mondo; se possiamo riconoscere nel nostro vicino noi stessi, e per questo essergliene grati, lo dobbiamo a uomini che, come Giuseppe Garibaldi, hanno onorato la loro patria e, con essa, l'intera umanità.»
Una 'cucina italiana' intesa come modello unitario, codificato in regole precise, non è mai esistita e non esiste tuttora. Se però la pensiamo come 'rete' di saperi e di pratiche, come reciproca conoscenza di prodotti e ricette provenienti da città e regioni diverse, è evidente che uno stile culinario 'italiano' esiste fin dal Medioevo.
Le identità non sono inscritte nei geni di un popolo ma si costruiscono storicamente, nella dinamica quotidiana del colloquio fra uomini, esperienze, culture diverse. L'italianità della pasta, o del pomodoro, o del peperoncino è fuori discussione. Ma è anche fuori discussione che la pasta, il pomodoro, il peperoncino appartengano in origine a culture diverse. È esattamente questo il genere di identità che dobbiamo cercare nella storia alimentare e gastronomica di un'Italia che si modella come spazio di valori comuni, di saperi e di sapori condivisi.
«Ama la Patria ininterrottamente, notte e giorno, sveglio e dormiente, o che so io? La ama tutta e sempre? Come una donna? Una mamma?» Giorgio Manganelli
«Per molti l'italiana non è una nazionalità, ma una professione.» Ennio Flaiano
«Quel poco che sono, sento di esserlo come italiano; e che, se non fossi più italiano, non sarei più nulla…» Indro Montanelli
«Non so che farmene di una patria che non sopporta la verità.» Curzio Malaparte
«Diffido di chi dice: "Gli italiani sono fatti così". Così come?» Enzo Biagi
«La mia Italia è un'Italia ideale. È l'Italia che sognavo da ragazzina.» Oriana Fallaci
«Forse conviene scegliere dal catalogo possibile un paio di Italie decenti, e limitare l'orgoglio a quelle.» Edmondo Berselli
Stando ai sondaggi per il 150° anniversario dell'Unità nazionale, due italiani su tre sono orgogliosi di essere tali. Quando però si tratta di spiegare perché, tutto si fa più complicato. «Cosa ci tiene insieme?» è la domanda che meno invecchia, in questo Stato ancora giovane. Il rischio è quello di aggirarsi, in cerca di risposte, tra i monumenti e gli stereotipi.
Qui, invece, sono raccolte voci: grandi scrittori, giornalisti, intellettuali impegnati a diventare o ri-diventare italiani. A malincuore, con allegria, con rabbia, con indignazione, con stupore, con disincanto. A volte, perfino con ottimismo.
Tutto entra in gioco: i momenti drammatici o felici della storia unitaria; la memoria e le memorie; i volti e le maschere, da Arlecchino a don Abbondio; i colori della vita di ogni giorno.
Come in un'inchiesta a ritroso, le ipotesi e gli indizi sul tavolo sono molti. Per chi domanda: «Scusi, lei si sente italiano?», sono pronte nuove risposte. Razionali e sentimentali insieme. Cercate lontano, ma proiettate al futuro.
«Indagare l'origine del linguaggio in un'ottica evoluzionistica significa analizzare l'avvento delle capacità verbali nei termini delle abilità, più semplici e di base, già presenti in altri animali o nelle altre specie di ominidi che hanno segnato il percorso evolutivo dell'Homo sapiens.»
Francesco Ferretti spiega perché le teorie di Darwin applicate alla filosofia del linguaggio sono l'unica via per comprendere natura e origine del nostro parlare.
La società, a uno sguardo consapevole, non può che apparire come un fenomeno ricco e complesso, irriducibile a una semplice distinzione tra ‘noi’ e ‘loro’. Eppure il pregiudizio, che si basa proprio su questa distinzione, è sempre più diffuso e diversificato, e gli individui continuano a essere giudicati in modo negativo semplicemente sulla base della loro appartenenza a un gruppo sociale.
Dopo un’introduzione che delinea le caratteristiche del pregiudizio, le sue basi cognitive e motivazionali, le diverse forme che può assumere e le conseguenze per chi ne è vittima, il volume illustra le principali strategie per ridurre tale fenomeno, descrivendo i modelli teorici e i contributi di ricerca proposti nell’ambito della più recente psicologia sociale.
Come possono gli stati mentali essere cause di stati fisici? Qual è il posto della mente nell'ordine naturale? Che cos'è l'intenzionalità? È possibile spiegare la coscienza? Queste alcune delle questioni che hanno segnato il dibattito recente in filosofia della mente, oggi reso ancor più animato dalle scoperte empiriche della psicologia cognitiva e delle neuroscienze. In questa edizione, le teorie e le argomentazioni filosofiche sulla mente, nei loro nessi con i risultati della ricerca scientifica.
Dal re di Svezia che acquista tutta la raccolta di antichità di Piranesi a chi si accontentava di molto meno: un mosaico minuto, una statuetta in biscuit, un piccolo Colosseo in sughero.
L'arte e l'ingegno al servizio dell'industria del ricordo.
Il Grand Tour è una sorta di pellegrinaggio laico, un irrinunciabile battesimo culturale delle élites europee del Settecento, con Roma meta indiscussa. Come in ogni pellegrinaggio che si rispetti, come non desiderare di riportare in patria souvenir del proprio viaggio? Senza toccare i vertici di Caterina II di Russia che per l'Ermitage ordina una copia a scala naturale delle Logge Vaticane di Raffaello per la quale è necessario predisporre un'armata di copisti, anche chi non può permettersi acquisti così imponenti si adopera per procurarsi originali o copie di opere d'arte antica.
Per soddisfare la domanda di questo agguerrito stuolo di compratori, Roma appresta un esercito altrettanto formidabile di produttori: artisti e artigiani di ineguagliabile talento, che con inventiva, scaltrezza e spirito imprenditoriale sanno incrementare e diversificare la propria offerta, ricorrendo a tecniche artistiche ben collaudate, inventandone di nuove o recuperandone di già sperimentate, per creare inedite tipologie di prodotti e suscitare nuove, irresistibili mode. È la nascita dell'industria dell'antico e del bello, un curioso fenomeno di domanda e offerta di ricordi della città eterna.
Antonio Pinelli guida il lettore nell'esplorazione di questa galassia di eccellenze e raffinati virtuosismi, che preannuncia l'era dell'industria culturale di massa.